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redarrowleft.GIF (53 byte) Società Marzo 2001  
 

VI° Rapporto POSTER 
 Associazione Industriali

LA SOCIETA’ VICENTINA

Aspettative, opinioni e valori dei cittadini

 

SCENARIO 2001

 

IL COMMENTO

di Ilvo Diamanti

SONDAGGIO SVOLTO
NEL GENNAIO 2001

UNA SOCIETA’ DISSOCIATA?

Una società incerta e spaesata, sospettosa; che si guarda intorno con preoccupazione. E’ ciò che esce da questo Rapporto sulle opinioni dei vicentini, giunto al sesto appuntamento annuo.

Una società dissociata. Che procede rapida e spedita lungo la strada dello sviluppo. Che non conosce la disoccupazione. E si tiene saldamente ai puntelli tradizionali: la famiglia, la Chiesa e l’impresa. Ma mentre si globalizza e corre veloce, sembra allontanarsi dal suo contesto sociale, dal territorio. La società sembra perdere la società. Si smarrisce. Impaurita da nuove minacce – come la criminalità. Da paure che crescono anche perché il mondo che la circonda è meno amico. Meno ricco di rapporti interpersonali, di solidarietà.

Per questo ha bisogno, più di prima, di riferimenti istituzionali, che diano certezza. Ma ha bisogno al tempo stesso di ricostruire le relazioni sociali, il tessuto dei contatti personali. Di riprendersi il territorio.

SUCCESSO ECONOMICO E INSICUREZZA PERSONALE

Non vi sono motivi "materiali" alla base dei timori di vicentini. Le aspettative nel futuro, quanto all’economia e al lavoro, sono positive. Il mondo degli affetti, delle relazioni familiari e amicali continua ad apparire gratificante. Al pari dei riferimenti associativi più radicati: le organizzazioni imprenditoriali, la Chiesa. I problemi sorgono, invece, dal rapporto con l’ambiente circostante, che risulta, sempre meno amico, sempre meno vivibile e percorribile. Si sta spezzando, cioè, il legame fra la società e il territorio, che da luogo di vita e di relazioni tende a diventare, o meglio, ad apparire un terreno ostile, rischioso; povero di occasioni di incontro e di comunicazione sociale.

Così che la casa, la famiglia, le cerchie amicali più ristrette acquistano sempre più valore, ma appaiono, al tempo stesso, rifugi, quasi fortezze; luoghi di chiusura, piuttosto che punti di riferimento aperti e proiettati all’esterno.

D’altra parte camminare per strada dopo una certa ora, girare in bicicletta, mandare i bambini a scuola da soli viene considerato molto pericoloso da 6-7 persone su 10. E altrettante persone non si sentono protette senza un sistema d’allarme in casa. C’è una pericolosità ambientale che spinge i vicentini tra le mura domestiche, nei circuiti stretti della parentela e degli amici.

Inoltre, i problemi dichiarati più importanti dai cittadini evocano altrettanti segni della "pericolosità" e dell’ostilità del territorio circostante: la viabilità, satura e intransitabile, che diventa per i vicentini l’emergenza; la criminalità comune, che continua a costituire una minaccia incombente; il degrado ambientale, che comincia a turbare seriamente gli occhi e la mente delle persone. Un contesto che ai vicentini sembra, quindi, sempre più difficile da vivere; insidioso e stressante da attraversare e percorrere; rischioso, per la sicurezza personale e familiare; deteriorato, deturpato. Certamente non ameno.

E’ come se i vicentini scoprissero, bruscamente, di vivere in una metropoli diffusa, con i problemi e le tensioni tipiche di una realtà ad alta intensità urbana, dopo aver creduto, fino a poco tempo fa, di essere ancora immersi in un mondo comunitario; in un paese punteggiato di rapporti diretti fra persone; in uno spazio transitabile, animato da persone e di relazioni. L’impatto delle trasformazioni, per questo, risulta loro più pesante, meno accettabile. Abituati a vivere nelle piazze e nelle strade, inseriti in una rete fitta di relazioni sociali; usi a muoversi senza fatica e senza timori in un territorio di grande qualità estetica, oltre che ambientale, la scoperta dei "mali" della città diffusa li (ci) rende più sofferenti e insofferenti. Così come appare loro meno sopportabile la tendenza all’autoreclusione, che cresce in molti settori della società. Un terzo dei vicentini, d’altronde, passa la maggior parte del tempo esterno al lavoro da solo o con i familiari. Rinchiuso in casa; rifugiandosi nelle relazioni "corte".

INCERTI E SPAESATI

E’ per questo che appaiono spaesati. Sono cambiati profondamente e in fretta. Ma la percezione di questo mutamento non è facile da assorbire; da tollerare. Il che rende la società locale ancora più reattiva. Più insicura. Non a caso una persona su due considera il futuro "difficile, incerto e carico di rischi, per sé e per la propria famiglia". Il 5% in più di due anni fa. Un indice superiore a quello nazionale.

Né il rapporto con lo Stato e con le istituzioni sembra migliorato. Resta alta, non a caso, la fiducia nelle "forze dell’ordine", che riflette la domanda di protezione e di sicurezza; ma anche nel Presidente della Repubblica, oggi unico riferimento comune e unitario, al di là delle generazioni e delle colorazioni politiche, per i vicentini (come per gli italiani in generale). E le stesse istituzioni locali – comuni e regioni – ed europee registrano un buon grado di confidenza, fra i cittadini. Ma altri ambiti che, nel passato recente, mobilitavano le aspettative e i sentimenti sociali oggi suscitano consensi assai minori, come la magistratura; oppure generano delusione, come le banche e la borsa.

Lontani dallo Stato, scoraggiati dai canali che promuovono le aspettative di miglioramento economico e finanziario individuale e sociale; e, peraltro, sempre più soli nel loro ambiente. I vicentini sembrano pagare a caro prezzo il loro successo economico, il loro benessere, la loro soddisfazione circa i luoghi della vita quotidiana (famiglia, lavoro, amicizia), immersi come appaiono in un clima di incertezza, ritiro dal mondo delle relazioni sociali, fuga dal territorio, paura del futuro.

L’ATTEGGIAMENTO VERSO GLI IMMIGRATI: FRA REALISMO E TIMORE

Va detto che il senso generalizzato di insicurezza che inquieta i vicentini, non impedisce loro di valutare e affrontare con realismo i principali fenomeni e le principali trasformazioni che segnano questa fase. Spesso, cioè, la paura che li pervade costituisce un sentimento indistinto, sintomo di un malessere più ampio, che si ridimensiona e comunque si precisa di fronte a questioni definite e concrete. E’ il caso, in particolare, dell’immigrazione. Gli immigrati, com’è noto, costituiscono al tempo stesso una risorsa e una fonte di timore per molti cittadini, in quanto – anche se talora impropriamente – la loro presenza viene collegata all’aumento di tensioni come il diffondersi della criminalità comune. Oppure alla possibile crisi di identità culturale e religiosa della popolazione locale. Tuttavia, l’indagine mostra come i vicentini si pongano di fronte al fenomeno, senza farsi travolgere dalle emozioni e dai risentimenti.

L’immigrazione, infatti, è vissuta come una minaccia per l’identità culturale e religiosa dal 28% dei cittadini. Non è poco, ma resta una minoranza. Come nel resto del paese.

Più alta è, invece, la quota di chi la concepisce come una minaccia per l’ordine pubblico: il 37%. Un dato, peraltro, inferiore sia a quello veneto che a quello nazionale.

Per contro, il 53% dei vicentini considera l’immigrazione necessaria allo sviluppo dell’economia locale; e il 77% di essi riconduce le tensioni prodotte dall’immigrazione ai clandestini. Nei confronti degli immigrati, quindi, i vicentini esprimono un atteggiamento contraddittorio, ma senza estremismi. Senza pregiudizi ideologici. Provano disagio, perché è un fenomeno nuovo per un’area che storicamente ha rappresentato una terra di emigranti, non di immigrazione. Perché l’immigrazione si associa a tanti altri cambiamenti, a tante altre trasformazioni. Però riescono, al tempo stesso, a capire che in larga misura l’entità del fenomeno è prodotta dall’interno, dalle nostre esigenze, dalle dinamiche dello sviluppo economico e del mercato del lavoro. Ne percepiscono la necessità e, al tempo stesso, ne provano inquietudine. Però non sono ciechi e insensibili. Non preferirebbero, come talora si sente dire, che venissero senza farsi vedere. Che lavorassero senza vivere in mezzo agli altri. Tant’è che il problema non è l’immigrazione. Ma l’immigrazione clandestina. Tant’è che il 60% dei cittadini vede, come soluzione alle tensioni suscitate dal fenomeno, la "normalizzazione" della condizione degli immigrati, attraverso la casa (60%) e il ricongiungimento familiare (66%).

IL SALTO GENERAZIONALE

Questi dati suggeriscono che anche in quest’area ci si abituerà all’immigrazione; anzi che ci si stia già abituando ad essa. Ma indicano come occorra abituarsi presto ai molti, diversi cambiamenti che investono la nostra società. Anzi: al cambiamento, in generale. Occorre, cioè, superare lo spaesamento. Capire che il villaggio in cui si pensava di vivere e abitare non c’è più; perché siamo inseriti in un contesto globalizzato; perché noi stessi abbiamo contribuito a cambiare il nostro contesto locale, con il nostro lavoro, con le nostre abilità. Dobbiamo, cioè, fare i conti con la metropoli che siamo diventati. E affrontare i cambiamenti interni alla nostra società. Le fratture che l’attraversano. Perché le tensioni, il disagio che attraversa la realtà vicentina, non riguardano allo stesso modo tutta la società. E’ una tendenza che avevamo osservato già lo scorso anno. E quest’anno si ripropone: più profonda e marcata. Vicenza appare, infatti, una società dissociata non solo per il disassamento fra il mondo di vita delle persone e il contesto che le circonda. Ma anche internamente: per i salti che ne segnano la continuità biografica.

Osservando le tendenze e gli orientamenti dei vicentini, infatti, emerge una doppia frattura: generazionale e culturale. Fra giovani e anziani; fra persone ad alta e bassa scolarità. Fratture che si implicano e compongono reciprocamente. E delineano distanze più ampie rispetto a quelle delle tradizionali forme di stratificazione sociale (la classe, il reddito).

La paura: è tanto più forte fra gli anziani, a bassa scolarità, con una rete corta di relazioni sociali. Settori sociali pervasi da sfiducia, inquietudine, incertezza nel futuro; perplessi verso il futuro, lontani dalle istituzioni, afflitti dalla solitudine, scettici verso le nuove tecnologie, timorosi di fronte all’immigrazione. Al contrario i giovani, con elevato grado di istruzione: immersi in reti di amicizie aperte e molteplici, non molto ottimisti nei confronti del futuro, ma meno spaventati dal clima di incertezza in cui sono immersi, integrati nei nuovi media, più aperti verso gli immigrati.

IL RISCHIO DI IMBOCCARE UNO SVILUPPO SENZA SOCIETA’

Tutto normale? Replica di un copione noto? Non è del tutto vero. Perché rispetto al passato si rileva una differenza profonda: i giovani sono in costante declino. Gli adulti e gli anziani in forte crescita. La società vicentina è una società invecchiata rapidamente. Le paure che la attraversano non riflettono solamente i cambiamenti rapidi di una società che si è trasformata dal punto di vista economico e culturale; e che al contempo si è globalizzata intensamente. Riproducono anche una società più sazia, sterile, biograficamente invecchiata.

E’, quindi, una società che deve fare i conti con problemi di diverso segno. Ma, peraltro, noti. Che possono trovare risposta attraverso politiche sociali e infrastrutturali. In tempi non troppo lontani, visto che stanno producendo un impatto molto forte sugli orientamenti delle persone. L’insicurezza ambientale e la viabilità, in particolare. E’, quindi, una società che deve essere aiutata dal sistema politico, dalle istituzioni, a ricostruire un ambiente di vita amico, protetto, sicuro. Ma che deve, al contempo, ricostruire il suo tessuto di relazioni, il suo rapporto con il contesto. Afferrando gli appigli che la sua stessa tradizione gli offre. Ricorrendo, ad esempio, a quel 22% di persone che si dicono impegnati nel sociale e nel volontariato.

Ricostruire la socialità e riconquistare il territorio, per garantire sicurezza nel presente e nel futuro: questo potrebbe essere lo slogan per rispondere all’inquietudine che scuote i vicentini.

Ma, al tempo stesso, appare importante riprendere il dialogo e la comunicazione fra generazioni. Fra genitori e figli. Fra anziani, adulti e giovani.

E riprendersi il tempo per capire ciò che sta avvenendo attorno a noi. Questo sviluppo è nato grazie alla società che gli sta intorno. Ma oggi il percorso dello sviluppo economico e della società sembra divergere. Non bisogna permettere che la società si ritiri e si prosciughi. Ne soffrirebbe lo stesso sviluppo. Ma ne soffriremmo anzitutto noi.

Ilvo Diamanti
15 marzo 2001

I grafici e le tabelle

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