Ipotizzava l’avvento di
una razza di eroi duri e puri. Ma come si sarebbe comportato
il filosofo Nietzsche negli anni della vecchiaia di fronte al
ricordo di una storia d’amore mai sbocciata? Parte da questa
fantasia il romanzo di Laura Pariani. Un libro quasi senza
trama, ma dove la vera storia è il lento precipitare nella
follia di un pensatore a cui sono rimasti solo i rimpianti
Laura Pariani, La foto di Orta, Rizzoli,
pp.213, L.28.000
L’idea che sta alla base dell’ultimo
romanzo di Laura Pariani è originale e intrigante: costruire
attorno alla fotografia che ritrae un maturo Nietzsche assieme
ad una giovane (e bella) Lou von Salomé l’intreccio
narrativo d’un irrealizzabile anelito d’amore.
Ripercorrere la vicenda umana dell’inventore del superuomo
alla ricerca di quello che non è stato, ma forse avrebbe
potuto essere, ossia una relazione sentimentale – rimasta,
invece, solo intellettuale – tra il filosofo e la fanciulla,
che il Nietzsche della Pariani avrebbe voluto sbocciasse sul
magico sfondo del lago d’Orta, nel lontano 1882, dove i due
insoliti turisti effettuarono una escursione insieme, con la
quale il professore (così è chiamato Nietzsche nel romanzo)
s’illudeva di iniziare ben altro da un mero sodalizio
filosofico.
Ma veniamo al romanzo, che si apre con una
scena assai mesta. Siamo al capezzale del pensatore morente.
Lunghi anni sono trascorsi dall’episodio di Orta, eppure la
mente del professore, obnubilata dalla follia, torna
incessantemente a quei giorni lontani, alla foto galeotta, al
rovello d’una passione abortita sul nascere, all’interrogativo
osssessivo se con Lou "era davvero possibile che
sbocciasse l’amore?". E il libro è un ripercorrere
momento per momento la magica giornata di Orta, nella quale
nulla è accaduto, però in cui tutto forse poteva accadere
fra l’uomo introverso e la ragazza estrosa. Ma proprio qui
sta la maestria di questa narrazione – contrassegnata da un’abilità
descrittivo/evocativa sempre così straordinaria nella Pariani
–, nel saper catturare il lettore coinvolgendolo nei vissuti
emozionali del protagonista senza che vi sia una grande
storia, un intreccio particolarmente eclatante da raccontare.
Insisto a ripeterlo: nulla di straordinario,
di particolarmente rilevante accade ne "La foto di Orta",
ma sta proprio in questo il fascino discreto del racconto:
dell’avventura o sventura esistenziale di un Nietzsche che,
qui, appare davvero umano, troppo umano nelle sue
piccole/grandi carenze: prima quella di non riuscire ad amare
o farsi amare. Così, nell’alternanza di flash back e
rimpianti, si consuma il dramma senza colpi di scena del
mancato incontro tra Nietzsche e Lou; mentre in parallelo
cresce sempre più la inquietudine nella mente del filosofo,
destinata ad esplodere in una cupa e irrimediabile follia.
Ancora, tratto distintivo del libro, l’alternarsi
di capitoli narrativi a brani metaromanzeschi all’insegna
della riflessione intorno alla storia e all’amaro destino di
Nietzsche da parte dell’autrice, che interviene in prima
persona passando "le dita compassionevoli delle parole
sulla fragile trama degli avvenimenti", con accorata
empatia per le vicende non solo d’un semplice
"turbamento amoroso", ma per quelle assai più
complesse d’un turbamento ben più grande, che ha nome
follia. Infine, dopo un crescendo di deliri paranoici,
angoscia e ipocondria, ritroviamo il professore, legato al
letto causa le sue smanie, che in fin di vita ci viene
descritto in tutta la sua sofferta condizione di solitario
abitante "di un universo fatto di irrealtà". E
sullo sfondo della vicenda – della stasi, verrebbe da dire,
in quanto qui ciò che avviene è appena il reiterarsi
melanconico del rimpianto – un’atmosfera tra il
crepuscolare e il visionario, resa con una prosa
suggestivamente onirica, a registrare il falso movimento dell’attesa
di nulla o del nulla: l’ineluttabile venir meno che a tutte
le parole "dette o scritte che sia" mette fine.
Perché, opposto ma speculare a quello
idillico di Orta, un altro sfondo – plumbeo, vertiginoso,
indicibile – si coglie tra le righe: quello della caducità,
della sottile ansia straniante che tutti prende quando si
mediti su quell’impensabile che è il congedo dall’esistenza.
E giusto con la morte (fisica e delle illusioni amorose)
termina il libro; col professore che prende congedo dal mondo
e dal lettore con lo sguardo fisso a quell’istante
atemporale "di nudità, di verità, di accecamento nella
luce".