E Mosè sul Mar
Rosso concede il bis
Era finito in
soffitta, soppiantato nel 1827 dalla versione
"parigina" per l’Operà riscritta dallo stesso
Gioachino Rossini. Ma il "Mosè in Egitto" prima
maniera, riproposto all’apertura della stagione lirica
2000-2001 del teatro Filarmonico di Verona, resta di grande
effetto. Grazie anche alla oramai classica preghiera "Dal
tuo stellato soglio". Che si è guadagnata anche una
replica a furor di pubblico
"Mosè in Egitto" è
una composizione di carattere biblico e fa parte della
consuetudine napoletana, affermatasi a partire dall’ultimo
ventennio del 1700 che, dicendola con Franco Piperno era "un compromesso tra la
tradizionale devozionalità del periodo quaresimale e la
favorevole disposizione del sovrano a concedere a impresari,
artisti e pubblico una stagione teatrale in più".
L’opera è di Gioachino
Rossini su libretto di Leone Tottola che trasse liberamente la
trama dalla tragedia "L’Osiride" di Francesco
Ringhieri e rappresentata a Padova nel 1760. Il Tottola
aggiunse l’intreccio amoroso tra Osiride, il figlio del
Faraone, e la giovane israelita Elcia, che aveva segretamente
sposata, dando così maggior vigore all’impegno di Osiride
affinchè il padre trattenesse in schiavitù in Egitto il
popolo di Mosè. La prima rappresentazione avvenne il 5 marzo
1818 al Teatro San Carlo di Napoli con Isabella Colbran,
Andrea Nozzari e Michele Benedetti; pur con questo cast che
oggi si direbbe "stellare" l’opera fu accolta bene
per i primi due atti ma naufragò al breve terzo atto tra urla
e risate anche per inconvenienti tecnici nella scena del
passaggio del Mar Rosso.
L’anno successivo Rossini
riscrisse interamente il terzo atto aggiungendo la famosa
preghiera "Dal tuo stellato soglio": l’opera fu
accolta freddamente al primo e secondo atto ed ottenne un
successo trionfale al terzo atto per merito della famosa
"preghiera".
Nel 1827 Rossini rifece la
partitura per l’Opéra di Parigi portandola da tre a quattro
atti intitolandola "Moisè et pharaon ou le passage de la
Mer Rouge" e andò in scena con enorme successo il 26
marzo 1827; l’opera fu poi tradotta in italiano con il
titolo di "Mosè"; va sottolineato che il lavoro
fatto per le scene parigine non è un semplice rifacimento ma
l’opera, pur mantenendo i caratteri iniziali, fu totalmente
ripensata. Fu introdotto un primo atto nel quale gli ebrei
esultano perchè pensano di essere liberi quando invece il
faraone dà un contrordine e Mosè, scuotendo la verga, fa
calare le tenebre sull’Egitto; la scena delle tenebre si
sposta quindi dal primo al secondo atto. Con l’avvento sulla
scena del "Moisè et pharaon" il "Mosè in
Egitto" cadde in oblio e fu riscoperto solamente nel
1981. Nel 1832 il Theatre des Italiens diede una serie di
rappresentazioni del "Moisè et pharaon" e Balzac ne
trasse materiale per la sua novella "Massimiliano Duni".
"Mosè in Egitto" è
un’opera straordinaria che già dalle prime battute con un
tortuoso motivo che bene descrive la scena delle tenebre,
mostra la somma arte di Rossini; le pagine corali sono di
grande bellezza ed i caratteri dei personaggi sono stagliati
con cura e precisione. A Mosè Rossini affida una sola aria
mentre il suo canto è un declamato che mette in luce tutta la
ieraticità del personaggio. Mirabile è l’equilibrio
formale tra la grandezza del fatto biblico e l’intreccio
amoroso tra Elcia e Osiride anche se non sempre la qualità
della musica che Rossini riserva ai due amanti e segreti sposi
raggiunge i vertici riservati alle peripezie degli israeliti.
Per alcune pagine del "Mosè
in Egitto" Rossini ricorre a prestiti da sue opere; il
tema principale del duetto Osiride-Faraone è tratto dal
duetto Ninetta-Giannetto de "La gazza ladra", il
coro che precede l’aria di Elcia "Se a mitigar tue
cure" proviene, salvo piccoli cambiamenti, dall’"Adelaide di Borgogna" (Roma 1817) mentre l’aria
di Amaltea "La pace smarrita" ricalca un’aria del
"Ciro in Babilonia" (Ferrara 1812).
Il metodo di lavoro di Rossini
in quegli anni era frenetico; basti pensare che nel novembre
del 1817 andò in scena a Napoli "Armida", nel
dicembre del 1817 fu rappresentata a Roma dall’
"Adelaide di Borgogna" mentre "Mosè in
Egitto" vide la luce a Napoli il 5 marzo 1818 e il 3
dicembre dello stesso anno fu la volta di "Ricciardo e
Zoraide". Nel 1819 vengono rappresentate ben cinque opere
e cioè "Ermione" a Napoli, "Edoardo e
Cristina" al Teatro di San Benedetto a Venezia, "La
donna del lago" a Napoli e "Bianca e Falliero"
a Milano. Questo superlavoro portava certamente l’autore a
ricorrere a degli autoimprestiti ma nel "Mosè in
Egitto" per alcuni brevi recitativi ricorse all’ausilio
di amici musicisti mentre alla prima rappresentazione venne
inserita l’aria di Faraone "A rispettarmi
apprendi" scritta dall’amico Carafa, diventata poi per
mano di Rossini "Tu di ceppi m’aggravi la mano": l’aria
di Carafa era un’eccellente composizione tanto che veniva
spesso eseguita al posto di quella rossiniana.
"Mosè in Egitto" è
comunque un’opera unitaria di grande bellezza che nulla ha
da invidiare al rifacimento del 1827. L'apertura della
stagione lirica 2000-2001 al teatro Filarmonico di Verona è
avvenuta appunto con il "Mosè in Egitto" ed è
stato uno spettacolo di notevole interesse. Esso proveniva dal
Teatro dell'Opera di Montecarlo con regia, scene e costumi di
Pierluigi Pizzi, ripresa da Massimo Gasparon. Edizione sobria
con elementi scenici essenziali ma di grande effetto anche se
è parzialmente mancata la spettacolarità nella scena finale
del passaggio del Mar Rosso.
Molto belli i costumi in oro e
cobalto per gli egiziani e bianchi per gli israeliti creando
così un suggestivo contrasto dal punto di vista figurativo.
Mosè era Giorgio Surian che ha
dato vigore alla figura del profeta con una interpretazione
molto sentita e con una vocalità di rilevo.
Ottima Elcia è stata Cecilia
Gasdia che ha saputo trasmettere con intensità il complesso
problema psicologico del personaggio: ineccepibile la forma
vocale e la tenuta del soprano veronese che si è trovata
ampiamente a suo agio in tutti i difficili passi della
tessitura rossiniana. Osiride era Stefano Secco voce piuttosto
chiara ma bene impostata e dotata di un fraseggio fine ed
accurato.
Artista di mestiere e ben
calato nel personaggio Robert Gierlach nella parte del Faraone
che ha risolto brillantemente la difficile aria del primo
atto. Paula Almerares interpretava il ruolo di Amaltea,
soprano di agilità con una bella presenza scenica ed un
registro acuto assai importante. Completavano la compagnia
Stefano Consolini e Francesco Piccoli, non sempre ineccepibili
mentre Paola Fornasari Patti (Amenofi) si è ben disimpegnata
nel suo ruolo.
La lettura di Claudio Sciamone
è stata precisa e minuziosa, sempre attenta ad ogni
particolare e l'Orchestra dell'Ente Arena di Verona lo ha
felicemente assecondato. Ottima la prestazione del coro
guidato da Armando Tasso: a grande richiesta è stato eseguito
il bis della famosa preghiera "Dal tuo stellato soglio" che ha suscitato una vera ovazione da parte del
numeroso pubblico.
Luciano Maggi
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