Lodato dalla critica e
in continua ascesa: da L.A. Confidential a The Insider
fino ad American Beauty. Ma dietro al successo dell’attore
neozelandese Russel Crowe, il generale Massimo nel film
"epico" di Ridley Scott, c’è una scelta
personale. Decisa quando dieci anni fa sbarcò negli Usa:
"Voglio la qualità"
Vera e propria reinvenzione di un genere
cinematografico, Il gladiatore è un film
spettacolare ed emozionante. Come in Quo vadis la
storia inizia con gli ultimi giorni di Marco Aurelio
durante la guerra contro i barbari nell’attuale Austria.
Storicamente curata e visivamente ineccepibile, questa
pellicola lascia intuire che il suo regista Ridley Scott
abbia riconquistato uno stile e una freschezza espressiva
sepolti troppo a lungo sotto una sequela di film non
propriamente esaltanti.
Il protagonista è Russel Crowe –
attore in continua ascesa - che incarna alla perfezione l’eroe
depositario delle antiche tradizioni, il generale senza
paura vittima di un contrasto insanabile contro Commodo,
figlio degenere e assassino dell’imperatore che voleva
restituire Roma alla repubblica. Catturato e creduto morto
da tutti, il militare viene venduto come schiavo e finisce
per duellare come gladiatore in una sperduta arena
africana. Un film lirico dai toni vagamente New Age reso
ancora più gradevole dalla immaginifica colonna sonora
realizzata da Hans Zimmer e dalla fascinosa voce dell’ex
cantante dei Dead Can Dance, Lisa Gerrard. Nel cast oltre
all’attore neozelandese che presto rivedremo nel nuovo
film diretto da Jodie Foster Flora Plum anche
Joaquin Phoenix e la stupenda Connie Nielsen, già
apprezzata ne L’avvocato del diavolo e
protagonista anche di Mission to Mars di Brian De
Palma attualmente nelle sale.
Mr. Crowe, qual è per lei la
fascinazione esercitata sul pubblico dalle storie
ambientate durante l’impero romano?
E’ il risultato di una combinazione di
fattori: una società altamente sviluppata fondata su un
forte senso dello Stato e una tecnologia particolamente
avanzata come quella legata agli acquedotti e alle terme.
E questo livello di sofisticazione si infrange contro la
brutalità del Colosseo e la voglia di espansione militare
e politica dei romani. Questi elementi spesso contrastanti
esercitano ancora un fascino intatto sul pubblico.
Da Spartacus di Stanley Kubrick
ad oggi, cosa è cambiato nel raccontare gli eroi della
Roma antica?
Quelli di Spartacus, Ben Hur e Cleopatra
sono eroi bidimensionali da Cinemascope. Oggi il tempo
richiede personaggi più complessi di cui tutti possano
condividere i drammi e comprendere le scelte. Devo
confessare, però, che io amo moltissimo quel tipo di
cinema.
Il gladiatore è più una storia di
vendetta o di lealtà?
E’ qualcosa di molto più complesso.
Sarebbe troppo semplicisitico dire che è una storia di
vendetta. Questa sembra potere giungere inaspettata e dal
mio punto di vista Massimo più volte contempla il
suicidio come la forma principale di liberazione. La sua
integrità morale lo richiede come un requisito
fondamentale.
Come è stato per lei lavorare con
Ridley Scott?
Credo di essermi sentito come coloro che
si trovavano al fianco di Picasso mentre dipingeva.
Vederlo dirigere con grande tranquillità sei o sette
macchine da presa al tempo stesso, con la classe e lo
stile di un direttore di orchestra è un’esperienza
assolutamente unica.
La sua notorietà presso il grande
pubblico le è arrivata con The insider una
pellicola per cui è ingrassato di trenta chili e ha
interpretato il ruolo di un uomo molto più vecchio di
lei. In più una nomination all’Oscar sfumata
contro il Kevin Spacey di American
Beauty…
Dopo il grande successo di L.A.
Confidential ho avuto l’opportunità di seguire con
tranquillità la scelta che avevo fatto dieci anni fa
arrivano in America: la qualità innanzi tutto. Decido di
interpretare un film in base a quanto mi sento attratto
dalla storia. Per quanto riguarda Insider un giorno
mi chiama Michael Mann e mi dice quello che voleva da me.
Gli dico: "Ma io non ho cinquant’anni e non
assomiglio nemmeno al Dottor Wigland…" lui mi
risponde: "Caro Russell, qui non si tratta di
aspetto fisico. Conta quello che hai dentro…" Così
ho conosciuto questo scienziato e ho cercato di diventare
lui.
Cosa è stato più difficile per lei?
Vedermi sullo schermo. Io sapevo chi era
Wigland e non volevo accorgermi di essere diventato solo
un mediocre doppione. La produzione mi ha obbligato a
vedere il film…
Cosa ha provato?
Onestamente credo di avere fatto un
lavoro decente, ma la prego di non chiedermi altro.
Michael Mann, già regista di Heat,
conferma, così, la sua fama di duro…
E’ vero, ma devo dire che per me ha
rappresentato un’esperienza molto interessante. Non
avevo mai interpretato una persona reale e questo mi ha
risvegliato dal mio torpore di attore che vive in un mondo
quasi di fantasia. E’ stata una vera sfida…