Arte Gennaio 2001 (a cura di Giovanna
Grossato)
PROFILI
D’ARTISTA
PAOLA
ROMANZINI – Gli argini della forma
Paola Romanzini è una scultrice
che ha vissuto pochissimo la dimensione pubblica del suo lavoro,
pur lavorando intensamente, fino ad oggi, da quindici anni. La sua
formazione fa capo a quella ormai poco frequentata scuola degli
autodidatti, la più faticosa e quella che offre gli esiti più
incerti che obbliga a percorrere da soli e sempre in salita i
gradini di un’esperienza che ha radici remote. Anche se
certamente ha giovato alla Romanzini la frequentazione dello
studio di Nereo Quagliato, dove, come afferma lei stessa, ha avuto
la possibilità di “respirare” la vita dell’atelier, il
rapporto con l’affermato scultore si configura maggiormente come
una relazione amicale piuttosto che come un alunnato.
Del resto a intridere con
grande evidenza le terrecotte di Paola Romanzini è tutta la
tradizione neo-figurativa plastica dei primi del Novecento,
italiana e non. Da Marino Marini, a Giacometti a Arturo Martini,
fino a Minguzzi, a Moore, a Manzù.
Nell’impasto vigoroso
dell’argilla vi sono mescolati motivi classici e forme al limite
dell’astrazione, simbolismi surreali e ritratti dal forte
accento espressivo. Il tutto in una sintesi che raggiunge quasi
sempre una solida coerenza e una grande autonomia della forma
plastica.
I contributi personali
della Romanzini alla storia della
scultura si avvalgono di una carica istintiva
assai convincente, non inquinata da compiacimenti
superflui, e, nello stesso tempo, colta e raffinata. La scelta del
figurativo, rispetto alle istanze di ricerca contemporanea volte
all’astrazione e al minimalismo, non costituisce, in realtà una
scelta: stando alle affermazioni della stessa Romanzini,
l’importante è che “i conti tornino”. Che poi la figura
rappresenti un ben riconoscibile corpo di donna piuttosto che una
forma che si articola muta e senza nome nello spazio, il lavoro
dell’artista è identico. In ogni circostanza in cui
l’argilla, l’acqua e lo scultore si incontrano, la luce permea
la materia, i pieni e i vuoti giocano i loro rapporti,
l’equilibrio della composizione tende ai suoi limiti e la
scultura diviene opera d’arte nella misura in cui i ruoli e le
funzioni di questi elementi dialogano tra loro nella pienezza
delle loro possibilità, fino a raggiungere quella sintesi che
costituisce un linguaggio espresso nella sua onnipotenza semantica
e un richiamo all’anima e ai sensi di qualsiasi persona
sia dotata di un minimo di permeabilità al lessico dell’arte.
In tal senso c’è una sapienza
innata, nell’opera di Paola Romanzini, che si mescola con una
ineludibile necessità di fare, di plasmare una terra che da
greve, diventa leggera e si anima, da inerte che era nel suo stato
originario, di una vita intensa, sofferente o felice dipende,
persino priva, apparentemente, di un qualunque progetto. Il
progetto “a priori” anche se certo non può mancare
all’interno di un’opera che sta per compiersi, spesso rimane
nascosto a lungo, fino all’ultimo, prima di manifestarsi alle
stesse mani dell’artista per suggerire loro il percorso da dare
o quale possibilità offrire alla nascita di una forma.
G. G.
|