Il Natale del
Terzo Millennio
fra sbirri, orchi e arte digitale
In questo 2000
sempre più inafferrabile e inquietante anche i libri sugli
orchi non sono favole ma realtà. Così sotto l’albero ecco
tre letture non proprio morbide: un sos anti-pedofili, una
Palermo fatta di poliziotti teneri e tremendi e il futuro
incerto di un arte sempre più tecnologica. Nell’attesa che
qualcuno ci dica, ora che siamo adulti, che Babbo Natale
esiste veramente
Sul
versante letterario in Sicilia non è presente solo il
commissario Montalbano di Camilleri a combattere la malavita.
Ci sono anche gli "sbirri" descritti così
empaticamente (sarà che lo scrittore è un agente della
Questura) da Piergiorgio di Cara, al suo esordio narrativo in
"Cammina, stronzo" (DeriveApprodi). Uomini
spietati coi mafiosi, ma anche tenerissimi – specie se una
collega ha "un bel culo" –; veri e propri antieroi
condannati loro malgrado a ritmi impossibili, fatti magari di
turni di ventriquattr’ore da sopportare solo con l’ausilio
di panini, sigarette e caffè. Uomini duri controvoglia;
costretti a una vita e a un lavoro (che, per l’impegno e la
durata del secondo, spesso finiscono per equivalere) all’insegna
di "impegni presi e persi" e di "cose che non
vanno", molte, in una città – Palermo – la quale
appena a tarda notte pare normale, "però sappiamo che
non lo è".
Una città "crocevia di
civiltà, di culture", ma anche covo di cosche criminali
e teatro di efferatezze senza eguali. Lì si muovono ed
operano gli umanissimi sbirri di Cammina, stronzo,
spesso in bilico tra paura e coraggio, fra la tentazione di
gettare la divisa alle ortiche e il giusto orgoglio per un’attività
che però, sebbene esaltante, "ti curva e ti
invecchia".
Così finisce che si
assomigliano un po’ tutti i poliziotti dal linguaggio un po’
scurrile, caro alla scrittura vivace di Di Cara – un mix di
gergalità pluristratificata: dal lessico da caserma a quello
malavitoso, dal dialetto (stupendo e musicale come è sempre
quello siciliano) a un parlato/colloquiale che a tratti si
accende di qualche metafora forbita – e non a caso uno di
loro, che torna più volte sulla scena di questi racconti
mozzafiato, si chiama Cardìa: anagramma del nome dell’autore.
Certo, fra di loro non manca la pecora nera: lo sbirro cattivo
de "La polizia non paga". Ma più che un disonesto o
malvagio egli ci sembra piuttosto un perdente, schiacciato dal
lavoro a cui non crede più e dal matrimonio a rotoli.
Insomma, parafrasando Nietzsche, ci appare alla fine anche lui
terribilmente umano, troppo umano.
L’arte
moderna si presenta al contempo "totale e
incompiuta" ed ogni rappresentazione: iconica, verbale,
gestuale, digitale in quanto ambisce a superare ogni limite o
confine tende a contaminarsi, accogliendo "l’irregolarità
e l’imperfezione"; però al contempo rifiuta ogni
retorica, ogni ideale assolutizzante di compiutezza, di
significazione esaustiva. Questa, in estrema sintesi, al di
là dell’analisi intorno alle trasformazioni dei generi
artistici in rapporto alla recente evoluzione/rivoluzione
tecnologica, mi sembra la riflessione cardine del pur
articolatissimo saggio di Valentina De Angelis "Arte e
linguaggio nell’era elettronica" (Bruno Mondadori).
Come la consapevolezza – già
peraltro sottolineata da J. Mukarovsky – di quanto l’esteticità
diffusa abbia via via assunto un posto preminente presso le
società occidentali al tramonto del secondo millennio; al di
là dell’arte in senso stretto, ovviamente. Si pensi solo a
fenomeni pervasivi come la moda, i mass media o la
pubblicità; con tutto ciò che ne consegue rispetto all’ipertrofia
del mero "piacere" estetico senza più riflessione
critica alcuna. Non a caso, sottolinea l’autrice, negli
ultimi tempi, anche grazie all’informatica, "il potere
della visione diventa esorbitante"; in primo luogo
ibridando pericolosamente arte e comunicazione, in secondo
poiché l’immagine filmica, catodica o fotografica può
prescindere totalmente dal referente oggettivo – in parole
povere da cose o persone – fino a creare un mondo suo
proprio, del tutto virtuale e avulso da quello reale.
Così il vissuto mediatico si
sostituisce a quello fisico, nonostante il computer possa
realizzare immagine iperrealistiche, col rischio di non
riuscire più a distinguere tra finzione e realtà. Per non
parlare della "rinuncia a una decodifica interiore"
di fronte all’aumento di messaggi e alla rapidità
cangiante/stressante degli stimoli visivi. Così l’immagine
tende sempre più verso la perfezione formale del segno e, ad
onta di ogni effetto tridimensionale, rimane paradossalmente
alla superficie. Allora – dice bene De Angelis – cogliere
le immagini e il loro senso divengono due operazioni
ben distinte, ma non è sempre facile realizzare la seconda;
sebbene sia condivisibile il fatto che la mutazione
cibernetica possa in ogni caso consentire "straordinarie
capacità di sintesi, di accumulo e di selezione".
Parole
per uccidere l’orco. E’ il sottotitolo del libretto, o del
dialogo a due voci edito da Baldini & Castoldi "SOS
Pedofilia", dello scrittore Claudio Camarca e della
psicoterapeuta Maria Rita Parsi. Un colloquio serrato per fare
il punto sulla pedofilia, anzi sulla pedofobia – come
sostiene la psicologa –, ritenendo che non vi sia nessun
"amore" verso i piccoli da parte dei pedofili, ma
piuttosto un odio conseguente alla paura di quel bambino
interiore "che, nel cuore di ogni orco, è stato
sconfitto, umiliato, negato, piegato, brutalizzato,
incattivito". Un rancore fatto di attrazione e ripulsa:
mix micidiale che sa esprimersi solo attraverso la violenza,
mediante comportamenti i quali – vale la pena ribadire la
pregnanza etimologica del termine – violano appunto,
profanandola, l’innocenza del bambino e demoliscono la sua
infanzia con abusi volti a ottenere prestazioni sessuali che
non appartengono certo allo statuto infantile. In quest’ottica
il pedofilo è quindi un vero e proprio orco che, possedendo
il bimbo, lo "uccide" in quanto tale forzandolo ad
assumere atteggiamenti adulti e negandolo come persona per
ridurlo a mero oggetto di piacere.
Eppure, insistono gli autori,
nonostante la gravità del fenomeno di pedofilia si parla
ancora troppo poco e solo nel caso in cui la violenza dell’orco
si fa omicida. I dati, invece, sono allarmanti. Su 18 milioni
di adulti che durante l’anno praticano il cosiddetto turismo
sessuale, il 10% di loro ama intrattenersi sessualmente con
minori di 14 anni. Ben 7 milioni sono i piccoli che in tutto
il mondo vengono avviati alla prostituzione infantile, che
ogni anno aumenta di circa 800.000 casi. Nei soli Stati Uniti
ammontano a 250 le riviste che si occupano di pornografia
pedofila, e il giro d’affari del mercato legato alla
pedofilia è stimato intorno alla bella cifra di 10 miliardi
di dollari all’anno.
Purtroppo – denunciano
Camarca e Parsi – "la pedofilia è l’esatta
riproduzione di una società incentrata sui poteri". Una
società consumistica e manipolatoria, presso cui si determina
la "negazione assoluta del bambino" che non è più
"al centro del nostro universo". Ma i nostri figli,
se lasciati a se stessi, non sufficientemente amati,
considerati, integrati (o, specularmente, se iperprotetti),
possono diventare vittime delle attenzioni malsane dell’orco.
Meditate, gente, meditate.
Francesco Roat
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