Case e... Palazzeschi di vetro
La stampa in questi
giorni ha dato molto risalto al caso di una artista peruviana
che si è fatta costruire , nel centro di Lima, una casa di
vetro e è andata a abitarci. La sua vita privata è stata
talmente apprezzata dai peruviani che pur di vederla in alcuni
momenti particolari hanno letteralmente paralizzato la città
e creato situazioni di vero e proprio caos tanto da richiedere
l’intervento anche del capo di stato. i giornali hanno
sottolineato che mai, prima d’ora, un fenomeno artistico
aveva riscosso tanto successo di pubblico, mai la vita di una
persona qualunque nei suoi gesti più quotidiani e banali era
diventata un prodotto mediatico.
A dire il vero, c’è
stato qualcuno che questa idea l’aveva già avuta, il poeta
Aldo Palazzeschi. Nei suoi versi tratti da “una casina di
cristallo” recita così:
[…]
io
sogno una casina di cristallo
proprio nel mezzo della città,
nel folto dell’abitato.
Una casina semplice, modesta
piccolina piccolina:
tre stanzette e la cucina.
Una casina
come un qualunque mortale
può possedere,
che di straordinario non abbia niente,
ma che sia tutto trasparente:
di cristallo.
Si veda bene dai
quattro lati la via,
e di sopra bene il cielo,
e che sia tutta mia.
L’antico solitario nascosto
Non nasconderà più niente
Alla gente.
Mi vedrete mangiare,
mi potrete vedere
quando sono a dormire,
mi vedrete quando vado a fare i miei bisogni,
mi vedrete mentre cambio la camicia.
E se in un giorno di
malumore
Mi parrà di litigare con la serva,
prenderete la sua parte, lo so,
farete benone,
non c’è niente di male;
v’accorgerete della mia cera
come va la mia arte,
mi vedrete chino sopra le carte
dalla mattina alla sera.
E passando mi potrete salutare,
augurare il buongiorno e la buonanotte:
io vi risponderò.
Se ogni tanto mi vedrete
Che faccio la pipì
non vi scandalizzate,
o ditemi: “Piscione!”
se no peggio per voi,
non vi dovete voltare
quando passate di lì.
“All’erta dormiglione,
è alto il sole!”
La mattina vi sentirò gridare.
”Pigrizia e poesia vanno a braccetto”
Vi sentirò borbottare.
Ma farò finta di non sentire
per restare un altro poco
a cucciare dentro il letto.
E quando non ne potrò più
mi butterò giù.
Riso e cavolo per desinare.
Dev’essere in bolletta.
Mangia la minestra con la forchetta!
Che razza d’animale.
Beve acqua per risparmiare.
Beve acqua perché gli piace.
Che ci sia qualche cosa
con quella cameriera?
Mamma mia che indecenza!
Brutta a quella maniera
ma la notte cosa fanno?
Bella, vanno a dormire.
Quella è la stanza di lui,
quella è la stanza di lei,
accanto alla cucina…
Ti piacerebbe di stare in quella casina?
No davvero, no davvero
vivere a quel modo in berlina.
Due camere un salotto e la cucina.
Hai visto il cesso com’è bello?
E' di vetro anche il cariello.
Ma cosa è andato a inventare.
Guarda guarda, va nel cassettone…
Ah! No…che cosa andrà a fare?
Mamma mia!
Che si butti un po’ sul letto?
Bambine venite via!
Sarà stanco poveretto.
Non vedi che viso bianco?
Qui bisogna riparare
e il comune che gli ha dato il permesso
di fabbricare una casa di quel genere.
Vi sbagliate!
Ha ragione, per Dio!
Me ne sto facendo una anch’io.
Quando gli uomini vivranno
tutti in case di cristallo,
faranno meno porcherie,
o almeno di vedranno.
Sostenete delle tesi
sbagliate.
E' un pazzo come lui.
E come se ne sta
tranquillo,
quel po po’ di salame.
Guarda guarda, ci
saluta.
Ah, ci ha detto:
“buona passeggiata”.
Buon lavoro, poeta.
E' una gran puttanata!
Ma che bella trovata!
Non sembra una singolare
coincidenza quella dell’artista peruviana?
Ma chi è Aldo Plazzeschi, l’uomo del “controdolore” che
con i suoi versi offre tante piccole pillole di buon umore a
noi perennemente tediati, afflitti e angosciati? Forse vale la
pena di rivisitarlo brevemente e riconsiderare l’idea di
tornare a un modello di vita meno intimistico e più giocoso.
Poeta
e scrittore, Aldo Palazzeschi, nasce a Firenze nel 1885 da una
famiglia borghese. Diventa ben presto un provocatore di
professione, non solo perché esercita originalissime forme di
scrittura ma anche perché propone una lettura della realtà
molto particolare, rovesciata rispetto al modo di pensare
comune. Di questo se ne accorge Marinetti e lo invita a far
parte del movimento futurista.
Dei futuristi ammira la lotta contro le convenzioni, contro il
passato fumoso, gli atteggiamenti di palese provocazione, le
forme espressive che prevedono la “distruzione” della
sintassi, dei tempi, dei verbi, degli avverbi, della
punteggiatura….e propongono” le parole in libertà”.
Come
appare nelle raccolte “Cavalli bianchi”, “Lanterne” e
Poemi”, Palazzeschi esalta la gioia del vivere e ammonisce
l’uomo a “ridere” di tutto ciò che lo fa soffrire.
Anche le scuole devono educare al riso quale elemento capace
di tenerci lontani dall’ipocrisia falsa e borghese. Le sue
idee originali e provocatorie occupano le pagine di alcune
importanti riviste letterarie quali “Lacerba” e “La
Voce”. Nel 1914 ripudia gli atteggiamenti nazionalisti dei
fascisti e taglia i legami con il movimento futurista. La
partecipazione alla prima guerra mondiale lo allontana del
tutto dalle tematiche care a Marinetti e lo riavvicina a forme
più tradizionali di scrittura di cui ne è esempio il romanzo
“Le sorelle Materassi”.
Negli anni sessanta si sviluppa il terzo periodo
dell’attività letteraria del nostro autore che lo vede
nuovamente interessato alle sperimentazioni giovanili.
Nel
1972 si congeda dai suoi lettori con il componimento che
prende appunto il nome di “Congedo” che è un inno alla
immortalità della poesia: “Muoiono i poeti ma non muore la
poesia / perché la poesia / è infinita / come la vita”.
Nel 1974 muore a Roma.
In
alcuni testi l’autore si interroga sulla sua identità:
l’ironia E’ la chiave di lettura delle sue opere. E con
l’ironia si rivolge, non solo a se stesso ma anche alla
poesia e al ruolo che i poeti hanno nella realtà in cui
vivono. Il poeta non è più colui che porta e diffonde
messaggi di alto impatto morale, non è più il vate che
trasmette valori universalmente riconosciuti. Non è più il
maestro di metrica. Già il futurismo ha provveduto a spazzare
via questa concezione dell’arte. L’unica alternativa,
l’unica via di fuga dal passato ingombrante, fumoso e
intrigante sono la follia, lo scherzo, il divertimento
smodato. “E lasciatemi divertire” dice Palazzeschi. Ma se
l’autore è un folle malinconico, nostalgico, un po’
poeta, un po’ pittore, un po’ musico, anche l’identità
della nuova poesia risente di questi aspetti. Le immagini sono
volutamente ironiche, buffe conducono inevitabilmente al riso
perché questo è l’obiettivo di Palazzeschi ma anche dei
futuristi. Il riso è l’esplosione della vitalità interna,
è energia, è lotta alla noia esistenziale, è superamento di
stati d’animo di situazioni mentali e culturali precedenti
e, soprattutto è provocazione e smitizzazione. Il
saltimbanco, il circo sono paragoni cari ai poeti del primo
novecento) sono le tipiche figure in movimento, incapaci di
sostare definitivamente perché hanno iniziato il lungo
percorso della ricerca.. Sono i quadri cubisti di Picasso, le
mille facce di Pirandello, il circo di Ungaretti, il
saltimbanco di Palazzeschi, le immagini mai ferme di Marinetti…
Ecco perché quando il nostro autore si interroga sul “Chi
sono?” trova più semplice rispondere per esclusione
e evidenziare ciò che “non è”. Il ragionamento
risulta così complesso, dunque più movimentato ma anche
simmetricamente più rigido sul piano formale: alle domande
infatti si susseguono in modo quasi metallico le risposte. A
ogni verso, una risposta. Ma allora il movimento che viene
esaltato è solo automatizzato? Ma allora il poeta che esce
dagli schemi ideali è imprigionato da quelli strutturali? Ma
allora anche l’individuo che si crede libero e
anticonformista diventa il nuovo stereotipo di se stesso?
Allora anche i futuristi più provocatori si imbrigliano nelle
strette maglie della provocazione fine a se stessa?
Palazzeschi
no, lui è il saltimbanco che svincola, che glissa, si
allontana dai futuristi, si allontana da ogni vincolo
incombente, si allontana da se stesso con la follia
spersonalizzante. malinconia e nostalgia
si sublimano nell’ironia pura, fino all’eccesso
della risata smodata. Il poeta si vuole divertire perché
nulla di ciò che lo circonda è divertente.
Sì
lasciamolo divertire questo tenero, struggente, aggraziato
saltimbanco del ‘900. Non lasciamolo solo, divertiamoci con
lui, guardiamolo quel suo cuore con la lente e facciamo vedere
anche i nostri alla gente liberandoci un po’ dal conformismo
e dall’esagerato intimismo dei nostri tempi. Sarebbe bello
che imparassimo anche noi a vivere nella “Casina di
cristallo “ almeno per un po’…
Maria
Chiara Passera |