Per descrivere l’immane tragedia americana
e la guerra in corso, la prima parola che viene in mente è
"catastrofe". Essa indica il momento topico del
rivolgimento, dell’abbattimento di qualcosa di consolidato,
dell’esito infausto di un processo. È una parola di origine
greca, "katastrofé", e, tra i suoi sinonimi,
vi è "apokàlipsis" altra parola greca, il
cui primo significato è quello di "rivelazione".
Apocalittico si dice infatti di ciò che svela, che
dolorosamente strappa l’umanità dal suo letargo
intellettuale costringendola a aprire gli occhi su qualcosa
che era vicino, ma non era percepito. La catastrofe è insomma
un risveglio coatto, una luce improvvisa che acceca i nostri
occhi abituati alla penombra.
La lingua greca, così magicamente
versatile, contiene un’altra parola che appartiene alla
stessa famiglia: "epistrofé", che si può
tradurre come "rivolgimento interiore" o
"conversione". La catastrofe americana per esempio,
è un fenomeno esteriore che costringe gli uomini distratti a
contemplare per un istante una verità insopportabile.
"Conversione" vuol dire invece "cura",
"attenzione" e il suo contrario è la
"distrazione". E non si può pensare che non sia
stata la mancanza di cura per il mondo e per tutti gli uomini
la causa di tante catastrofi della storia?
Certo, le definizioni, l’etimologia non
aiutano a far tacere l’angoscia e il terrore della nostra
apocalittica era, ma ci fanno stabilire una continuità,
seppur fittizia, tra il mondo di prima della rivelazione,
della catastrofe e quello assolutamente ignoto che a essa
consegue. La guerra chimica è l’ignoto per eccellenza,
quella che non ti dà fuga, quella che colpisce senza
discriminazioni guerrafondai, pacifisti, cristiani, islamici,
donne, bambini, vecchi e giovani. E’ a proposito di giovani,
i ragazzi italiani, quelli che per loro fortuna non hanno mai
combattuto guerre in prima persona, si dividono su argomenti
del tutto teorici e televisivi: gli aerei che bombardano, la
grandezza americana, le due culture, la guerra santa, l’articolo
della Fallaci… Di atrocità vissute sulla loro pelle non
sanno nulla, le stragi e la violenza le hanno viste al cinema,
ma la paura si avverte e il simbolo della morte " padrona
e signora" del Medioevo sta prendendo via, via, all’incalzare
delle notizie, sempre più connotazioni verosimili.
- La paura c’è, serpeggia nelle aule -
Dice Simone, 18 anni – Si
materializza quando ti sconsigliano la gita all’estero, ti
fa rabbrividire quando senti parlare di carbonchio (prima non
sapevo cosa fosse).
- La paura –
Secondo Andrea, 17 anni - é l’unica reazione del tutto
normale di fronte alla catastrofe americana e alle sue
conseguenze. La guerra sembra lontana, ma quella chimica ci
può colpire da un momento all’altro, così ti senti più
vicino ai ragazzi di ieri, quelli di Hiroshima, quelli del
Vietnam e a quelli che hanno lasciato la vita in tutte le
assurde guerre -.
-La paura ti lega alla storia passata come
un filo sotterraneo che unisce tutti i periodi della
storia - Sostiene Marta, 18 anni - una storia
che non è certo maestra di vita, come ci insegnano i prof…
La storia non ci ha insegnato mai niente perché, a ogni
contrasto, segnato da qualche interesse economico, l’uomo ha
continuato e continua a rispondere con la guerra e non ha mai
trovato una soluzione pacifica: studiamo solo storie di guerra
e di paura! -.
I ragazzi hanno paura dunque, si aspettano
con angoscia una apocalypse now e, quasi tutti, anche i più
fanatici a parole, vorrebbero poter vivere o almeno
sopravvivere, seppure tra le mille ansie e contraddizioni di
"un’Italia squallida, imbelle e senza anima"
perché, come tuona la Fallaci dal suo attico di Manhattan,
attanagliata da paure individuali e universali, "Cristo!
Non nego a nessuno il diritto di aver paura. Chi non ha
paura della guerra è un cretino". Parole sante, ma,
a noi giovani di questa Italia " godereccia, furbetta,
volgare" sia almeno consentita una piccolissima
replica alla giornalista: Se sono
cretini quelli che non hanno paura della guerra, come potremmo
definire quelli che invece la guerra dichiarano facendola fare
agli altri?
Maria Chiara Passera