La psicologia? E' un mistero
Inizia con un omicidio. E un anziano avvocato misantropo e alcolizzato che indaga. Ma non è il solito giallo. Per Georges Simenon, creatore del commissario Maigret, è piuttosto l'occasione di un'analisi psicologica, il racconto di un ritorno alla vita dopo la rassegnazione. E, una volta tanto, cadaveri e assassini fanno solo le comparse
Georges Simenon, Gli intrusi, Adelphi, pp.198, L.25.000
Probabilmente la maggioranza dei lettori saprà che Georges Simenon non ha scritto solo racconti polizieschi e quindi forse è superfluo rimarcare come il padre di Maigret si sia occupato anche d'altro rispetto alle inchieste del suo famoso commissario. Ma per quanti non conoscessero ancora il Simenon romanziere (e che romanziere! Céline lo riteneva uno dei pochissimi degni di essere letti), vale la pena di sottolineare ancora una volta l'eccellenza di questo narratore nell'ambito della letteratura del novecento, suggerendo senz'altro di acquistare l'ultimo suo romanzo tradotto in italiano da Adelphi, "Gli intrusi", che sebbene pubblicato in Francia per la prima volta nel 1940 conserva una sapienza fabulistica, un ritmo coinvolgente e una freschezza di scrittura davvero invidiabili.
Certo, come molti altri romanzi di Simenon, anche questo ha comunque a che fare col delitto, ma non è tuttavia un thrilling; anzi direi che l'omicidio con cui si apre la vicenda è giusto l'occasione per una indagine assai più psicologica che poliziesca, per un racconto tutto centrato sulla disamina esistenziale del personaggio principale di questa storia senza eccessivi clamori, ammazzamenti e colpi di teatro (a parte la rivoltellata fuori scena che dà appunto il via alla storia).
Protagonista de "Gli intrusi" è un anziano avvocato in ritiro, ormai fuori com'è dal giro di tribunali e clienti. Hector Loursat da anni infatti - da quando la sua giovane moglie l'ha abbandonato, lasciandolo a badare all'unica figlia - è solo un vecchio misantropo, uso a trascorrere la giornata chiuso nel suo studio in compagnia di qualche bottiglia. Ma un giorno, anzi una notte, un colpo di arma da fuoco proveniente da una camera da letto lo costringe, malgré lui, ad uscire dal proprio isolamento e a prendere atto non solo che in quella stanza è stato assassinato uno sconosciuto, ma soprattutto di come vari "intrusi" circolino da tempo nella sua abitazione senza che lui - perso nel sonnambulismo etilico - se ne sia mai accorto. E, quel che peggio, la figlia potrebbe essere coinvolta nell'omicidio: è stata lei, su sollecitazione di alcuni suoi giovani amici, ad ospitare la vittima sotto il tetto paterno, ovviamente ad insaputa del genitore.
Questo l'avvio del libro. Ma, ripeto, non si pensi assolutamente a un giallo, anche se gli ingredienti per un noir mozzafiato ci sarebbero tutti. Simenon opta invece per un racconto giocato sullo scavo psicologico, preferendo insistere con un acume da vero anatomista dell'animo umano sulla metamorfosi che trasforma l'introverso e rinunciatario Loursat in un difensore combattivo nei confronti del ragazzo accusato del delitto: un giovane che l'anziano avvocato, finalmente uscito dalla sua apatia, scopre in ritardo essere da tempo l'amante della figlia. Così, dopo anni di volontaria reclusione nella sua casa, il protagonista esce da una scomoda torre d'avorio in cui il rancore contro il tradimento della moglie l'aveva murato ed è "come se avesse ricominciato a vivere", quantunque ciò che Loursat prende a fare non ha nulla di eclatante: si tratta per lui appena di riprendere i contatti con la città "ordinata e precisa" in cui (soprav)vive da sempre e con la gente che la abita: borghesucci che ospitano nell'armadio gli scheletri consueti; invidie, squallidi tradimenti coniugali, spregevoli propositi. E bisognerà snidare fra essi il più inconfessabile: quello di uccidere un uomo per evitare il suo ricatto, per preservare l'immagine di una rispettabilità borghese tutta e soltanto di facciata.
Così l'indagine che l'avvocato porta avanti in parallelo con quella della polizia è un rovistare fra i panni sporchi della propria famiglia e di una cittadina di provincia all'insegna di un quieto vivere da difendere a tutti i costi, omicidio compreso. Che poi (come vuole la grammatica tradizionale romanzesca) l'enigma dello sconosciuto morto ammazzato venga risolto nelle ultime pagine da un Loursat lucidissimo e battagliero, alla fin fine risulta secondario.
Francesco Roat
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