I film di Aprile/Maggio 2001
Snatch – Lo strappo
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Brad Pitt – Benicio Del
Toro – Dennis Farina – Vinnie Jones – Rade Serbedja
– Jason Statham Sceneggiatura e Regia Guy Ritchie Anno
di produzione UK 2000 Distribuzione Columbia Tristar
Durata 112’
Dopo Lock & Stock
– pazzi scatenati Guy Ritchie, meglio conosciuto
come "il nuovo marito di Madonna" ci regala un’altra
perla di ironia e di buon cinema, ambientata nel mondo del
gangsterismo britannico. Come nel suo fortunato
predecessore (superiore per qualità e – ahimé -
affidato ad una distribuzione insensata da parte della
Cecchi Gori) Snatch nasce dalla contaminazione tra
i film sulla mala inglese dei primi anni settanta e il
retaggio tarantiniano e post- Pulp di un cinema mediato
tra lo stile MTV e le suggestioni delle produzioni
indipendenti. Divertente, imprevedibile e dal ritmo
scatenato, Snatch racconta la storia di un gruppo
di malavitosi che tra incontri di boxe truccati, zingari
dalla parlata incomprensibile e rapine a colpi di fucile
gioca a tirarsi una serie di reciproche fregature sulle
tracce di un diamante da ottantasei carati rubato ad
Anversa. Con una serie di piccole e grandi star che vanno
da Brad Pitt (sempre più picchiatore dopo Fight Club)
a Benicio Del Toro, Ritchie costruisce una pellicola
godibile e esplosiva che sebbene sia più elegante e
omogenea per quanto riguarda lo stile di ripresa ha
dialoghi leggermente meno brillanti e raffinati.
Le fate ignoranti
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Stefano Accorsi –
Margherita Buy Sceneggiatura e Regia Ferzan Ozpetek Anno
di produzione Italia 2001 Distribuzione Medusa Durata 110’
Ferzan Ozpetek, regista de Il
bagno turco e Harem Suare, racconta un’altra
storia scomoda, che ci mostra una società in transizione
in cui una moglie scopre la relazione adultera del proprio
marito morto, con un altro uomo. Le fate ignoranti prende
il nome dal quadro che è la chiave di tutta la storia.
Una tela dietro cui Margherita Buy trova una dedica
misteriosa per il marito, di cui cerca di conoscere l’origine.
Non tanto per gelosia quanto piuttosto per capire chi era
l’uomo con cui ha trascorso praticamente tutta la sua
vita. Una pellicola emozionante per la sua delicatezza ed
esaltante per la società che ci mostra. Poco importa che
si tratti di gay o di altro. Le fate ignoranti è
un film che racconta un nuovo modo di pensare al mondo e
di intendere la vita. Una storia di sensazioni e
sentimenti estremi, dove coloro che ogni giorno sfidano il
pregiudizio si trovano costretti a superare le proprie
convinzioni pur di sanare i conti aperti del passato. L’eleganza
e il fascino di questa storia non sta tanto nel
ribaltamento dei ruoli o nello scambio dei sessi, quanto
piuttosto nel violare il tabù ancestrale della gelosia in
nome della speranza e della ricerca, lontano dall’incomprensione
e dal volere rimanere essere chiusi in se stessi.
La stanza del figlio
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Nanni Moretti – Laura
Morante – Stefano Accorsi Sceneggiatura Linda Ferri,
Nanni Moretti, Heidrun Schleef Regia Nanni Moretti Anno di
produzione Italia 2001 Distribuzione Sacher Durata 110’
E’il film della maturità
artistica di Nanni Moretti. Una pellicola dura ed
emblematica che racconta la morte e il dolore senza
protezioni per lo spettatore e per gli attori. Una storia
della nostra modernità con l’imprevedibile che ci
riporta all’essenzialità del nostro essere umani. La
stanza del figlio non è né un film facile, né una
pellicola che voglia lanciare messaggi particolari. E’
una riflessione diretta e personale sul trovarsi di fronte
di qualcosa di supremo e insopportabile come la morte del
proprio figlio. Rinvangare il passato, cercare di cambiare
lo stato delle cose, correre disperatamente contro il
tempo è quello che ciascuno di noi, senza fede e senza
appiglio, farebbe, pregando il Cielo, nonostante tutto,
che sia qualcosa di inspiegabilmente giusto. Moretti
racconta tutto questo con una ricchezza espressiva e
interiore con pochi precedenti perfino nel suo cinema. Un
film impreziosito da una sensibilità molto femminile
sviluppatasi sia durante la stesura della sceneggiatura
con le autrici Linda Ferri e Heidrun Scheef, sia in fase
di montaggio con la montatrice Esmeralda Calabria. Un film
straordinario ed emozionante in cui ciascuno di noi potrà
riconoscersi, abbassando la testa nella speranza che nulla
di questo gli accada mai.
Traffic {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Di Steven Soderbergh con
Micheal Douglas, Catherine Zeta Jones, Benicio Del Toro
durata 150’
"Nessuno ne esce
pulito". Questo
il sottotitolo originale del film, sparito nella versione
italiana. Un vero peccato, perché la chiave per
interpretare Traffic sta tutta lì. Questa frase,
infatti, non sembrerebbe riferita ai protagonisti, quanto
piuttosto al pubblico. Non se ne esce "puliti"
dalla visione di Traffic e nonostante sia il
milionesimo film che ha a che fare con il problema della
droga è il primo che lo affronta da un punto di vista
globale, sbattendo in faccia allo spettatore la
dolorosità e la gravità del problema. In più la bravura
degli attori e la straordinaria regia di Steven Soderbergh
trasformano questa pellicola in un’opera imprevedibile e
affascinante. Già, perché l’ironia amara del Michael
Douglas procuratore antidroga con la figlia drogata, la
Catherine Zeta Jones donna disposta a tutto pur di non
perdere i suoi privilegi e il Benicio del Toro poliziotto
disposto a tutto (anche a conquistare incredibili benefici…)
in nome dell’onestà fanno di Traffic un film
strepitoso che nella sua crudezza coinvolge lo spettatore
come nella migliore fiction. Eppure è la dolorosa
realtà di tutti i giorni: per fame, per disperazione, per
denaro, per noia. Ed è per questo che nessuno
ne esce pulito.
Prima o poi mi sposo (The
Wedding planner) {Sostituisci con chiocciola}
Di Adam Shankman con
Jennifer Lopez, Matthew McCounaghey durata 110’
Jennifer Lopez tenta la
carta del film romantico per affermarsi nel suo ruolo di
nuova stella hollywoodiana. Ma la commedia vecchio stampo Prima
o poi mi sposo è soltanto un clone di tanto buon
cinema del passato senza l’ingenua brillantezza dei
tempi d’oro di Hollywood. Jennifer Lopez, infatti, non
è né Katherine Hepburn, né Shirley MacLeane e – nel
bene o nel male – questa differenza si vede e si nota. L’attrice
cantante di origine portoricana resta più bella che
brava, mentre Matthew McCounaghey sembra troppo
preoccupato di risultare bello e affascinante piuttosto
che divertente e capace. Il resto degli attori sono solo
comprimari e i film si rivela per essere soltanto una
mediocre e noiosissima accozzaglia di situazioni e tipi
umani già visti e ignorati.
Dracula’s Legacy (Dracula
2000) {Sostituisci con chiocciola}
Jonny Lee Miller - Gerard
Butler - Jennifer Esposito- Jeri Ryan- Sean Patrick Thomas
Christopher Plummer- Omar Epps
Sceneggiatura Joel Soisson Regia Patrick Lussier Anno di
produzione USA 2000 Distribuzione Miramax Durata 110’
E’ difficile fare l’ennesimo
film su Dracula così il Wes Craven produttore, sulla
falsariga di Scream tenta la carta del sexy
movie in chiave horror per rilanciare la saga
del vampiro più famoso del mondo. Gerard Butler è un non
morto, ma anche un bel fustone e così viene circondato di
tre squinzie interessanti come Jeri Ryan (Sette di Nove di
Deep Space Nine), Jennifer Esposito (Summero of
Sam) e la cantante Coleen Fizpatrick per esplicitare e
portare alle massime conseguenze l’idea freudianamente
erotica del contatto tra il vampiro e la sua vittima.
Intorno a questo nocciolo duro viene costruita una trama
degna di un b-movie vampiresco stile anni Settanta
con attori pessimi su cui svetta la mediocre recitazione
dell’ex marito di Angelina Jolie, Johnny Lee Miller.
Nonostante tante buone intenzioni, alcuni giochi
metacinematografici figli dello stile pubblicitario alla
MTV (la ragazza protagonista, la vergine di tanti film
dell’orrore, lavora in un Virgin megastore a New
Orleans) Dracula’s Legacy è e resta un filmetto,
con un finale decisamente a sorpresa che costituisce l’ennesima
variazione sul tema dei film di vampiri. Ma la musica heavy
metal sparata a tutto volume e belle ragazze vestite
in abiti succinti non riescono a trasformare una pellicola
mediocre in un buon film. Nemmeno quando Dracula viene
trasformato nell’icona anticristiana per eccellenza.
Peccato: qualche soldo in più e qualche idea migliore
avrebbero reso migliore questo film comunque più vicino
alle suggestioni di Blade che a quelle de L’ombra
del vampiro.
Chocolat {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}
Juliette Binoche – Johnny
Depp – Lena Olin – Alfred Molina – Judi Dench –
Peter Stormare – Carrie Ann Moss Sceneggiatura Robert
Nelson Jacobs tratta dal romanzo di Joanne Harris Regia
Lasse Hallstrom Anno di produzione USA 2001 Distribuzione
Eagle Pictures
Storia di un triste paesino
francese dei primi anni Sessanta in cui arriva una
cioccolataia a sconvolgere e rinnovare un’ipocrita
morale preconfezionata e rigidamente cattolica, Chocolat
è una metafora sulla bellezza della vita e sulla
stupidità di lasciarsela sfuggire in nome di chissà poi
che cosa. Candidato all’Oscar come miglior film con
Juliette Binoche anche lei nominata al suo possibile
secondo oscar, questa pellicola diretta dal regista de Le
regole della casa del sidro è un piacere per gli
occhi e una piccola favola apologetica per farci un po’
riflettere su quello che rischiamo di diventare, quando
dimentichiamo di volere godere le possibilità dell’esistenza.
Un film in cui la morale leggermente naturale e pagana
serve a giocare con altre regole in un luogo e in un
tempo, dove l’ideologia religiosa di stampo quasi
pietista era quasi dominante (non a caso il regista è
svedese…). In questo senso l’elemento più
interessante di Chocolat è proprio il suo marcare
(anche se solo a livello fiabesco) un immediato
dopoguerra, seguito da un risveglio della vita lontano da
uno spazio e da un tempo fatto di privazioni. Le tazze
bollenti di cioccolata calda, gli appetitosi cioccolatini,
le proprietà taumaturgiche del cacao, la sensualità
raffinata della Binoche servono a sottolineare proprio
tutto questo: che i piaceri della vita sono un balsamo
dell’anima e non una corruzione, che la perdita della
felicità è qualcosa che nessun essere umano è in grado
di permettersi. E – soprattutto – che il piacere di
assistere a pellicole appartenenti ad un grande cinema fa
sempre bene, anche se film come Chocolat possono
risultare scontati, possono ricordare Il pranzo di
Babette o Come l’acqua per il cioccolato e
possono perfino sembrare leggermente leziose. Avere smesso
di credere alle favole in generale può essere una scelta,
ma privarsi del piacere di gustare film del genere resta
certamente uno spiacevole errore…
Rapimento e riscatto
(Proof of life) {Sostituisci con chiocciola}
Meg Ryan – Russell Crowe
– David Morse Sceneggiatura Tony Gilroy Regia Taylor
Hackford Anno di produzione USA 2000 Distribuzione Warner
Bros. Durata 136’
Storia di un negoziatore di
una compagnia assicurazioni che rimane coinvolto in un
paese latino – americano nel cercare di recuperare un
ingegnere americano rapito, Rapimento e riscatto deve
molto delle sue aspettative all’essere stato
pubblicizzato inaspettatamente dalla love story proibita
deflagrata sul set tra i suoi due protagonisti. Almeno
fuori dallo schermo – ci viene da dire - hanno
esplicitato quella passione che nel film rimane sempre
sotto pelle. Rapimento e riscatto, però, risulta
un film completamente diverso da come uno se lo potrebbe
aspettare. In un mondo dove tutti sono cinici e pensano ai
loro interessi, un ex soldato dell’esercito britannico,
un australiano diventato un mercenario delle compagnie di
assicurazione tira fuori (non si sa da dove) il suo buon
cuore e decide di aiutare (non si sa perché) la bella Meg
Ryan a venire fuori dal brutto guaio in cui è finita.
Perché lo faccia non si capisce (e nemmeno si vede…) e
questo sembra comunque abbastanza naturale in un film dove
tutto succede per qualche strano motivo che sfugge di
continuo allo spettatore. Scritto con una pericolosa
ingenuità reazionaria tipicamente americana (e cosa
vorranno poi questi poveri guerriglieri affamati da un
governo corrotto) Rapimento e riscatto si tira un
po’ su solo grazie alle sue scene d’azione. Il resto
è tutto uno strabuzzamento d’occhi di una Meg Ryan
quasi sempre in canottiera attillata regolamentare (è
sempre la stessa dagli ultimi tre film) e un’esibizione machista
di un Russell Crowe che – comunque – ci fa
rimpiangere le sue due ultime interpretazioni da oscar o
quasi ne Il gladiatore di Ridley Scott e in The
Insider di Michael Mann.
II
parte
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