Speciale Sanremo
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1 marzo 2001
Sanremo è una città divisa in due. Non da una frontiera o un
muro. No Dalla ferrovia. E se vi trovate dalla parte
sbagliata, dieci minuti di attesa non ve li troglie nessuno. E
in quei dieci minuti, prima che il treno passi, puoi
osservarla un po' meglio, Sanremo. E rimettere in ordine gli
appunti di questi giorni. E allora ti rendi conto che questa
divisione non è soltanto topografica. C'è una frattura più
vaga ma al contempo netta: c'è la Sanremo del baraccone e la
Sanremo che va a fare la spesa. Lo spettacolo e la quotidianità.
La Sanremo che riesci a vedere solo quando c'è la pausa della
nazionale. Passeggiare e scoprire vicoli e stradicciole, come
in una città qualunque, quella che forse ormai i sanremesi
vorrebbero. Che gliene importa ormai, dopo 51 anni, di
sopportare ogni 358 giorni di avere una città blindata e
soffocata?
Non deve dare una grande soddisfazione vivere in una città in
cui l'assessore alla cultura - in sala stampa - esclama -
pensando di non essere sentito - "questa è una sala di
leccaculi". Oppure abitare laddove Staffelli di Striscia
La Notizia e i Sottotono si prendono a posaceneri in testa.
In sala stampa arriva il foglio coi testi tradotti che Eminem
ha cantato l'altra sera. La sera in cui non è successo nulla.
Ma su Eminem, prima di archiviare l'argomento c'è ancora
qualcosa da dire. Chissà se Erika e Mauro, i ragazzi di Novi
Ligure, ascoltavano le canzoni di Eminem. Magari quella sera
lo stavano ascoltando in camera loro, prima di essere sorpresi
dalla madre di lei. Chissà se conoscevano quella strofa dove
dice di tagliare la gola al padre. Probabilmente no,
probabilmente non capiscono così bene l'americano dei rapper,
come del resto il 99 per cento degli italiani.
Mi auguro che a questo punto qualcuno abbia già sgranato gli
occhi, che stia pensando "ora questo qui ha superato ogni
limite". Me lo auguro davvero e con lui mi scuso.
L'accostamento quanto meno sconveniente e assurdo fra la
musica pop e un fatto tanto violento e tragico non sono stato
io a farlo. Lo stanno facendo qui a Sanremo. Un paio di sere
fa una trasmissione della Rai dedicata al duplice omicidio era
collegata in diretta anche con il Festival. Il presidente
della commissione di vigilanza della Rai aveva chiesto di non
far cantare Eminem anche alla luce della tragedia di Novi
Ligure. Da una parte la "sanremizzazione" della
cronaca, della realtà, dall'altra la censura.
E un cantante diventa la grossolana chiave di interpretazione
della quotidianità, un bersaglio a cui puntare il dito. Di
nuovo, invece di guardarci dentro, andiamo con lo sguardo
oltre il cortile di casa. Oltreoceano addirittura.
Che Eminem sia un personaggio discutibile basta poco a
capirlo. Ma che c'entra con un episodio di cronaca che
dovrebbe smuovere le coscienze? Che dovrebbe rimettere in
discussione certezze e valori di questa società? Nulla.
Ovvio.
Ma oggi realtà e fiction, quotidianità e spettacolo si
confondono, si mescolano, ci vengono spacciate come se fossero
la stessa cosa. Niente di più facile allora, per spiegarci
quell'episodio, che trovare un bersaglio grosso e ben
visibile. Assurdo e al contempo, però, assurdamente
verosimile. Così il rapper bianco razzista e antisemita,
all'improvviso non è più una sterile polemica da Festival
della canzonetta, un'esca da mettere sotto il naso
dell'audience (che abbocca sempre, state tranquilli abbocca
sicuro), ma addirittura un argomento di sociologia da salotto.
O d'accatto, se preferite.
Sta a vedere che stavolta abbiamo capito qual è la vera forza
del Festival. Altro che canzone italiana: Sanremo ha la
capicità di ammantare di sé qualunque cosa, cronaca,
politica, sport, tutto. Siamo tutti sanremizzati. E forse,
ahimè, il virus non dura una settimana soltanto. Forse, dopo
51 edizioni, quel malessere è diventato cronico. Invisibile e
inguaribile la sanremizzazione ha - forse - ammantato tutto. E
chissà, nel momento in cui riusciremo debellarlo, il virus
(il Festival), questo diventerà - forse - un paese più
normale.
R.F.
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