FILM
Aprile-Maggio
2000
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Pokémon {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Cartoni
Animati
Sceneggiatura Norman J. Grossfeld - Takeshi Shudo Regia Kunohiko Yuyama
e Michael Haigney Anno di produzione USA 1999 Distribuzione
Warner Bros. Durata
75’
Con il suo stile da cartone animato
giapponese arriva sui nostri schermi Pokémon una
pellicola in cui il politicamente corretto incontra il
cinema d’animazione nipponico in una commistione
decisamente originale anche se necessariamente non
piacevole per tutti. Eredi del terzo millennio di Jeeg
Robot e Daitarn 3 i Pokémon sono gli
eroi per bambini del nostro presente e pur non perdendo
alcune delle caratteristiche di onore e lealtà tipiche
dei personaggi provenienti dal mondo che fu dei Samurai,
si adeguano a questa novità sia dal punto di vista
narrativo che visuale. Bruttini e per certi versi noiosi
agli occhi di un pubblico adulto, questi mostri tascabili
stupiscono con i loro superpoteri e sorprendono per la
loro forza anche dal punto di vista morale. Le loro storie
(e il film è una sorta di episodio allungato) presentano
elementi non sempre condivisibili sul piano pedagogico che
però – ovviamente – fanno impazzire i ragazzini dei
cinque continenti, anche per un messaggio di fondo più
interessante di quello che si può pensare a prima vista.
Il superamento dell’eterno conflitto tra Bene e Male con
una consapevolezza nuova: non importa come nasci (ovvero
clone di un mostro), ma la cosa più importante è sempre
come vivi. Un’idea che se viene recepita da un mostro,
può venire compresa adeguatamente da bambini con i colori
della pelle diversi di tutto il mondo.
Stuart Little {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Geena Davis – Hugh Lurie Sceneggiatura
M.Night Shyamalan Regia
Rob Minkoff Anno di produzione USA 1999 Distribuzione
Columbia
Tristar Durata 83’
Miracolo dell’animazione
computerizzata, il delizioso topino Stuart Little arriva
in Italia dopo avere conquistato le platee americane con
la sua simpatia e la sua tenerezza portando a casa incassi
superiori ai duecento miliardi di lire. Una fortuna al
botteghino dovuta alla lungimiranza stilistica di mostrare
un orfanotrofio in cui è normale che umani e topi senza
genitori vivano insieme in attesa che qualcuno buono di
cuore offra loro una nuova vita. Ed è così che due
genitori fuori dal comune decidono di adottare Stuart, un
piccolo topo felicissimo di trovare una nuova casa. Se il
figlio della coppia accoglierà il roditore come un
fratello non senza qualche resistenza, ecco che il gatto
di casa Fiocco di neve soffrirà tremendamente l’avere
come padrone un topo. Un’onta e un precedente pericolosi
cui la mafia dei gatti randagi dovrà porre rimedio
organizzando un complotto per rapire il piccol Stuart.
Ce la farà il piccolo ratto a
tornare a casa? E qualcuno bianco con la coda, i baffi e
le orecchie a punta non dovrà forse ravvedersi riguardo
alle proprie malefatte? Doppiati da due straordinari Luca
Laurenti e Paolo Bonolis, ecco che i due nemici
proverbiali topo e gatto oltre a divertire smodatamente
grandi e piccini, offrono lo spunto per insegnare ai
bambini tolleranza e rispetto in maniera del tutto nuova e
affascinante. Chi l’avrebbe detto, infatti, che le
lezioni di vita e i buoni sentimenti snocciolati per
secoli dalle fiabe lette prima di andare a dormire
conquistassero una dimensione tanto interessante dal punto
di vista artistico, grazie ad una tecnologia
avanzatissima? Incredibile, ma vero è proprio
l’animazione computerizzata unita alla bravura degli
attori a rendere straordinaria questa pellicola in cui i
gatti sembrano parlare proprio come degli esseri umani. Ed
è rincuorante il fatto che oltre a vedere un film
emozionante e stralunato come un cartone animato di grande
qualità Stuart Little consenta di imparare
insegnamenti tanto importanti in una società multietnica
e policulturale come la nostra senza dovere sottostare
alla spesso inevitavile noia dell’apologo. Un film
tecnicamente perfetto in cui il percorso comune di uomini
e animali viene mostrato ancora una volta senza retorica,
con un’intelligenza narrativa straordinaria come il
cinema americano sembra sapere fare quando si tratta di
insegnare qualcosa ai bambini, facendo soldi a palate.
Diciassette anni {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Liu Lin - Li Bingbing - Li Yeping
Sceneggiatura e
Regia Zhang Yuan Anno di produzione Cina 1999 Distribuzione
LUCE Durata 83’
Con la consueta delicatezza
espressiva tipica dell’oriente cui siamo stati abituati
dal cinema di Zang Yimou e di Chen Kaige, ecco uscire
finalmente sui nostri schermi Diciassette
anni pellicola
che aveva riscosso molto successo alla scorsa mostra del
cinema di Venezia. Un film sofisticato, ma semplice in cui
lo scontro insanabile tra due sorellastre diventa lo
spunto per una riflessione amara e sincera
sull’esistenza e sui suoi vizi. I Diciassette
anni del titolo corrispondono, infatti, alla pena comminata ad una delle due
ragazze appena adolescente per avere ucciso l’altra
seppure in maniera involontaria. Epilogo tragico di una
guerra tra poveri in cui l’abiezione coincide con la
testarda determinazione a perseverare in una lotta senza
quartiere l’una contro l’altra. Un tema certamente non
nuovo e già ampiamente utilizzato in narrazioni
archetipiche come quella di Caino e Abele, Romolo e Remo,
Eteocle e Polinice, che in questa commovente pellicola
conquista una dimensione tutta delicatamente femminile e
moderna nella Cina di oggi. Un film che vuole essere anche
una riflessione accurata sugli strani meccanismi affettivi
che si determinano all’interno di una famiglia e che
brilla per fare della maturità, uno stato mentale
vincente anche e soprattutto sul versante emotivo. Insoma,
un’opera cinematografica dall’intenso valore
artistico, da vedere assolutamente per la sua profondità
narrativa e per la sua intelligenza stilistica.
Preferisco il rumore del mare {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Michele Raso – Paolo Cirio –
Silvio Orlando – Mimmo Calopresti – Fabrizia Sacchi Sceneggiatura
Francesco Bruni – Mimmo Calopresti Regia Mimmo
Calopresti Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione
MIKADO Durata 90’
Mimmo Calopresti dopo la parentesi
romana de La parola amore esiste torna a Torino
dove aveva già girato La seconda volta per
riprendere idealmente il filo rosso lasciato interrotto
dal Gianni Amelio di Così
ridevano. Ed è forse un testimone ideale quello che i personaggi della Torino
operaia degli anni Cinquanta lasciano a questi ragazzi
della società post industriale in cui – paradossalmente
– alcune cose sembrano non dovere cambiare mai.
L’incontro tra un ragazzo del Sud cui la Mafia ha ucciso
la madre e il padre di un giovane ribelle, in crisi con la
propria identità di immigrato calabrese che ‘ce l’ha
fatta’ scatena un confronto morale e umano su cui
fondare una singolare amicizia. E i paralleli
cinematografici non finiscono qua con
Silvio Orlando sembra dare nuovamente vita in
qualche maniera ai drammi del personaggio di Fuori
dal mondo di Giuseppe Piccioni. Attenzione: niente di palesemente voluto. Solo che
la cinematografia decisamente attuale di Calopresti, la
sua voglia di essere ancora una volta coscienza e
interprete di un’epoca attinge alla comune ispirazione
di cui altri autori impegnati come Piccioni e Amelio si
erano serviti in maniera simile, ma profondamente
differente sul piano della narrazione. Il tema dominante
che accomuna i personaggi di questo film è il senso della
mancanza di qualcosa. Un ingranaggio interiore che mette
in discussione le esistenze tormentate dal dolore o dalla
noia dei protagonisti e che nel suo titolo programmatico
trova non solo una chiave di lettura, ma anche una scelta
di campo apparentemente paradossale nell’era del
frastuono tecnologico. Preferisco
il rumore del mare è
certamente una pellicola imperfetta che ha fatto propria
l’imperfezione e il senso di accorata desolazione dei
suoi personaggi, in una cornice come quella di Torino che
si rivela, invece, perfetta per offrire al film le
atmosfere degne di un dramma nordico in cui lo stacco tra
l’uomo e l’ambiente che lo circonda è dato da un
fattore più umano che climatico.
Femminile singolare {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Cristina Moglia – Lorenza Indovina
– Vincenzo Peluso – Valentina Chico Sceneggiatura Doriana
Leondeff & Claudio Del Punta Regia Claudio Del
Punta Anno di produzione Italia 2000 Distribuzione
Warner Bros. Durata 90’
Chi per anni si è lamentato del
minimalismo del cinema italiano è servito. Ecco arrivare
un film barocco come Femminile Singolare in cui
ogni dettaglio è stato studiato con una cura e una
determinazione ammirevoli. Incentrato sulle doti fisiche e
artistiche di una giovane attrice sexy e convincente come
Cristina Moglia (Radiofreccia) nei rari panni di
Vera, Femminile singolare è un film che soffre
soltanto di due gravi difetti in grado, però, di
pregiudicare in maniera determinante la sua riuscita.
Innanzitutto, il suo essere pieno zeppo di storie,
personaggi e situazioni rinvangate dalla ragazza tramite i
suoi vestiti appesi nell’armadio, se da un lato offre un
ventaglio di situazioni originali e spesso ironiche,
dall’altro complica narrazione con una sequela spesso
non troppo chiara di flashback appesantendo la
pellicola fino a farla collassare sotto il peso troppo
elevato di una trama farraginosa in cui tutta la vita
della ragazza viene raccontata in maniera frammentaria e
discontinua. Poi, essendo il film ricchissimo di spunti e
momenti interessanti, si doveva procedere alla
scarnificazione della storia e non alla sua inevitabile
implosione innescata malamente da un andamento verboso in
cui la protagonista si lascia andare a un perenne commento
quasi fosse un flusso di coscienza inarrestabile. Certe
situazioni, infatti, non avrebbero avuto affatto bisogno
di parole visto che la loro liricità, drammaticità e
umorismo erano palesi agli occhi anche del pubblico più
distratto. Insomma, Femminile
singolare pur rimanendo come uno degli esperimenti
cinematografici più interessanti e convincenti del cinema
italiano degli ultimi anni, resta comunque un’opera
eccessiva sotto ogni punto di vista, al punto di arrivare
– ahimé – ad annoiare lo spettatore seppellendolo in
maniera poco adeguata sotto una lunga sequela di fatti,
lungaggini, parole e situazioni ridondanti e alle volte
inutili. Scelte che alla fine si sono rivelate come degli
errori, dovuti a peccati di ingenuità che tendono ad
esplicitare ogni singola situazione per paura che lo
spettatore non riesca a coglierne il significato.
Il segreto del giaguaro §
Er Piotta – Lando Buzzanca –
Antonello Fassari Regia Antonello Fassari Anno
di produzione Italia 2000 Distribuzione IIF Durata
93’
Trasformare dei cantanti di successo
in attori è sempre stato difficile. Lo era per i Beatles,
lo è stato più recentemente per David Bowie e Sting e
adesso capita con i rappers. Ma se LL cool J o Will
Smith hanno dimostrato di valere qualche cosa come
interpreti di film di successo, purtroppo non altrettanto
si può dire per Tommaso Zanella in arte ‘Er Piotta’
che durante la scorsa estate ci ha deliziato con la sua
fortunata hit Supercafone, dando vita a una
scioccante serie di happening e dibattiti sulla
‘cafonità’ inteso come stile di vita. Adesso, mentre
l’onda della vendita dei Cd si smorza si è pensato di
trasformare il cantante Piotta in un attore. Donandogli un
alter ego cinematografico dalla mutanda leopardata
chiamato Er Giaguaro. Di qui il misterioso segreto
che avvolge questo eccentrico personaggio e la sua
combriccola di stralunati amici che gravitano in un bar
come ne esistono ormai solo al cinema. La trama non è
mozzafiato, l’interpretazione degli attori è
irrilevante, la regia – se così possiamo chiamarla –
è inutile, il messaggio fintamente trasformato in un
omaggio al cinema italiano degli anni Settanta è
inesistente, il contesto irritante. Qualcuno dopo avere
visto il trailer aveva ipotizzato che Il segreto
del giaguaro avrebbe potuto ambire al titolo di film
più brutto della storia del cinema italiano. E se non
fosse perché certe definizioni lasciano il tempo che
trovano…
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