Calcio, ei fu siccome immobile
Sponsor padroni, calendari stravolti, giocatori usa e getta, scommesse, regole assurde. E' questo oggi il gioco del pallone. Che, come è emerso da un curioso incontro a Coverciano fra addetti ai lavori come Lippi e Pecci e il mondo della cultura, sta perdendo il suo fascino. E, tradito dagli interessi economici, non offre più gli spunti che una volta affascinavano scrittori, registi e poeti
Giorni fa le porte del Centro tecnico di Coverciano una volta tanto non si sono aperte per i calciatori della Nazionale prima di una partita, o per gli allievi di un corso allenatori a caccia di una panchina di serie A. Hanno invece accolto scrittori, docenti universitari, drammaturghi, disegnatori satirici, registi e attori, con la partecipazione di un grande del cinema italiano come Alberto Sordi. Giovandosi degli interventi di addetti ai lavori del calibro di Marcello Lippi, ex allenatore di Inter e Juve, e di Eraldo Pecci, commentatore televisivo (nonchè ex calciatore), tutti questi rappresentanti del mondo dell' arte e della cultura hanno dato vita, proprio nel "tempio" degli azzurri, a due giorni di dibattito su un tema singolare, quanto affascinante: i rapporti che legano il calcio alla drammaturgia e alla letteratura.
La manifestazione, ideata dallo storico del teatro Siro Ferrone, e promossa da Figc e Teatro di Anghiari, si è resa interessante per due motivi principali: le potenzialità narrative del gioco più popolare del mondo, e le trasformazioni in pieno corso nel laico quanto domenicale rito della partita di pallone. A ben guardare sono due problematiche fra loro intrecciate a filo doppio. Se è infatti vero che grandi scrittori contemporanei, tipo il Nick Hornby di "Febbre a 90" (Guanda editore) o l' Osvaldo Soriano di "Futbol" (Einaudi), sono riusciti a raccontare il calcio come grande evento, sociale e poetico, è altrettanto indubbio che i loro seguaci si trovano sempre più spiazzati da uno sport destinato a cambiare in continuazione, e non necessariamente in meglio.
Cerchiamo di capirci. Fino a una decina di anni fa il calcio ha costituito un rito più o meno immutabile, fissato su regole secolari quanto apparentemente intoccabili. Era più o meno il calcio dei giocatori-bandiera (Riva del Cagliari, Baresi del Milan, Conti della Roma, Antognoni della Fiorentina, Bettega della Juventus), del campionato rigorosamente domenicale (oppure legato al sabato, come in Inghilterra), delle divise sempre uguali, degli stranieri in numero contingentato, delle timide sponsorizzazioni. Tutti questi fattori contribuivano a formare quella mitologia del pallone che, oltre ai libri citati, ha ispirato le famose poesie di Umberto Saba, l'entusiasmante giornalismo letterario di Gianni Brera e Giovanni Arpino, le belle canzoni lasciate alla memoria popolare da Adriano Celentano ("Eravamo in centomila"), Roberto Vecchioni ("Luci a San Siro") e Antonello Venditti ("Grazie Roma"). Oggi il quadro è diverso. Si ha inoltre la netta impressione che già domani cambierà ancora, e che dopodomani sarà tutta un' altra cosa. E dire che ciò dipende dagli orientamenti del mercato aiuta a capire fino a un certo punto.
Soprattutto non aiuta il calcio a uscire dalla sua indubbia crisi di identità. Calciatori-bandiera scomparsi, atleti che in teoria possono cambiare quattro maglie in un anno, ombre di doping e di partite truccate (adesso che poi le scommesse sono lecite, si salvi chi può), maglie irriconoscibili pur di accontentare gli sponsor, campionato diluito in due giorni, orari delle partite condizionati dalla televisione, coppe europee stravolte pur di farvi partecipare tutte le squadre che hanno un rilevante peso economico... Ci si pur fermare qui, perché ognuno di noi sa cosa sommare in questa lista che comprende tutte le diavolerie inventate da questo tirannico dio mercato pur di adulterare il calcio, riservandogli la stessa fine del buon vino contaminato dagli additivi chimici.
Per quanto ci riguarda, aggiungeremmo solo un' osservazione relativa alle regole. E' vero, tanti zero a zero erano noiosi, e l'introduzione dei tre punti ha dato una salutare scossa allo spettacolo. Ma altre, recenti novità proprio non c'entrano nulla con il calcio amato per così tanti anni da milioni e milioni di persone. Espellere un giocatore perché esulta troppo? Oppure perché, come nelle eroiche partite all'oratorio, si sostituisce al suo portiere e para un gol che pareva fatto? No, non ci siamo. Per non parlare di certi "rigoretti", che danno tre punti a una squadra grazie al suo cascatore più abile o per un casuale tocco di dita nell' angolo alto dell'area. Ci siamo ancora meno. Forse ai poeti e agli scrittori non resta altro che "cantare", con profonda nostalgia, un certo, mitico calcio del passato.
Stefano Ferrio
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