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redarrowleft.GIF (53 byte) Economia Luglio 2001  
 

I vu’cumprà di Piazza Affari

Nel 2000 hanno detto sempre di comprare. Vendere? Mai. Ma le Borse sono precipitate e i risparmiatori hanno perso interi capitali. Così negli Usa sta addirittura indagando una commissione statale. Perché quello del conflitto d’interessi fra gli analisti di Borsa sta diventano un vero problema. Motivo: parlare bene di un’azienda muove soldi e fa diventare ricche le società di intermediazione per cui lavorano. Anche in Italia

Un argomento pericoloso. Tanto da far muovere perfino il congresso degli Stati Uniti che ha messo in piedi una apposita commissione di indagine. Motivo: scoprire come mai l’anno scorso fra le previsioni degli analisti di Borsa e il reale andamento delle quotazioni ci sia stato un abisso. In parole povere mentre la stragrande maggioranza degli analisti consigliava di comprare strizzando l’occhio con aria furba ("Strong buy, mr. Smith…", "Comprare, comprare, signor Smith…"), il Nasdaq, l’indice dei titoli hi-tech, precipitava con un botto lasciando sparso per il terreno quasi il 60 per cento del valore. Una gaffe madornale costata miliardi di dollari. O forse qualcosa di peggio di una gaffe?

Il problema in fondo è semplice, due paroline che noi italiani conosciamo fino alla noia: conflitto di interessi. Piccolo esempio raccontato in un articolo di Abcnews: Tom Brown, per anni uno dei migliori esperti di Borsa americani, ha perso il lavoro perché lui, uno dei pochissimi, nel 2000 consigliò ai suoi clienti di vendere. Aveva ragione, ma le società quotate in Borsa delle sue analisi ora non ne vogliono più sapere. Un paradosso chiaro come il sole: fare analisi sempre positive significa portare denaro. Molto denaro. Quasi banale: una previsione buona porta investimenti, una cattiva no. Per Brown fare brillanti rapporti su una certa azienda aiuta ad avvicinare le società di intermediazione (di cui gli stessi analisti fanno parte) alle aziende stesse. "Parlare positivamente di una compagnia o di un settore serve da traino - ha spiegato Brown – Così la società di intermediazione ha più possibilità di mettersi in affari con quella stessa compagnia". Possiamo dire così: nelle Borse (nessuna esclusa) si sente solo il consiglio di comprare e quasi mai quello di vendere. Ma allora che razza di mercato è? O meglio: dov’è il trucco?

Da qui la necessità di una commissione d’inchiesta, per capire fin dove arriva questo conflitto di interessi fra analisti-società intermediarie e aziende. E stabilire degli standard in grado di evitare l’eccesso di "Buy, mr. Smith", quando il mercato suggerirebbe l’inverso. "Quello che ci aspettiamo è che gli analisti facciano analisi – ha commentato il presidente della sottocommissione governativa Usa responsabile dell’inchiesta – Non che facciano i rappresentanti…".

A dire il vero nemmeno i grandi nomi di Wall Street sono rimasti a guardare. Le 14 maggiori società riunite nella Security Industry Association hanno redatto una specie di "manuale del buon analista". Dove fra le altre cose chiedono che non ci siano legami diretti fra le società di intermediazione e gli analisti (ad esempio una percentuale per ogni transazione portata a termine). I più l’analista deve anche dire chiaramente se possiede o meno azioni di quella società.

Belle parole. Ma quello restano. Per questo forse c’è chi ironizza: ora che la commissione comincia ad indagare, è il sospetto, ecco che le industrie se ne vengono fuori con un codice di autoregolamentazione. Tanto per mettere le mani avanti. E a dirlo non è un comitato di piccoli risparmiatori, ma Arthur Levitt, ex presidente della Security and exchange commission. Insomma se non è un conflitto d’interessi, è una cosa che gli assomiglia molto.

Va bene, questo negli Stati Uniti. E da noi Piazza Affari è un cristallo? Uno specchio di virtù? No, stesso problema. Come scrive sul Il Sole 24 Ore del febbraio scorso Guido Plutino: "In sintesi i termini del problema ricordano la storia dell’oste, al quale è ingenuo chiedere se il vino è buono dal momento che si trova lì per venderlo. La questione riguarda l’esistenza di conflitti di interessi non dichiarati. In molti casi gli analisti fanno parte di gruppi che svolgono anche attività di intermediazione e partecipano ai collocamenti. Capita dunque che esprimano giudizi su azioni che si trovano nel portafoglio del loro gruppo o dei quali partecipano al collocamento".

In pratica le stesse cose che hanno costretto la commissione Usa ad indagare: "Sul banco delgi imputati – continua Plutino – si trovano in particolare i target price (cioè gli obbiettivi di prezzo giudicati coerenti con le prospettive delle aziende). Questi, in molti casi, non solo si sono discostati sensibilmente dall’andamento dei titoli ai quali si riferivano, ma essendo talvolta espressi da parti in qualche modo coinvolte hanno portato molti a gridare che il re è nudo".

Esempi? Tantissimi. Su tutti Tiscali: prezzo fissato (dopo il frazionamento della società) di 150 euro da Abn Amro e Banca Leonardo con tanto di consiglio di comprare, prezzo attuale sui 20 euro. Oppure e-Biscom: Merril Linch e molte altre sparano il loro "buy" con un prezzo di 250 euro, dimezzato nella realtà fino a 114. E così molte altre, scatenando nei piccoli risparmiatori riprovevoli desideri di giustizia sommaria. Economica, per carità, tipo "da voi non vengo più".

Così stesso problema, stessa necessità di fare pulizia. La Consob, l’istituzione che controlla la correttezza della Borsa, ha modificato il Regolamento intermediari anche con una serie di raccomandazioni (ma sono previste sanzioni o sono solo consigli?). Tipo la trasparenza sui rapporti fra l’analista e le società che promuove, di qualsiasi genere siano; o riportare i giudizi precedenti su quel titolo per un tempo sufficiente, per capire così se la valutazione era onesta o forzata. D’accordo anche gli analisti sulla "glastnost" dei conflitti d’interesse. In più chiedono il riconoscimento della figura professionale dell’analista.

Ma bastano un po’ di "raccomandazioni"? E’ la solita storia dell’autoregolamentazione, del "mercato che si regola da solo"? L’impressione per ora è quella. Come negli Usa, è un gioco fra chi non vorrebbe controlli confidando nella forza della "libera concorrenza" e chi pensa che senza un codice penale anti furbi sia tutto inutile. "Analyzing the analist" l’hanno chiamata quella commissione statunitense: "Analisi degli analisti". Bel nome, potrebbe servire anche qui in Italia. Ma, per favore, non con l’ennesima inutile commissione parlamentare, Anche perché da quelle parti, leggi Palazzo Chigi, non riescono a risolvere nemmeno un conflitto d’interessi da Guinness dei primati.

Alessandro Mognon

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