VI° Rapporto
POSTER
Associazione Industriali
LA SOCIETA’ VICENTINA
Aspettative, opinioni e
valori dei cittadini
SCENARIO 2001
IL COMMENTO
di Ilvo Diamanti
SONDAGGIO SVOLTO
NEL GENNAIO 2001
UNA SOCIETA’
DISSOCIATA?
Una società
incerta e spaesata, sospettosa; che si guarda intorno con
preoccupazione. E’ ciò che esce da questo Rapporto sulle
opinioni dei vicentini, giunto al sesto appuntamento annuo.
Una società
dissociata. Che procede rapida e spedita lungo la strada dello
sviluppo. Che non conosce la disoccupazione. E si tiene
saldamente ai puntelli tradizionali: la famiglia, la Chiesa e
l’impresa. Ma mentre si globalizza e corre veloce, sembra
allontanarsi dal suo contesto sociale, dal territorio. La
società sembra perdere la società. Si smarrisce. Impaurita
da nuove minacce – come la criminalità. Da paure che
crescono anche perché il mondo che la circonda è meno amico.
Meno ricco di rapporti interpersonali, di solidarietà.
Per questo ha
bisogno, più di prima, di riferimenti istituzionali, che
diano certezza. Ma ha bisogno al tempo stesso di ricostruire
le relazioni sociali, il tessuto dei contatti personali. Di
riprendersi il territorio.
SUCCESSO
ECONOMICO E INSICUREZZA PERSONALE
Non vi sono
motivi "materiali" alla base dei timori di
vicentini. Le aspettative nel futuro, quanto all’economia e
al lavoro, sono positive. Il mondo degli affetti, delle
relazioni familiari e amicali continua ad apparire
gratificante. Al pari dei riferimenti associativi più
radicati: le organizzazioni imprenditoriali, la Chiesa. I
problemi sorgono, invece, dal rapporto con l’ambiente
circostante, che risulta, sempre meno amico, sempre meno
vivibile e percorribile. Si sta spezzando, cioè, il legame
fra la società e il territorio, che da luogo di vita e di
relazioni tende a diventare, o meglio, ad apparire un terreno
ostile, rischioso; povero di occasioni di incontro e di
comunicazione sociale.
Così che la
casa, la famiglia, le cerchie amicali più ristrette
acquistano sempre più valore, ma appaiono, al tempo stesso,
rifugi, quasi fortezze; luoghi di chiusura, piuttosto che
punti di riferimento aperti e proiettati all’esterno.
D’altra parte
camminare per strada dopo una certa ora, girare in bicicletta,
mandare i bambini a scuola da soli viene considerato molto
pericoloso da 6-7 persone su 10. E altrettante persone non si
sentono protette senza un sistema d’allarme in casa. C’è
una pericolosità ambientale che spinge i vicentini tra le
mura domestiche, nei circuiti stretti della parentela e degli
amici.
Inoltre, i
problemi dichiarati più importanti dai cittadini evocano
altrettanti segni della "pericolosità" e dell’ostilità
del territorio circostante: la viabilità, satura e
intransitabile, che diventa per i vicentini l’emergenza;
la criminalità comune, che continua a costituire una minaccia
incombente; il degrado ambientale, che comincia a turbare
seriamente gli occhi e la mente delle persone. Un contesto che
ai vicentini sembra, quindi, sempre più difficile da vivere;
insidioso e stressante da attraversare e percorrere;
rischioso, per la sicurezza personale e familiare;
deteriorato, deturpato. Certamente non ameno.
E’ come se i
vicentini scoprissero, bruscamente, di vivere in una metropoli
diffusa, con i problemi e le tensioni tipiche di una realtà
ad alta intensità urbana, dopo aver creduto, fino a poco
tempo fa, di essere ancora immersi in un mondo comunitario; in
un paese punteggiato di rapporti diretti fra persone; in uno
spazio transitabile, animato da persone e di relazioni. L’impatto
delle trasformazioni, per questo, risulta loro più pesante,
meno accettabile. Abituati a vivere nelle piazze e nelle
strade, inseriti in una rete fitta di relazioni sociali; usi a
muoversi senza fatica e senza timori in un territorio di
grande qualità estetica, oltre che ambientale, la scoperta
dei "mali" della città diffusa li (ci) rende più
sofferenti e insofferenti. Così come appare loro meno
sopportabile la tendenza all’autoreclusione, che cresce in
molti settori della società. Un terzo dei vicentini, d’altronde,
passa la maggior parte del tempo esterno al lavoro da solo o
con i familiari. Rinchiuso in casa; rifugiandosi nelle
relazioni "corte".
INCERTI E
SPAESATI
E’ per questo
che appaiono spaesati. Sono cambiati profondamente e in
fretta. Ma la percezione di questo mutamento non è facile da
assorbire; da tollerare. Il che rende la società locale
ancora più reattiva. Più insicura. Non a caso una persona su
due considera il futuro "difficile, incerto e carico di
rischi, per sé e per la propria famiglia". Il 5% in più
di due anni fa. Un indice superiore a quello nazionale.
Né il rapporto
con lo Stato e con le istituzioni sembra migliorato. Resta
alta, non a caso, la fiducia nelle "forze dell’ordine",
che riflette la domanda di protezione e di sicurezza; ma anche
nel Presidente della Repubblica, oggi unico riferimento comune
e unitario, al di là delle generazioni e delle colorazioni
politiche, per i vicentini (come per gli italiani in
generale). E le stesse istituzioni locali – comuni e regioni
– ed europee registrano un buon grado di confidenza, fra i
cittadini. Ma altri ambiti che, nel passato recente,
mobilitavano le aspettative e i sentimenti sociali oggi
suscitano consensi assai minori, come la magistratura; oppure
generano delusione, come le banche e la borsa.
Lontani dallo
Stato, scoraggiati dai canali che promuovono le aspettative di
miglioramento economico e finanziario individuale e sociale;
e, peraltro, sempre più soli nel loro ambiente. I vicentini
sembrano pagare a caro prezzo il loro successo economico, il
loro benessere, la loro soddisfazione circa i luoghi della
vita quotidiana (famiglia, lavoro, amicizia), immersi come
appaiono in un clima di incertezza, ritiro dal mondo delle
relazioni sociali, fuga dal territorio, paura del futuro.
L’ATTEGGIAMENTO
VERSO GLI IMMIGRATI: FRA REALISMO E TIMORE
Va detto che il
senso generalizzato di insicurezza che inquieta i vicentini,
non impedisce loro di valutare e affrontare con realismo i
principali fenomeni e le principali trasformazioni che segnano
questa fase. Spesso, cioè, la paura che li pervade
costituisce un sentimento indistinto, sintomo di un malessere
più ampio, che si ridimensiona e comunque si precisa di
fronte a questioni definite e concrete. E’ il caso, in
particolare, dell’immigrazione. Gli immigrati, com’è
noto, costituiscono al tempo stesso una risorsa e una fonte di
timore per molti cittadini, in quanto – anche se talora
impropriamente – la loro presenza viene collegata all’aumento
di tensioni come il diffondersi della criminalità comune.
Oppure alla possibile crisi di identità culturale e religiosa
della popolazione locale. Tuttavia, l’indagine mostra come i
vicentini si pongano di fronte al fenomeno, senza farsi
travolgere dalle emozioni e dai risentimenti.
L’immigrazione,
infatti, è vissuta come una minaccia per l’identità
culturale e religiosa dal 28% dei cittadini. Non è poco, ma
resta una minoranza. Come nel resto del paese.
Più alta è,
invece, la quota di chi la concepisce come una minaccia per l’ordine
pubblico: il 37%. Un dato, peraltro, inferiore sia a quello
veneto che a quello nazionale.
Per contro, il
53% dei vicentini considera l’immigrazione necessaria allo
sviluppo dell’economia locale; e il 77% di essi riconduce le
tensioni prodotte dall’immigrazione ai clandestini. Nei
confronti degli immigrati, quindi, i vicentini esprimono un
atteggiamento contraddittorio, ma senza estremismi. Senza
pregiudizi ideologici. Provano disagio, perché è un fenomeno
nuovo per un’area che storicamente ha rappresentato una
terra di emigranti, non di immigrazione. Perché l’immigrazione
si associa a tanti altri cambiamenti, a tante altre
trasformazioni. Però riescono, al tempo stesso, a capire che
in larga misura l’entità del fenomeno è prodotta dall’interno,
dalle nostre esigenze, dalle dinamiche dello sviluppo
economico e del mercato del lavoro. Ne percepiscono la
necessità e, al tempo stesso, ne provano inquietudine. Però
non sono ciechi e insensibili. Non preferirebbero, come talora
si sente dire, che venissero senza farsi vedere. Che
lavorassero senza vivere in mezzo agli altri. Tant’è che il
problema non è l’immigrazione. Ma l’immigrazione
clandestina. Tant’è che il 60% dei cittadini vede, come
soluzione alle tensioni suscitate dal fenomeno, la
"normalizzazione" della condizione degli immigrati,
attraverso la casa (60%) e il ricongiungimento familiare
(66%).
IL SALTO
GENERAZIONALE
Questi dati
suggeriscono che anche in quest’area ci si abituerà all’immigrazione;
anzi che ci si stia già abituando ad essa. Ma indicano come
occorra abituarsi presto ai molti, diversi cambiamenti che
investono la nostra società. Anzi: al cambiamento, in
generale. Occorre, cioè, superare lo spaesamento. Capire che
il villaggio in cui si pensava di vivere e abitare non c’è
più; perché siamo inseriti in un contesto globalizzato;
perché noi stessi abbiamo contribuito a cambiare il nostro
contesto locale, con il nostro lavoro, con le nostre abilità.
Dobbiamo, cioè, fare i conti con la metropoli che siamo
diventati. E affrontare i cambiamenti interni alla nostra
società. Le fratture che l’attraversano. Perché le
tensioni, il disagio che attraversa la realtà vicentina, non
riguardano allo stesso modo tutta la società. E’ una
tendenza che avevamo osservato già lo scorso anno. E quest’anno
si ripropone: più profonda e marcata. Vicenza appare,
infatti, una società dissociata non solo per il disassamento
fra il mondo di vita delle persone e il contesto che le
circonda. Ma anche internamente: per i salti che ne segnano la
continuità biografica.
Osservando le
tendenze e gli orientamenti dei vicentini, infatti, emerge una
doppia frattura: generazionale e culturale. Fra giovani e
anziani; fra persone ad alta e bassa scolarità. Fratture che
si implicano e compongono reciprocamente. E delineano distanze
più ampie rispetto a quelle delle tradizionali forme di
stratificazione sociale (la classe, il reddito).
La paura: è
tanto più forte fra gli anziani, a bassa scolarità, con una
rete corta di relazioni sociali. Settori sociali pervasi da
sfiducia, inquietudine, incertezza nel futuro; perplessi verso
il futuro, lontani dalle istituzioni, afflitti dalla
solitudine, scettici verso le nuove tecnologie, timorosi di
fronte all’immigrazione. Al contrario i giovani, con elevato
grado di istruzione: immersi in reti di amicizie aperte e
molteplici, non molto ottimisti nei confronti del futuro, ma
meno spaventati dal clima di incertezza in cui sono immersi,
integrati nei nuovi media, più aperti verso gli immigrati.
IL RISCHIO DI
IMBOCCARE UNO SVILUPPO SENZA SOCIETA’
Tutto normale?
Replica di un copione noto? Non è del tutto vero. Perché
rispetto al passato si rileva una differenza profonda: i
giovani sono in costante declino. Gli adulti e gli anziani in
forte crescita. La società vicentina è una società
invecchiata rapidamente. Le paure che la attraversano non
riflettono solamente i cambiamenti rapidi di una società che
si è trasformata dal punto di vista economico e culturale; e
che al contempo si è globalizzata intensamente. Riproducono
anche una società più sazia, sterile, biograficamente
invecchiata.
E’, quindi,
una società che deve fare i conti con problemi di diverso
segno. Ma, peraltro, noti. Che possono trovare risposta
attraverso politiche sociali e infrastrutturali. In tempi non
troppo lontani, visto che stanno producendo un impatto molto
forte sugli orientamenti delle persone. L’insicurezza
ambientale e la viabilità, in particolare. E’, quindi, una
società che deve essere aiutata dal sistema politico, dalle
istituzioni, a ricostruire un ambiente di vita amico,
protetto, sicuro. Ma che deve, al contempo, ricostruire il suo
tessuto di relazioni, il suo rapporto con il contesto.
Afferrando gli appigli che la sua stessa tradizione gli offre.
Ricorrendo, ad esempio, a quel 22% di persone che si dicono
impegnati nel sociale e nel volontariato.
Ricostruire la
socialità e riconquistare il territorio, per garantire
sicurezza nel presente e nel futuro: questo potrebbe essere lo
slogan per rispondere all’inquietudine che scuote i
vicentini.
Ma, al tempo
stesso, appare importante riprendere il dialogo e la
comunicazione fra generazioni. Fra genitori e figli. Fra
anziani, adulti e giovani.
E riprendersi
il tempo per capire ciò che sta avvenendo attorno a noi.
Questo sviluppo è nato grazie alla società che gli sta
intorno. Ma oggi il percorso dello sviluppo economico e della
società sembra divergere. Non bisogna permettere che la
società si ritiri e si prosciughi. Ne soffrirebbe lo stesso
sviluppo. Ma ne soffriremmo anzitutto noi.
Ilvo Diamanti
15 marzo 2001
I
grafici e le tabelle
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