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redarrowleft.GIF (53 byte) Economia Dicembre 2000  
 

Picasso in leasing

Una tavola rotonda sull’arte e sul collezionismo. Che non voleva tanto parlare delle opere, degli autori e dei suoi mecenati. Ma di come sposare il patrimonio dei privati e le istituzioni pubbliche. Senza penalizzare nessuno dei due. Come? Con il comodato d’uso, l’affitto, i prestiti. E coniugare, per il bene di tutti, l’economia all’arte

Chi è il collezionista? E cosa lo spinge a puntare, anche a suo rischio, sull’arte? Secondo il conte Panza di Biumo il collezionismo nasce principalmente dalla volontà di stabilire un contatto con l’artista (ciò vale però quasi esclusivamente per l’arte contemporanea), di unire "chi apprezza l’arte e chi la fa". Ciò comporta anche un rischio, quello di scegliere, "separare l’effimero dal permanente , riconoscere il diamante nel fienile" ed è però allo stesso tempo la parte più stimolante, creativa e arricchente del lavoro poiché, per essa, è necessario tracciare una linea di separazione con le proprie conoscenze pregresse, con la propria cultura, con i pregiudizi, aprendosi al nuovo, al diverso, all’intuito che però deve essere anche comprensione. Proprio così nasce nel 1956, la raccolta dei coniugi Panza di Biumo. E spesso nello stesso modo sono nate altre grandi collezioni. Arrivate a volte nei musei italiani, per fortuna. Ma spesso finite in quelli esteri, sparse fra acquirenti danarosi di mezzo mondo o rimaste ad ammuffire negli scantinati. Eppure i sistemi per conservare, valorizzare e rendere visibili tante raccolte d’arte costruite negli anni con passione (e, perché no, senso degli affari) ci sono. Come il comodato d’uso, l’affitto, il prestito. Insomma, perché non può esistere il leasing anche per un Picasso?

Anche di questo hanno parlato sabato 25 novembre nella Sala Teresiana della Biblioteca Braidense di Milano in una tavola rotonda dal titolo "Collezionismo & Istituzioni: le collezioni private e i musei pubblici", primo di due appuntamenti dedicati ad Arte e Mecenatismo (l’altro si è tenuto a Venezia il 2 dicembre con argomento "Economia e Cultura: un binomio possibile. Pubblico e privato per la conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico."). Ad organizzare i due incontri, a loro volta inseriti nel più vasto programma "I percorsi di cultura ed economia", Il Sole 24 Ore, con l’intento di "riflettere sui principali temi che caratterizzano il mondo delle collezioni e delle donazioni dell’arte". A parlare sono stati chiamati i collezionisti Cristiana Curti, nipote di Augusto e Francesca Giovanardi, Laura Mattioli Rossi, figlia di Gianni Mattioli, il conte Giuseppe Panza di Biumo, Enrico Vitali, figlio del professor Lamberto Vitali e Matteo Lampertico della Christie’s Milano.

Come per Panza di Biumo anche per Gianni Mattioli il collezionismo nasce, da principio, come contatto diretto con gli artisti: nato nel 1903 ha un’infanzia e adolescenza difficili ma molto stimolanti culturalmente. Ancora molto giovane conosce e stringe amicizia con Boccioni e in seguito, con gli altri futuristi di cui ammira moltissimo le opere, in cui vede i segni della nascita dell’arte moderna italiana. Con l’affermarsi della sua attività imprenditoriale negli anni trenta comincia la collezione che si arricchisce molto nel decennio ’30-’40. La partecipazione alla vita "vera" del suo tempo si manifesta anche nell’ impegno civile di Mattioli che lo vede attivo anche durante la guerra (grazie a lui molti ebrei riusciranno ad espatriare). Egli percepisce la "vita" dell’arte, la considera come mezzo dell’esplicarsi della dignità umana e per questo cerca il più possibile di diffonderla e renderla fruibile al pubblico. Racconta oggi la figlia che negli anni dal ’50 al ’67 Gianni prese in affitto una sala da esposizione da lui stesso tenuta aperta la domenica per rendere accessibile alla gente la collezione.

Proprio ricordando l’intuito e la vivacità intellettuale del padre, anche Laura Mattioli si trova d’accordo nel ribadire il ruolo centrale del collezionista "è assurdo pensare che il Pubblico investa i soldi della collettività nell’arte contemporanea". È giusto invece che lo faccia chi ha i mezzi e l’amore per farlo; solo dopo un periodo di "sedimentazione" di 30-50 anni si saprà se l’intuizione era corretta. Quella di Mattioli lo fu senz’altro ed oggi possiamo ammirare capolavori come "Materia" di Boccioni (a moltissimi altri) alla "Collezione Mattioli" esposta a Palazzo Venier dei Leoni di Venezia.

Grande amico degli artisti fu anche Lamberto Vitali che, perennemente alla ricerca "delle cose che lo chiamavano", strinse grande amicizia, tra gli altri, con Morandi. Il suo collezionismo fu però, rispetto a quello degli altri citati, più a trecentosessanta gradi. Dipinti dei Macchiaioli, di Modiglioni, Morandi, una stampa di Leonardo, alcune incisioni e molti pezzi di archeologia tra cui una singolare raccolta di pesi romani. Proprio l’archeologia egli amava in quanto diceva di ritrovare in essa le radici dell’arte contemporanea (nel bronzetto etrusco, ad esempio, egli vedeva Giacometti..).

Ma dove si trovano oggi queste grandi collezioni? L’Italia è un paese "poco ospitale", lo dimostrano i numerosi e vani tentativi del conte Panza di esporre le sue opere nel nostro Paese. Pur avendo molte potenzialità in quanto a spazi espositivi l’Italia si mostra però spesso poco aperta ad accordi e compromessi con il mondo del collezionismo. Ricorda il conte Panza di aver cercato "spazi" in molte città italiane da Parma all’Arsenale di Venezia, dal Castello di Vigevano a quello di Rivoli: nulla, e si è visto costretto a vendere parte della collezione a musei americani, molto interessati a ritornare in possesso di opere di loro artisti nazionali. Una scelta forse più "filologicamente" corretta ma che sicuramente ha privato l’Italia della possibilità di possedere capolavori americani degli anni 50’ e ’60. Stesso dicasi per la collezione Gianni Mattioli, finita a Venezia (ma solo come prestito a lungo termine e si spera che torni presto a Milano).

Diversa la storia per la raccolta di Augusto e Francesca Giovanardi (costituita da opere del ‘900 italiano tra cui Moranti, Carrà, Sironi, De Pisis..) ora al Mart di Trento (con un contratto di 6 anni di comodato a titolo oneroso), per un totale di novanta opere, con una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti: il corrispettivo versato alla famiglia per questo "prestito" non basterebbe al museo nemmeno per comprare 2 o 3 Morandi di media qualità! Anche il desiderio di Lamberto Vitali che le sue opere restassero a Milano è stato soddisfatto e ora, parte si trovano a Brera, parte al Museo Archeologico, parte, le incisioni, alla Bertarelli.

Il comodato, per ora, sembra essere la strada del futuro, rimane tuttavia il grave problema degli spazi espositivi. Come andare avanti? Come dovrà essere un museo di arte contemporanea? (si pensi all’attualità e complessità che questo problema assume anche già solo a Milano). Come dovrà incrementarsi questo museo nel futuro fino a che la storia non avrà scelto per noi tra le opere d’arte? Il collezionista può e deve certamente essere una guida in questo senso.

Martha M. Friel

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