Opera per voce
sola
Un solo
interprete vocale e un mimo. L’Ultima cena di Cristo e un
banchetto di prostitute. Così l’autore bresciano Camillo
Togni in "Barrabas" volle rappresentare il dualismo
tra lo spirito e i piaceri della carne. Un lavoro difficile ma
originale andato in scena al Teatro Grande di Brescia assieme
all’opera "Il Mito di Caino" di Franco Margola
Il Teatro Grande di Brescia ha
messo in scena due atti unici di autori bresciani; si tratta
di "Barrabas" di Camillo Togni (Brescia 1922-1993) e
de "Il Mito di Caino" di Franco Margola (Orzinuovi
1908-1992 ). Due opere con due linguaggi completamente
diversi; dodecafonica la prima e di stile neoclassico
pizzettiano la seconda. Si deve notare che Margola è stato
insegnante di Togni ed è significativo il fatto che il modo
di comporre dei due autori sia completamente diverso; segno
evidente che Margola si è reso conto del valore dell’allievo
e lo abbia lasciato percorrere vie diverse da quelle della sua
arte compositiva senza porre alcuna coercizione.
"Barrabas" fa parte
di una progettata trilogia iniziata con "Blaubart" e
che avrebbe dovuto concludersi con "Maria Magdalena"
se l’autore non fosse mancato. La rappresentazione bresciana
di "Barrabas" può considerarsi una prima assoluta
in quanto l’opera, per una serie di circostanze, non è mai
stata rappresentata in forma scenica. La partitura di Togni è
stata scritta ispirandosi ad una novella del poeta austriaco
Mark Trakl, uomo di notevole complessità ossessionato dall’amore
incestuoso per la sorella e morto suicida nel 1914. L’opera
di Togni è essenzialmente corale ed ha un solo interprete
vocale che rappresenta un giovane ricco in una parte
difficilissima mentre la figura di Barrabas è sostenuta da un
mimo.
Nel lavoro è sostanzialmente
rappresentato un dualismo tra lo spirito e i piaceri carnali
individuati da vari segni contrapposti come le palme che
accolgono il Cristo e le rose gettate dal giovane a Barrabas o
il banchetto delle prostitute che fa da contraltare all’ultima
Cena o la corona di rose rosse del giovane e la corona di
spine. L’opera è suddivisa in cinque scene sostenute
principalmente dal coro nella funzione di Historicus mentre
nella terza scena vi è l’intervento del tenore che
impersona il giovane il cui canto si contrappone alla pura
fisicità di Barrabas, personaggio muto. L’esecuzione
bresciana si è avvalsa dell’ottimo coro del Circuito lirico
regionale società cooperativa servizi teatrali ottimamente
preparato e diretto dal maestro Valentino Metti: il tenore era
Martyn Hill che si è disimpegnato molto bene nel lungo e
difficile monologo della terza scena.
"Il Mito di Caino"
del maestro Franco Margola è stato scritto su libretto di
Edoardo Ziletti ed è andato in scena a Bergamo per il Teatro
delle Novità nel 1940 diretto da Gianandrea Gavazzeni e narra
l’episodio biblico dell'uccisione di Abele da parte di
Caino.
In questa partitura è molto
interessante la differenziazione tra le parti di Adamo, Eva e
Abele trattate in modo delicato con le armonie dure e
dissonanti della parte di Caino; l’orchestrazione è ricca,
cupa e fa sempre presagire il dramma che verrà consumato alla
fine.
Caino è stato impersonato con
vigore dal baritono Marco Santoro mentre Abele era il tenore
Gustavo Porta non sempre a suo agio e con qualche difficoltà
nell’articolazione dei suoni. Brava Sonia Corsini (Ararat)
che ha messo in mostra un temperamento drammatico unito ad una
buona vocalità mentre Marco Spotti era Adamo ed Alessandra
Zapparoli Eva. La scena, unica per i due spettacoli,
costituita da una specie di teatro diroccato era di Giacomo
Andronico mentre la regia era curata da Monica Conti.
Vittorio Parisi ha egregiamente
diretto i due lavori a capo dell’Orchestra dei "
Pomeriggi Musicali" di Milano mettendo bene in risalto il
valore delle due partiture così differenti.
Luciano Maggi
|