Verdone: il cinema? E’
un investimento
Al
botteghino il suo "C’era un cinese in coma"
non sta andando come sperava. Ma il regista romano non si
preoccupa. Perché, dice, girare una storia come quella è
come aprire un conto in banca che darà i suoi frutti più
avanti nel tempo
Superato
finalmente il ritorno di fiamma ‘coatta’ del Gallo
Cedrone, il cinema di Carlo Verdone ha un sussulto di
dignità puntando in direzione di una commedia dei
sentimenti più raffinata e di qualità. C’era un cinese
in coma, infatti, non è l’ennesima galleria di
discutibili e volgari macchiette, quanto piuttosto una
riflessione all’acqua di rose su vizi e miserie
del mondo dello spettacolo. Un’occasione d’oro
sfruttata in pieno da Verdone per mettere in mostra quella
sua profonda umanità, in grado di avvicinarlo
sensibilmente ai grandi del passato come Sordi e Manfredi.
C’era un cinese in coma racconta la storia del titolare
di un’agenzia che colloca attrazioni e artisti alle
fiere paesane o alle conventions di piccole ditte, alle
prese con l’imprevedibile successo del suo ex autista
nei panni di un comico d’avanguardia. Per seguire più
da vicino il suo Niki l’uomo trascura la famiglia e gli
altri impegni di lavoro. Esponendosi così con tanta
dedizione ad una fragilità professionale ed emotiva che
il giovane non ripaga come dovrebbe. Anzi… Un film
interessante e a tratti divertente in cui si intravede il
retaggio del un grande cinema italiano, nonostante siano
ancora presenti tante ingenuità registiche e sebbene il
comico non si sia ancora sbarazzato della triste idea di
dovere ‘acchiappare’ comunque il pubblico con belle
donne "scosciate" e poco vestite. I sussulti di
orgoglio di Verdone e il senso di una profonda emotività
del personaggio resi anche grazie anche al grande talento
come spalla di Beppe Fiorello, l’ex Fiorellino del
Karaoke televisivo accostano C’era un cinese in coma all’eredità
spirituale di film come Una vita difficile e Anni facili
in cui è una schietta onestà a diventare il valore
dominante. Nonostante il trascorrere del tempo tentativi
come questo, fanno ben sperare in un cinema del futuro,
capace di uscire dal solco del pieraccionismo e del
disimpegno totale, per raccontare storie più solide e che
oltre ridere, obblighino il pubblico anche a pensare
almeno un po’…
Verdone, il suo ultimo film
non sta andando come si aspettava al botteghino. Ma non la
preoccupava realizzare una pellicola che fosse ‘più
storia’ rispetto alla gallerie delle macchiette delle
ultime fortunate produzioni come Gallo cedrone e Viaggi
di nozze?
Ma un film è decisamente
qualcosa in più di quattro risate… il pubblico si deve
abituare. Del resto girare una pellicola come C’era
un cinese in coma è come aprire un conto in banca. E’
qualcosa che ti ritrovi per sempre e il tempo darà il
giusto valore a questo film. D’altro canto io vado
avanti con gli anni e sento l’esigenza di confrontarmi
con storie nuove, diverse, senza mai tradire la mia
comicità toccando però qualche piccolo tema etico in
maniera semplice, ma significativa.
Come ha scelto Beppe
Fiorello?
Dopo avere visto L’ultimo
capodanno di Marco Risi sono rimasto colpito dalla
recitazione di questo ragazzo. Così ho deciso di
coinvolgerlo in questo progetto. Del resto in ogni mio
film cerco di immettere un volto nuovo più o meno
conosciuto per aiutare chi sta iniziando questa carriera.
C’è qualche analogia con
Broadway Danny Rose di Woody Allen?
No e se c’è è del tutto
casuale. Erano anni che volevo raccontare una storia del
genere e non riuscivo a trovare la chiave giusta.
Soprattutto il mio personaggio non è triste come quello
di Woody Allen.
Quando farà solo la regia
di un suo film senza interpretarlo?
Non è ancora arrivato quel
momento, ma so bene che un giorno accadrà.
Rimane dunque il suo sogno?
Per il momento sì.
Marco Spagnoli
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