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redarrowleft.GIF (53 byte) Arte Febbraio 2000 (a cura di Giovanna Grossato)


Musei Civici di Vicenza. 
Dipinti e sculture del XIX secolo

Musei Civici di Vicenza. Dipinti e sculture del XIX secolo, a cura di Fernando Mazzocca, catalogo della mostra (Vicenza , Pinacoteca Civica di Palazzo Chiericati – Museo del Risorgimento e della Resistenza 21 gennaio-30 aprile 2000), Marsilio Editori, Venezia 2000, pp. 239, 250 ill. b/n e 34 tavv. a colori, s.i.p. (L. 48000).

Dopo Padova, Belluno, Treviso, anche Vicenza dedica all’Ottocento locale un’attenzione mai ricevuta in precedenza (a seguire anche Rovigo, laddove per Bassano del Grappa si segnala un’esposizione permanente). Nato dal coordinamento fra Regione Veneto, Soprintendenza ai Beni Artistici e Storici del Veneto e Musei Civici, il progetto «Pittura dell’Ottocento nei Musei Veneti» trova il suo significato più alto nel tentativo di rendere note – in modo finalmente scientifico ancorché vistoso, attraverso una serie incalzante di manifestazioni espositive – le peculiarità della cultura figurativa espressa dalla varie località venete durante il XIX secolo, epoca ricca di fermenti interessanti.

Nel quadro di una generale presa di coscienza del patrimonio artistico, troppo spesso relegato o, peggio, obliato nei depositi delle civiche raccolte, si assiste da qualche tempo a uno sforzo, finalmente sinergico, rivolto al riordino sistematico delle numerosissime opere rimaste prive di una precisa “carta d’identità”. A questo lavoro di mappatura, in certi casi assai problematico, non si è mancato di affiancare un obiettivo senz’altro più godibile, vale a dire la presentazione al grande pubblico dei risultati e alla cittadinanza, in primis, che si può così riappropriare di una memoria qualificante. I Civici Musei vicentini si sono mossi, in tal senso, già lo scorso anno (se si eccettua la pur meritoria, ancorché rapsodica segnalazione di Katia Brugnolo Meloncelli sulle Collezioni poco note del Museo di palazzo Chiericati a Vicenza, in «Venezia Arti» 7, 1993, pp. 191-193, che fra l’altro pubblica il Ritratto della contessa Caterina Salvi Valmarana, finissimo olio su avorio di Prepiani, qui cat. 157), promuovendo il recupero e la valorizzazione de I disegni di Ottone Calderari al Museo Civico di Vicenza (catalogo della mostra a cura di G. Beltramini, Marsilio Editori, Venezia 1999), prima tappa del lungo – e si auspica an­cora in progress – lavoro di riordino dei materiali ivi conservati, ma non compiutamente inventariati. Sicché dopo questo beneaugurante avvio, e dunque con la prova generale dell’edizione del corpus grafico calderariano, si è inteso fissare una serie di appuntamenti “tematici”, «di circoscritte mostre di istituto […] con le quali divulgare di volta in volta i risultati di un recuperato godimento delle opere e le connesse novità scientifiche, in un itinerario ideale e completo di tutela, che va dal restauro, allo studio, all’esposizione» (Avagnina, 1999).

Assegnata la cura scientifica della ricerca a Fernando Mazzocca, uno dei maggiori studiosi di quest’ambito, e affidato a un’équipe di schedatori, coordinati da Giovanni Villa, il compito di rinvenire la documentazione a corredo, onde ricomporre il quadro, in vero assai variegato, delle tendenze artistiche locali dell’epoca, si è giunti al catalogo di 250 pezzi dell’Ottocento vicentino, fra dipinti, sculture e materiali meno comuni, come avori, gessi e cere. Di questi, un centinaio vengono esposti per la prima volta (dopo restauri sorvegliatissimi, promossi dalla Soprintendenza, di cui si vogliono almeno menzionare le cere di Bartolomeo Bongiovanni, cat. 187-195, schede di Fabrizio Magani, e il busto-ritratto a grandezza naturale in ceramica di Pietro Alverà, pezzo unico nel suo genere per quest’epoca, schedato da Stefano Grandesso, cat. n. 236).

Mentre il percorso espositivo, negli spazi di Palazzo Chiericati e Villa Guiccioli, sede del Museo del Risorgimento, è organizzato per gruppi tematici (dal ritratto alle opere di carattere religioso, da quelle di carattere storico-letterario, intrise di umori romantici, alle scene di genere, al paesaggio, alla restituzione visiva di una Wunderkammer), e si snoda a Palazzo Chiericati attraverso tre sale che, nell’efficace allestimento di Mauro Zocchetta, evocano ambienti di ottocentesche dimore (al Museo del Risorgimento sono invece esposti i dipinti di argomento storico-risorgimentale, di gran­de interesse documentario), il catalogo offre invece un impianto diversamente strutturato. Infatti, le schede rispettano una suddivisione per tecniche – pittura, miniatura, scultura – all’interno delle quali gli autori sono stati ordinati secondo una successione alfabetica.

Diciamolo subito: esisteva, a monte di un progetto siffatto, un problema di intenti e di finalità. Un discorso sull’Ottocento locale si doveva  rivolge, secondo criteri ed esigenze diverse, da un lato allo studioso, che ne riconosce e ne apprezza gli intrecci, le problematiche e i rovelli, dall’altro alla cittadinanza, che mira a farsi un’idea soprattutto dello stile in generale, del contesto, del gusto. Questo nodo è stato risolto divaricando l’itinerario espositivo da quello scientifico del catalogo: il primo, orientato al vasto pubblico, al visitatore curioso, è stato studiato per presentare nella forma più leggibile e suggestiva l’atmosfera dell’Ottocento, entro cui calare le opere riportate al loro decoro, mentre il catalogo, organizzato in modo molto diverso, come già è stato notato, ricostruisce le molteplici fila delle tendenze e dei motivi artistici locali nell’ottica più articolata del loro inserirsi, o restare al margine, del dibattito artistico di più ampio respiro nazionale e sovranazionale.

Renato Zironda ci illustra, attraverso una sapiente ricostruzione archivistica e sfoderando inediti di grande interesse, il processo di sedimentazione delle collezioni cittadine, specchio anche della forma mentis delle prime figure di conservatori vicentini (L’ordinamento delle collezioni del Museo di Vicenza nei primi cinquant’anni di vita, pp. 25-32). Un capitolo, quello «della storia della conservazione e della museografia a Vicenza», che – sottolinea nella Presentazione del catalogo M.E. Avagnina – è «solle­citante e ancora tutto da scrivere».

Leitmotiv dei diversi documenti risulta essere la «mancanza di spazio» cronica, per dir così, per le raccolte di Palazzo Chiericati, nel momento stesso in cui, proprio a partire dalla seconda metà del secolo XIX, si assiste a una sorta di gara in fatto di donazioni e legati di opere d’arte asse­gnate al Museo Civico (la cui sede, inaugurata il 18 agosto 1855, era stata per l’appunto definita dal Magrini «questo piccolo, ma splendido teatro dei doni più rari»). 

Fa il punto dello status degli studi storico critici Fernando Mazzocca (Le collezioni del Museo Civico. Per un nuovo profilo dell’Ottocento a Vicenza, pp. 13-23), il quale sollecita – dopo quanto emerso nel corso della preparazione di questo lavoro – «una radicale riconsiderazione della scena artistica a Vicenza nell’Ottocento» (p. 13). Nel suo saggio emergono alcuni nodi significativi: la persistenza della decorazione neoclassica nell’area berica (letta anche nella «tradizione e vocazione vicentina nell’ambito dell’ornamentazione degli interni, […] della decorazione plastica nella particolare tec­nica dello stucco», p. 14); la decorazione civile come elemento qualificante il profilo della cultura figurativa a Vicenza a cavaliere dell’Unità d’Italia (e specialmente con «il tema del pantheon e della celebrazione delle glorie civiche», p. 15); la cartina al tornasole delle varie e diverse tendenze artistiche in spettacolare gioco presso il cantiere del Santuario di Monte Berico, che s’inizia e chiude con apporti dovuti ad artisti di formazione romana (da Ménageot ai Gagliardi); si passa quindi alla fortuna degli artisti vicentini fuori della loro patria e al debito che alcuni di loro  contrassero nei confronti della linea culturale purista di Jacopo Cabianca.

Tra i recuperi critici più significativi in tal senso il cospicuo gruppo di prove del pittore Giovanni Busato(Vicenza 1806-1886, schede di Stefano Grandesso, pp. 88-94), di Domenico Petarlin (Bagnolo di Lonigo 1822- Vicenza 1897, schede di Paola Zatti, pp. 145 sg.) e di Pietro Roi (Sandrigo 1818-Venezia 1896, schede di Francesca Castellani, pp. 152-154), figura emblematica di pittore legato al genere storico-celebrativo. Per la prima volta si dà il profilo storico critico di Agostino Panozzi (Arcugnano 1910-1939, schede di Giovanna Grossato, pp. 136-143; contestualmente è uscita anche una monografia sull’artista, di G. Grossato-M. Adelaide Baroncelli, Agostino Panozzi. La riscoperta di un pittore dell’Ottocento vicentino, La Serenissima Ed., Vicenza 1999), mentre attraverso altri maestri vicentini del tempo, come Agostino Bottazzi (Vicenza 1822-Pernambuco (Brasile) 1877, schede di Annalisa Cera, pp. 77-84), si recupera la drammatica vicenda risorgimentale.

Di Tito Perlotto, alla cui produzione – ci informa Zironda (p. 29) – era stato dedicato negli anni della gestione Minozzi (estensore dell’Inventario nel 1902) uno stanzino contenente suoi disegni a matita e acquerelli, insieme a quelli di Bongiovanni, Miglioranza, Prepiani, Sordina, nulla si evince dal volume. È singolare il fatto che di questo artista vicentino (Lonigo 1788-1858), raffinato esponente di una poetica prossima ai modi canoviani, e dei suoi ritratti di illustri personaggi della Vicenza contemporanea, sorvolando anche sugli acquerelli per lo stesso Canova e Foscolo, alcuna memoria, al di là della menzione nel saggio sopracitato, compaia nel catalogo come in mostra. E dire, con Mazzocca, che «a parte alcune cere della straordinaria raccolta di Bartolomeo Bongiovanni, risultano rarissime le opere della prima metà del secolo» (p. 13).

Sorprende, infine, sul registro editoriale, che Marsilio, altrove accorto nell’elaborazione a stampa dei testi, sia incappato in una défaillance tanto vistosa. Come interpretare, altrimenti, episodi come quello di p. 173, o l’inversione delle schede dei Paesaggi della Faccioli Licata (cat. nn. 56-57), o l’ancor più macroscopica sfocatura d’immagine della tav. VIII a p. 41, per non dire, più in generale, della resa dei colori per le opere riprodotte nelle tavole, alcune delle quali piuttosto lontane dall’originale?

 Elena Filippi

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