Speciale Sanremo
(4)
28 febbraio
2001
Ancora Russell Crowe e Eminem. Del resto non c'è molto altro
in questo Festival. Eminem che ha deluso le attese (o
viceversa, a scelta) ha cantato nessuno ha capito bene cosa (a
conferma che il suo americano è a noi incomprensibile e la
polemica era perciò sterile) e Russell Crowe che quando parla
ha una voce da brivido (dicono le colleghe ma mi par di capire
che hanno ragione) e quando canta invece è niente più che un
cantante da pianobar. Da ottimo conoscitore dello star system,
il Gladiatore è calato a Sanremo con occhiali stile Bono e
non li ha tolti nemmeno per un istante né durante le prove né
in conferenza stampa e tantomeno sul palco. Proprio come fanno
le rockstar. Il look, l'aura e la bellezza ci sono. Peccato
manchi il grosso, il necessario. Ma a un Festival così debole
poco importa.
Su Eminem c'è però altro da dire. Una riflessione da fare.
Legata al Festival e - se possibile - a un suo
"ruolo".
E
Raffaella Carrà? "Maga Maghella, Maga Maghella, che si
fa brutta, che si fa bella..." Faceva più o meno
così - eravamo bambini - una delle sue canzonette. Un
tormentone. Un'ossessione. Soprattutto per chi poco più
che
decenne, già si era orientato su Pink Floyd e Genesis. Se a
quel tempo ci avessero chiesto come avremmo immaginato il
primo Festival del terzo millennio, non avremmo avuto dubbi.
Una città degli spettacoli dentro una stazione orbitante,
come minimo, con gli artisti che arrivavano in astronave o
roba del genere. E a presentarlo? Be', trent'anni fa avremmo
pensato a chiunque, ma non certo di avere ancora davanti a noi
Raffaella Carrà. Quella di Maga Maghella, appunto. E averla
in dosi ancora più massicce che a Canzonissima, dove almeno
faceva solo la valletta. Insomma, è come se fossimo tutti
ancora aggrappati a quell'ombelico, quello del Tuca Tuca, il
ballo più assurdo e meno sensuale - pur volendo esserlo a
tutti i costi - mai visto sul pianeta. Un look rimasto
indelebile nel tempo, come un marchio, quel caschetto biondo
finto, i pantaloni attillati e la risata non certo da dama di
compagnia (l'ombelico, per ovvi motivi, è stato abbandonato a
un certo punto). Neanche la Carrà fosse la Vespa o la Coca
Cola.
Anche quando faceva Maga Maghella, a noi bambini di allora
mica riusciva a intortarci. Ma che voleva quella lì?
Eppure piace, la Carrà. A chi non si sa. Mai sentito qualcuno
ammettere il suo apprezzamento alla donna dell'ombelico. Mai.
Come quando chiedevi a qualcuno se avesse votato DC. Misteri
dello stivale.
Eppure questo è il suo Festival. Ne ha coniato pure lo
slogan, "Più Sanremo che c'è", e sul manifesto c'è
una silouhette nera e un caschetto biondo. Ricorda qualcosa
tipo "A come Andromeda". Una extraterrestre, allora,
Raffaella. Dev'essere per questo che è ancora qui.
Nonostante le sue insopportabili mossette, quelle che fa
quando si esibiscono gli ospiti, tanto sa bene che il fido
Japino è prontissimo a staccare su di lei, per non farci
dimenticare - mai - che è il Festival della Carrà, questo. E
che - ahinoi - lei è il personaggio più perfetto possibile
per presentare il Festival di Sanremo." Più Carrà che
c'è"...
E
infine i Beatles. Hanno presentato un musical ai grandi
magazzini Coin, a due passi dall'Ariston. Un musical dedicato
a Brian Epstein, colui che molti considerano un po'
"l'inventore" dei Beatles. Gli attori e il gruppo
dei "Quarrymen" (bravissimi, quando sono entrato
eseguivano "Get Back" e io credevo si trattasse di
un disco...) si sono esibiti sopra a un lettone (stile Lennon
e Yoko Ono) scatenandosi in danze sfrenate vestiti in pigiama
(i maschietti) e in camicia da notte (le femminucce). Luogo
inevitabile: il reparto biancheria intima di Coin. Strano modo
di ricordare i Beatles, e di presentare uno spettacolo. A metà
fra il kitsch e qualcosa di peggio. Anche in questo caso però,
la forza dei Beatles, della loro musica, ha prevalso. E tutti
cantavano canzoni che ormai sono dei veri e propri inni.
Per fortuna ci sono i Beatles e... i Camaleonti. Sì, quelli
di "Io per lei" e di "Applausi". Un
concerto dal vivo al Palafiori all'una di notte, per poche
decine di spettatori. Il più classico dei revival, che spesso
rasentano il patetico, nostalgia al rosolio ma che dopo i
Gazosa e "Turuturu" sembrano l'essenza vera della
musica. Potere del Festival, anche questo.
R.F.
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