La globalizzazione dei mercati
è ufficialmente entrata in uno dei luoghi più sacri e
conservatori che ci siano: il tifo sportivo. Primo passo: il mega
accordo commerciale fra i New York Yankees del baseball e il
Manchester United del calcio. Un precedente che trasformerà
presto i vecchi gemellaggi fra ultras di squadre e perfino di
nazioni diverse. Perché a decidere non saranno più i sostenitori
dei club. Ma gli uomini d’affari
Ma il mercato ha un’anima? Perché se forse
non la possiede, sembra comunque provvisto di una particolare
sensibilità, incline a trasformare in business qualsiasi moto
dell’animo umano. Compresa quella singolare e positiva variante
del tifo calcistico nota con il nome di gemellaggio. Qualcosa di
indefinibile e bizzarro, secondo cui "fino a oggi" gli
ultras legati a squadre di città (e a volte di nazioni) diverse,
hanno stipulato vere e proprie sinergie delle passioni, nel cui
segno sostenere non solo i propri beniamini, ma anche quelli amati
dai "gemelli". In Italia è un fenomeno che riguarda ad
esempio le curve di Fiorentina e Verona, Vicenza e Udinese, Lazio
e Inter.
Fino a oggi, si diceva. Il tema va infatti
rianalizzato in modo radicale all’indomani dell’accordo
commerciale appena sottoscritto dal Manchester United e dai New
York Yankees. Si comincia dal merchandising, con imponenti
punti-vendita dove trovare tute, maglie, scarpe e qualsivoglia
"gadget" di entrambe le formazioni, puntando a estendere
gli effetti della partnership a marketing, promozione multimediale
e, dulcis in fundo, diritti televisivi. Tanto per inquadrare la
portata dell’evento, sono squadre che si gemellano sull’altare
del dio denaro pur non praticando il medesimo sport.
La prima, oltre a essere da circa sei anni senza
rivali in Inghilterra, è anche la società calcistica più ricca
del mondo, grazie proprio a un imponente merchandising, da sommare
a voci come sponsor, diritti televisivi e vendita dei biglietti.
La seconda vale altrettanto nel baseball, sport nazionale
statunitense, per i cui fans dire Yankees è come pronunciare l’amato-odiato
nome Juventus in Italia. E’ abbastanza lecito sostenere che il
ventiseiesimo scudetto conquistato dagli Yankees nell’autunno
scorso, con finale play off vinta quattro a uno contro i
concittadini Mets, abbia spaccato a metà un pubblico americano
diviso fra odio e amore nei confronti dello squadrone che fa di
Manhattan la capitale mondiale del baseball.
Alla luce di tali presupposti, anche ammettendo
che il mercato non abbia un’anima, va comunque riconosciuto che
Charlie Stillitano, principale ideatore dell’accordo nei panni
di ex general manager dei Metrostar, squadra di calcio di New
York, è uomo dotato di una diabolica intelligenza commerciale.
Una sorta di incrollabile fede, che Stillitano è stato capace di
trasmettere ai massimi dirigenti di Manchester e Yankees, al punto
di farli firmare l’accordo senza prima avere risolto un problema
apparentemente monumentale: e cioè coinvolgere nel progetto sia
la Adidas, sponsor tecnico degli Yankees (contratto decennale da
95 milioni di dollari), che la Nike, partner invece dello United
(440 milioni di dollari per quindici anni).
In realtà la filosofia che ispira un’alleanza
del genere si fonda su numeri così imponenti, dati dalla somma di
milioni e milioni di tifosi, da passare sopra perfino alle
ipotetiche ritorsioni delle due principali multinazionali di
articoli sportivi. Come se fosse piuttosto naturale una loro
futura sinergia, o tacita non belligeranza, mirata al comune
obbiettivo di "creare" nuovi tifosi: all’Old Trafford
fans dei Red Devils dotati di cappellini da Charlie Brown, e al
Giants’ Stadium sostenitori degli Yankees seduti con rossa
sciarpa del Manchester al collo. Prima ancora di concludere che il
mercato una sua anima dannata ce l’ha, eccome, sarà bene
mettere in relazione la mostruosità economica dell’accordo
anglo-americano con il tenero spontaneismo da cui sono stati
"fino a oggi" caratterizzati i gemellaggi calcistici.
Cose germinate anche sulla sorprendente scia di una storia d’amicizia
come quella che, qualche anno fa, ha dato vita alle accese
passioni condivise fra i tifosi veneti del Vicenza e gli ultras
alsaziani del Metz.
"Fino a oggi", bisogna ribadire, dato
che proprio la dimensione kolossal della neonata joint-venture
Manchester-Yankees rischia di condizionare pesantemente il futuro
di queste collettive infatuazioni da curva. Pare infatti difficile
sottrarsi a una globalizzante morale della favola, secondo cui
asettiche leggi di pianificazione domineranno anche un bisogno di
gemellarsi da incanalare dove portano le vele sovrane del
merchandising. Così da immaginare le prossime comparse alla
ribalta di altre gigantesche creature multidisciplinari, tipo Real
Madrid (calcio)–Boston Celtics (basket), All Blacks (rugby)–McLaren(automobilismo),
Dallas Cowboys (football)–Suzuki (motociclismo), con eventuali
corollari di multinazionali dove, in nome dello sponsor di turno,
Vicenza e Metz si ritroveranno separate lungo piramidi che
porranno obbligatoriamente al vertice un Milan da una parte e un
Paris Saint Germain dall’altra.
Fantascienza? Speriamo che lo sia, incoraggiando
nel frattempo il proliferare di ben altri gemellaggi, magari nel
segno di un "piccolo è bello" da sviluppare sull’onda
nuda e cruda del fattore umano, del tam tam in Rete, delle
affinità elettive fra curve che soffrono e amano con
straordinaria intensità. Così da favorire miracoli in grado di
tenere Vicenza e Metz non solo unite, ma anche collegate a nuove
compagne di ventura, tipo una squadra di pallavolo spagnola, una
formazione di pallamano polacca, un club sciistico giapponese, una
"big" del prestigioso campionato pakistano di hockey su
prato, e una sconosciuta "provinciale" del più eroico
rugby australiano. In fondo, a ben guardarlo, più che un’anima,
il mercato possiede delle leve che gli uomini sono in grado di
manovrare a loro piacimento. Sai che bello se una volta tanto la
direzione, piuttosto che verso una United-Yankees, fosse nel senso
di un immaginifico "mondo di sport", dove trovare solo
chi fa sport. E non chi lo vende.