L’insostenibile
leggerezza dell’adolescenza
Un ragazzino
che spera di vincere la forza di gravità perché rifiuta ogni
condizione definitiva; strani e ambigui personaggi; una fuga
finale su un aeroplano in America. E’ il romanzo che segnò
l’esordio di Susanna Tamaro nel 1989. Tra qualche ovvietà e
frammenti luminosi
Susanna
Tamaro, La testa fra le nuvole, Marsilio, pp.219, L.25.000
L'adolescente
Ruben è affascinato dalla legge di gravità che coarta
qualunque corpo e oggetto "spento" a cadere sulla
terra dopo un volo o una parabola lunga o breve che sia; a
differenza - egli crede - degli oggetti "luminosi",
dalle stelle, le quali pur cadendo non giungono mai da qualche
parte. Il suo sogno è di trasformare i corpi spenti in
luminosi, di lanciare il giavellotto in una parabola tale
"che anziché tornare indietro trascinato dalla sua
pesantezza, si sarebbe librato più in là, oltre le nubi,
sparendo poi in direzione del sole e delle stelle".
L'asta appuntita finirà invece per trafiggere il suo
precettore, costringendo il ragazzo ad una fuga che
rappresenterà un’evasione dall'obbligo di crescere e
accettare dunque la gravità/grevità della vita adulta.
Tragitto fantasmatico e irreale quello di Ruben, viaggio di
apprendistato e di caparbia volontà di opporsi a qualsiasi
radicamento o condizione definitiva.
Un itinerario segnato, come in
tutte le favole, da ambivalenti aiutanti/antagonisti: la cieca
Ilaria, amante degli studi cinematografici, sorta di mamma
mielosa e attaccaticcia, a cui il ragazzo descrive scene di
immaginarie riprese filmate; o un equivoco e sessualmente
ambivalente barone-barbone con cagnolini ed amante, che
l'ingenuo ma volonteroso Ruben servirà in qualità di garcon
de chambre; o la vedova Margy, che affiderà incautamente il
suo meraviglioso giardino al ragazzo, il quale lo
trasformerà, radendolo al suolo, in una pista di atterraggio
per l'aereo dell'eccentrico amico archeo-aviatore. E sarà
proprio questo personaggio, che col suo velivolo dà
l'illusione di vincere la gravità, a condurre Ruben verso la
meta agognata, l'America, luogo altro e, infine, poiché
lontano e mitico: irreale. Ed è con quel volo (sogno,
ennesima fantasia?) tra nembi bianchi e turgidi che si
conclude - meglio: non si conclude - la favola/romanzo
"La testa tra le nuvole".
La peculiarità narrativa di
questo racconto (che nel 1989 segnò l’esordio di Susanna
Tamaro e che Marsilio ha recentemente ripubblicato
aggiungendovi i testi brevi de "La dormeuse életronique"
ed "Elogio della grazia") si rivela nella capacità
di rendere in modo così credibile l'innocenza, il candore
sprovveduto di Ruben, senza alcuna retorica o artificio
letterario che non sia l'essenzialità - e l'ovvietà,
diresti, proprio perché estremamente pertinenti e semplici -
di metafore e aggettivi; il gusto della descrizione di certi
particolari dell'aspetto fisico (i quali poi rispecchiano
quelli psicologici, che solo indirettamente, causa la giovane
età, un adolescente può cogliere) dei personaggi e il
grottesco surrealismo delle situazioni di un'ambiguità non
scorta dal ragazzo, come nell'episodio in cui il barone, preso
da passione erotica per Ruben, lo spoglia e ricopre di fiori e
bacia, mentre l'innocente ragazzo non chiede, né si chiede
"nulla, perché non c'era nulla da chiedere, poiché era
evidente che quella altro non era che la fine della storia
(...)". Dopo tali attenzioni, ancora una volta a Ruben
non resterà - stupito solo un poco - che fuggire, come dagli
altri ruoli/prigioni già sperimentati e rifiutati, costretto
a un sofferto ma insieme allegro apprendistato alla vita,
perseguito fra cento errori e travisamenti con l'ilare tenacia
della testardaggine e un pizzico di salutifera follia.
Se certe pagine de "La
testa fra le nuvole" ricordano non poco la levità e il
casto fascino de "Il piccolo principe" di Saint
Exupery, tuttavia - unico appunto al romanzo - la favola di
Susanna Tamaro difetta un poco di unitarietà, di organicità;
sono però tanti frammenti luminosi, gioiosi nel descrivere il
vertiginoso ma esaltante precipitare dall'etereicità
dell'innocenza alla gravità concreta della vita adulta.
Francesco Roat |