"Siamo
in un’epoca dominata da un ateismo di massa". Questa la
prima considerazione di Remo Bodei all’interno di un agile
ma concettoso testo-intervista a cura di Gabriella Caramore
intorno a I senza Dio, come il titolo del saggio
chiama chi non si riconosce in alcuna fede religiosa. Alle
soglie del terzo millennio, infatti, stiamo assistendo ad una
situazione davvero paradossale: da un lato una massa
incredibile di persone affolla il Giubileo, aumentano giorno
dopo giorno le adesioni da parte di occidentali al Buddismo, c’è
voglia crescente di spiritualità (si pensi solo al fenomeno
New Age), ma al contempo mai come ai giorni nostri è stata
così alta la percentuale degli agnostici o degli atei.
Bisogna dunque intendersi su che cosa oggi
vogliamo indicare col vocabolo religione. Personalmente
concordo senz’altro con Bodei quando afferma come essa
rappresenti il tentativo da parte umana di individuare un
"orizzonte onnicomprensivo di senso". Ma anche e
forse soprattutto il cosiddetto ateismo (altra parola
equivoca, la cui etimologia accetta pur sempre – almeno a
livello terminologico – il concetto di dio, per negarlo) si
misura con questa problematica, giacché fare a meno del
paradigma dio comporta, se non si voglia cadere nel più
sterile nichilismo, l’urgenza di dare un senso all’esistere
e al mondo, senza però tirare in ballo la metafisica e/o dei
principi superiori. Quindi gli atei non sono necessariamente
degli scettici che non credono a nulla (come ritengono ancora
molti) ma piuttosto soggetti impegnati a gestire una morale
laica che non ha bisogno di valori assoluti (ovvero ab-soluti:
sciolti, slegati da ogni contingenza) ma condivisi all’insegna
di un umanesimo costretto a fare i conti con il limite e la
finitudine. E’ forse questo l’ambito che, a mio avviso,
divide maggiormente i chiamiamoli non-religiosi dai cristiani,
per i quali la morte non è definitiva essendo stata sconfitta
dalle resurrezione di Cristo: preludio a quella universale che
il giorno del Giudizio coinvolgerà tutto il genere umano
passato, presente e futuro.
Ma perché si è senza dio? Secondo
Bodei l’ateismo scaturisce dalle eterne questioni con cui è
costretta a misurarsi ogni fede, ossia: perché c’è il
dolore, la morte, l’ingiustizia, l’oppressione nel mondo
se esiste dio? E’ il problema, davvero cruciale per la
coscienza religiosa, della "indifferenza" di dio;
questione difficile da affrontare dopo Auschwitz e lo
sterminio di milioni di ebrei innocenti: il popolo eletto dal
dio dell’Antico Testamento. Sebbene, sottolinea Bodei, è
proprio questo smarrimento di fronte all’assurdo e all’insensatezza
di una vita destinata a concludersi nella morte che può far
nascere l’inesausta domanda di senso. E ci ricorda la
lezione di Levinas, secondo il quale noi abbiamo necessità di
eliminare ogni immagine consolatoria (infantile) di dio per
poterci aprire nei confronti dell’Altro per antonomasia. A
questo proposito non è possibile fare a meno di citare
Bonhoeffer e la sua concezione della "impotenza" di
dio ad intervenire nel mondo, con tutto quel che ne consegue
rispetto ad una religiosità adulta che non spera più nell’intervento
miracolistico del padre eterno e per la quale la fede "è
rischio e non sicurezza".
Giunti a questo punto, tuttavia, più che
quale sia il perché dell’ateismo oggi, il tema di questo
breviario colloquiale di Bodei mi sembra piuttosto ribaltarsi
in quale sia il significato autentico di una fede non certo
più tronfia e supponente come un tempo; in quale sia la
valenza maggiormente significativa di un sentimento religioso
– soprattutto nelle sue espressioni meno vincolate a questa
o a quella dottrina o dogmatica – che, agli occhi del laico,
appare da un lato la tensione scaturita appunto dalla domanda
di senso (che, comunque, può sempre trovare una risposta non
confessionale) e dall’altro la cifra di un dimorare assieme
responsabile, di un patire assieme, di un prendersi
cura l’uno dell’altro in un’ottica auspicabile di
condivisione fraterna.