Vedi Milano e puoi muori
Una giornata nella metropoli
lombarda. In cerca del vero e del falso, dei vecchi Navigli e
di quelli nuovi finiti nelle mani dei soliti vip, dei
capolavori della Pinacoteca di Brera e del megastore musicale
della Ricordi
Eccola
qui la Milano che sento ogni volta un po’ mia: esci dalla
stazione centrale, ti giri, la guardi e sembra che le ali
laterali della sua mole ti vogliano racchiudere in un
abbraccio di archi e porticati prima di lasciarti
inghiottire dal metrò. Prendo la 2 verde per P.ta
Genova, la fermata più vicina a Mediolanum, capitale
dell’Impero Romano d’Occidente; è il quartiere di P.ta
Ticinese a conservare le testimonianze di quello splendore: le
colonne e la basilica di S. Lorenzo, romane le prime,
paleocristiana la seconda, formano un insieme quanto mai
suggestivo e monumentale. Sono 16 colonne marmoree scanalate
con capitelli corinzi appartenenti a un edificio tardo
imperiale. Dietro alle colonne si apre il grande sagrato di S.
Lorenzo al centro del quale si eleva la statua bronzea
dell’imperatore Costantino. Un prato, ricavato dopo la
demolizione di un quartiere popolare, devastato dai
bombardamenti della seconda guerra mondiale, congiunge S.
Lorenzo all’ugualmente magnifica basilica di S. Eustorgio
del IV sec., dalla quale Barbarossa trafugò un sarcofago
contenente i corpi dei Magi.
Ti
siedi ai piedi del colonnato; non c’è traffico intorno, non
c’è gente e ti chiedi: “Ma è Milano questa?”.
Per
accrescere i tuoi dubbi, ti sposti verso i Navigli, quella
fitta rete di corsi d’acqua che fin dal Medioevo ha dato
impulso all’agricoltura delle campagne che si stendevano
intorno alla città e che ha costituito uno dei principali
sistemi di traffico in quanto navigabili fin dal 1200. Qui, in
un intricato e magico dedalo di stradine con le
caratteristiche case dai lunghi ballatoi, entri in un’altra
strana Milano. Li guardi quei vialetti lastricati, quelle case
giallo stinto, quegli androni che sanno di muffa e le storie
non hai neanche bisogno di immaginartele perché escono dalle
finestre e dalle porte spalancate: pensionate che
chiacchierano da un balcone all’altro, uno stereo a tutto
volume che manda “This
is a love song for you…”, qualcuno che sembra cucire
ancora con la macchina a pedali, rumori di pentole, odore di
zucchine all’aglio, storie insomma di tutti giorni ma…
all’aperto: il
privato sembra non esistere.
“Abita
qui da molto tempo?”,
chiedo a un signore anziano che rientra con la spesa. Sorride
scrollando le spalle “Sto in questo cortile da una vita,
qui ci si conosce tutti, un po’ ci si aiuta, un po’ si
baruffa”. “Vivere col balcone in comune è un
limite?” “ E’ già che lo è, quando litighi e ti
tieni il muso mica è piacevole!”. “Sono di vostra
proprietà queste case?”.“ Erano del Comune
ma le abbiamo riscattate anni fa; ma ora qui intorno è tutto
cambiato, i nuovi abitanti del quartiere le hanno comprate a
prezzi da capogiro, loro si chiudono dentro, di vita per le
strade di giorno vedi, ce n’è sempre meno. Prima quando
tornavo dalla bottega la signora del primo piano mi chiamava a
bere il caffè, e l’altra ti salutava sbraitando dal
balcone. Adesso hanno venduto.
Ormai questo è un quartiere “alla moda” e i pochi
che restano, rifiutando certe cifre delle agenzie, compiono un
vero atto di resistenza”.
Esci
dalle stradine e a pochi minuti a piedi , dopo il più puro
esempio di neo classicismo milanese, la Porta Ticinese ti
introduci proprio nelle vie dove “quelli che contano” si
sono ristrutturati i pittoreschi attici sui navigli. Sui
campanelli non ci sono nomi, ma soltanto
numeri. Se però chiedi al macellaio o al tabaccaio
loro sanno tutto. “ Scusi, c’è qualche vip che viene
nel suo negozio?” Mi guarda con aria sorniona e
semiseria e, quasi a volerli proteggere i suoi clienti famosi,
mi ghigna “Tutti sanno che questo è il nuovo, quartier
generale dell’Armani, lo stilista, di Fabrizio Ferri, il più
importante fotografo di moda,
c’è la Martina Colombari ma questi lo sanno tutti
che stanno qui”. “E gli altri?”
Degli altri non ho voglia di parlare… Ma cosa ti interessa a
te, eh?”
“Niente,
ma almeno un biglietto dell’autobus me lo vende?”
“Autobus??”
“Ma da dove vieni te?”
“A
Milano c’è il tram e c’è il metrò e se miri al Duomo
prendi la 15!”
Mi
vedo subito in veste di Donzellettakeviendallacampagna e la
cosa non mi dispiace un granchè. Saluto il tabaccaio del
ticinese senza aggiungere tutto quello che vorrei.
Qui
le vie hanno negozi artigianali, non ci sono le grandi firme
di via della Spiga, ma neanche le patacche. Si vendono cosine
così, un po’ strane di buon gusto, quelle che, per dirla
appunto con Armani, “non ti fanno notare, ma ti fanno
ricordare”.
Per
non parlare, poi, delle finte trattorie! Finte, perché
sembrano le osterie della vecchia Milano con le tovagliette a
quadrettoni mentre, dentro, i prezzi sono da Cipriani.
Già
già (per usare un’espressione tipicamente milanese), qui
l’atmosfera è un po’ “surreale ma bella”. Prendo il
famoso 15 ligneo, rumoroso, ma gradevole. Non miro al duomo,
ma a Brera.
È
un’altra via tipica di Milano, con la pavimentazione a
ciottoli e gli eleganti palazzi settecenteschi che la
fiancheggiano. Al numero 28 si erge il palazzo di Brera che
contiene una delle più insigni raccolte di opere, soprattutto
di scuola lombarda e veneta, nonché l’Accademia delle belle
arti. Si accede alla pinacoteca da un cortile solenne con
colonne e arcate sovrapposte
che creano un bellissimo effetto chiaro-scuro nel gioco
spaziale dei pieni-vuoti. Al centro c’è una statua di
bronzo: un nudo molto sexy di Napoleone, idealizzato da Canova
secondo gli schemi classici come un giovane dio. Salgo
l’ampio scalone a doppia rampa che mi porta all’ingresso
della pinacoteca. Se hai meno di 25 anni entri gratis. La
varietà delle opere d’arte che la galleria raccoglie desta
davvero stupore: si va dalle composizioni di largo respiro del
Veronese al Cristo morto del Mantegna; dalle grandi opere di
Bramante a quelle di Raffaello, poi c’è lui, il mio mito:
Piero della Francesca. Madonna col bambino, sei santi, quattro
angeli e il duca Federico II da Montefeltro. Insomma, avrete
capito che si tratta della famosa Pala di Brera, quella con
l’allusivo e discusso uovo di struzzo sospeso al centro del
catino absidale. Qui mi ci fermo. Contemplo e fruisco. Dopo
Piero passo davanti alla Predica di S. Marco di Bellini, allo
Sposalizio della Vergine, alla Madonna del roseto che quasi
neanche me ne accorgo. Mi riprendo solo davanti al Bacio di
Hayez, così malinconico nella sua pacata commozione che mi fa
sentire i
primi piccoli crampi della fame:
mi fermo al bookshop, compro la matita, appunto col
bacio di Hayez, e decido di andare a mangiare.
La
scelta è varia: si va dalle pasterie
dove puoi gustare tutti i tipi di pasta, alle trattorie
con i tavolini fuori; dai bar rifornitissimi ai self service
superaffollati dove devi imparare il meccanismo per
accaparrarti il cibo. Scelgo la trattoria all’aperto: la via
è pittoresca, l’atmosfera gradevole e i milanesi, nella
pausa pranzo, sono simpatici e vivacetti. Ci sono mille
proposte dignitose per ogni tasca. Opto per la cotoletta alla
milanese di cui mi ero privata fin dai tempi della mucca
pazza. Si sta bene fuori, non c’è la temuta afa e, in più
ci sono i passerotti più sfacciatamente disinibiti che abbia
mai visto: ti si posano sulla mano e ti rubano in cibo, ti si
accovacciano sulla spalla… Certi clienti sono stizziti perché
ci sono intere famigliole per ogni tavolo; io mi ci diverto un
mondo e invidio per un attimo Biancaneve che queste cose
poteva permettersele con un semplice provate a fischiettar
firulì firulì firulà; E’ con questo motivetto
spensierato nella testa che mi porto da Ricordi, tempio
milanese della musica.
Fondata
a Milano nel 1808, Casa Ricordi ha legato il nome e la fortuna
nel mondo alla grande stagione dell'opera italiana. Dal
secondo dopoguerra a oggi ha operato una ristrutturazione
dei vari settori secondo le esigenze di un mercato in
vertiginosa trasformazione, costituendo un ricchissimo
catalogo di musica contemporanea che vanta attualmente le
opere più ascoltate del nostro tempo. Nel punto vendita della
Galleria
cerco un vecchio pezzo dei Rem (colonna sonora del bellissimo
film The man on the moon). Ho la sensazione che perderò
qualche treno perché quando sei lì, ascolti di tutto, cerchi
di tutto e ti fai un ripasso di musica così completo che puoi
andare avanti un anno senza aggiornamenti. Là trovo senza
fatica The great beyond perché tutto è rigorosamente
catalogato. Mancano solo 15 minuti dalla partenza del treno,
mi butto in metrò, correndo come una pazza insieme a una
piccola folla di ritardatari; riesco a raggiungere la scala
mobile della Centrale e riprendo fiato. Il treno è ancora lì,
fermo al binario 13. Non ho voglia di andarmene, mi mancano
ancora tanti piccoli vissuti metropolitani e non ho salutato
neppure la casa dei nonni, ma di ricordi non ne voglio sapere,
così, con “Il fantastico oltre” dei Rem nella testa e il
bacio dipinto di Hayez negli occhi, non mi resta che salutare
questa Milano un po’ così.
Maria Chiara Passera
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