Picasso in
leasing
Una tavola
rotonda sull’arte e sul collezionismo. Che non voleva tanto
parlare delle opere, degli autori e dei suoi mecenati. Ma di
come sposare il patrimonio dei privati e le istituzioni
pubbliche. Senza penalizzare nessuno dei due. Come? Con il
comodato d’uso, l’affitto, i prestiti. E coniugare, per il
bene di tutti, l’economia all’arte
Chi è il
collezionista? E cosa lo spinge a puntare, anche a suo
rischio, sull’arte? Secondo il conte Panza di Biumo il
collezionismo nasce principalmente dalla volontà di stabilire
un contatto con l’artista (ciò vale però quasi
esclusivamente per l’arte contemporanea), di unire "chi
apprezza l’arte e chi la fa". Ciò comporta anche un
rischio, quello di scegliere, "separare l’effimero dal
permanente , riconoscere il diamante nel fienile" ed è
però allo stesso tempo la parte più stimolante, creativa e
arricchente del lavoro poiché, per essa, è necessario
tracciare una linea di separazione con le proprie conoscenze
pregresse, con la propria cultura, con i pregiudizi, aprendosi
al nuovo, al diverso, all’intuito che però deve essere
anche comprensione. Proprio così nasce nel 1956, la raccolta
dei coniugi Panza di Biumo. E spesso nello stesso modo sono
nate altre grandi collezioni. Arrivate a volte nei musei
italiani, per fortuna. Ma spesso finite in quelli esteri,
sparse fra acquirenti danarosi di mezzo mondo o rimaste ad
ammuffire negli scantinati. Eppure i sistemi per conservare,
valorizzare e rendere visibili tante raccolte d’arte
costruite negli anni con passione (e, perché no, senso degli
affari) ci sono. Come il comodato d’uso, l’affitto, il
prestito. Insomma, perché non può esistere il leasing anche
per un Picasso?
Anche di questo hanno parlato
sabato 25 novembre nella Sala Teresiana della Biblioteca
Braidense di Milano in una tavola rotonda dal titolo "Collezionismo
& Istituzioni: le collezioni private e i musei pubblici",
primo di due appuntamenti dedicati ad Arte e Mecenatismo
(l’altro si è tenuto a Venezia il 2 dicembre con argomento
"Economia e Cultura: un binomio possibile. Pubblico e
privato per la conservazione e valorizzazione del patrimonio
artistico."). Ad organizzare i due incontri, a loro
volta inseriti nel più vasto programma "I percorsi di
cultura ed economia", Il Sole 24 Ore, con l’intento di
"riflettere sui principali temi che caratterizzano il
mondo delle collezioni e delle donazioni dell’arte". A
parlare sono stati chiamati i collezionisti Cristiana Curti,
nipote di Augusto e Francesca Giovanardi, Laura Mattioli
Rossi, figlia di Gianni Mattioli, il conte Giuseppe Panza di
Biumo, Enrico Vitali, figlio del professor Lamberto Vitali e
Matteo Lampertico della Christie’s Milano.
Come per Panza di Biumo anche
per Gianni Mattioli il collezionismo nasce, da principio, come
contatto diretto con gli artisti: nato nel 1903 ha un’infanzia
e adolescenza difficili ma molto stimolanti culturalmente.
Ancora molto giovane conosce e stringe amicizia con Boccioni e
in seguito, con gli altri futuristi di cui ammira moltissimo
le opere, in cui vede i segni della nascita dell’arte
moderna italiana. Con l’affermarsi della sua attività
imprenditoriale negli anni trenta comincia la collezione che
si arricchisce molto nel decennio ’30-’40. La
partecipazione alla vita "vera" del suo tempo si
manifesta anche nell’ impegno civile di Mattioli che lo vede
attivo anche durante la guerra (grazie a lui molti ebrei
riusciranno ad espatriare). Egli percepisce la
"vita" dell’arte, la considera come mezzo dell’esplicarsi
della dignità umana e per questo cerca il più possibile di
diffonderla e renderla fruibile al pubblico. Racconta oggi la
figlia che negli anni dal ’50 al ’67 Gianni prese in
affitto una sala da esposizione da lui stesso tenuta aperta la
domenica per rendere accessibile alla gente la collezione.
Proprio ricordando l’intuito
e la vivacità intellettuale del padre, anche Laura Mattioli
si trova d’accordo nel ribadire il ruolo centrale del
collezionista "è assurdo pensare che il Pubblico investa
i soldi della collettività nell’arte contemporanea".
È giusto invece che lo faccia chi ha i mezzi e l’amore per
farlo; solo dopo un periodo di "sedimentazione" di
30-50 anni si saprà se l’intuizione era corretta. Quella di
Mattioli lo fu senz’altro ed oggi possiamo ammirare
capolavori come "Materia" di Boccioni (a
moltissimi altri) alla "Collezione Mattioli" esposta
a Palazzo Venier dei Leoni di Venezia.
Grande amico degli artisti fu
anche Lamberto Vitali che, perennemente alla ricerca
"delle cose che lo chiamavano", strinse grande
amicizia, tra gli altri, con Morandi. Il suo collezionismo fu
però, rispetto a quello degli altri citati, più a
trecentosessanta gradi. Dipinti dei Macchiaioli, di
Modiglioni, Morandi, una stampa di Leonardo, alcune incisioni
e molti pezzi di archeologia tra cui una singolare raccolta di
pesi romani. Proprio l’archeologia egli amava in quanto
diceva di ritrovare in essa le radici dell’arte
contemporanea (nel bronzetto etrusco, ad esempio, egli vedeva
Giacometti..).
Ma dove si trovano oggi queste
grandi collezioni? L’Italia è un paese "poco
ospitale", lo dimostrano i numerosi e vani tentativi del
conte Panza di esporre le sue opere nel nostro Paese. Pur
avendo molte potenzialità in quanto a spazi espositivi l’Italia
si mostra però spesso poco aperta ad accordi e compromessi
con il mondo del collezionismo. Ricorda il conte Panza di aver
cercato "spazi" in molte città italiane da Parma
all’Arsenale di Venezia, dal Castello di Vigevano a quello
di Rivoli: nulla, e si è visto costretto a vendere parte
della collezione a musei americani, molto interessati a
ritornare in possesso di opere di loro artisti nazionali. Una
scelta forse più "filologicamente" corretta ma che
sicuramente ha privato l’Italia della possibilità di
possedere capolavori americani degli anni 50’ e ’60.
Stesso dicasi per la collezione Gianni Mattioli, finita a
Venezia (ma solo come prestito a lungo termine e si spera che
torni presto a Milano).
Diversa la storia per la
raccolta di Augusto e Francesca Giovanardi (costituita da
opere del ‘900 italiano tra cui Moranti, Carrà, Sironi, De
Pisis..) ora al Mart di Trento (con un contratto di 6 anni di
comodato a titolo oneroso), per un totale di novanta opere,
con una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti: il
corrispettivo versato alla famiglia per questo
"prestito" non basterebbe al museo nemmeno per
comprare 2 o 3 Morandi di media qualità! Anche il desiderio
di Lamberto Vitali che le sue opere restassero a Milano è
stato soddisfatto e ora, parte si trovano a Brera, parte al
Museo Archeologico, parte, le incisioni, alla Bertarelli.
Il comodato, per ora, sembra
essere la strada del futuro, rimane tuttavia il grave problema
degli spazi espositivi. Come andare avanti? Come dovrà essere
un museo di arte contemporanea? (si pensi all’attualità e
complessità che questo problema assume anche già solo a
Milano). Come dovrà incrementarsi questo museo nel futuro
fino a che la storia non avrà scelto per noi tra le opere d’arte?
Il collezionista può e deve certamente essere una guida in
questo senso.
Martha M. Friel
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