Paullina
Simons è una delle maggiori autrici russo-americane. La sua
storia assomiglia tanto ad uno di quei romanzi che la hanno
resa nota in tutto il mondo. Nata nel 1963 a Leningrado, nel
1968 il padre Yuri è stato arrestato dalla polizia politica
per militanza anticomunista durante l’invasione russa della
Cecoslovacchia. Liberato dal Gulag nel 1971 ha ottenuto un
visto d’espatrio per andare a lavorare all’estero, prima
in Italia, poi negli Usa. Paullina (che da cognome da ragazza
fa Handler) dopo l’università americana sposa un inglese e
inizia a scrivere romanzi. Matrimoni diversi, lavori come editor
e giornalista e poi il grande successo con il libro Red
Leaves, seguito subito dopo da Eleven
Hours.
Nautilus la incontra in esclusiva per
parlare del suo nuovo romanzo Il cavaliere d’inverno (Sonzogno,
pagg. 697, lire 34.000), un romanzo d’amore sullo sfondo
della battaglia di Leningrado combattuta in prima persona dal
nonno dell’autrice.
E’ solo una coincidenza che proprio all’indomani
dell’uscita del suo libro Jean Jacques Annaud abbia
presentato al Festival di Berlino Il nemico alle porte dedicato
ad un’altra grande battaglia sovietica, quella di
Stalingrado?
E’ una coincidenza, anche perché lì l’amore
è molto secondario rispetto al duello tra i due cecchini. Nel
mio libro l’amore è fondamentale per comprendere l’essenza
del popolo sovietico, l’oppressione comunista e l’anima
russa. Credo che siano comunque opere molto importanti per
comprendere il mondo di oggi.
Un elemento che emerge dal suo libro è la
mancanza di privacy cui le persone venivano sottoposte
di continuo per motivi politici e non solo…
Sì, credo che sia qualcosa che né in
America, né in Italia si possa comprendere troppo facilmente.
Voi siete abituati a ben altro a casa vostra. Ma chi come me
è cresciuta dividendo casa sua con altre famiglie, questo è
un elemento molto presente. La mancanza di privacy implicava
una forzata lealtà.
Perché il tema dell’amore nella
letteratura russa più che in altre è spesso collegato a
quello della guerra?
Perché la Russia ha avuto un’infinità di
guerre e di invasioni. Ma anche quella francese non scherza…
soltanto che noi abbiamo subito tantissime devastazioni in
più degli altri paesi europei.
Oggi
– dopo l’11 settembre – viviamo uno spirito analogo,
secondo lei?
In qualche maniera sì. In America si
respira un’aria pesante e questo perché è la prima volta
che subiscono – grazie a Dio – la violazione del loro
suolo. In Europa, però, siamo abituati a continuare a vivere
sotto le bombe. Noi europei siamo scioccati, non come gli
americani, ma siamo scioccati lo stesso. La differenza sta,
però, nel fatto che mentre in Russia sapevamo di essere
vittime di una guerra, o almeno lo sapevano i miei nonni,
essere colpiti dal terrorismo è decisamente molto casuale e
fa ancora più paura, perché non te lo aspetti.
Lei ha tre figli. Raccontare il passato è
un mezzo per ricordare anche a loro cos’era la vita in un
regime come quello comunista?
A loro e a tutti i lettori che hanno vissuto
nella ricchezza del mondo libero. Anche per apprezzare quello
che si ha. Noi non avevamo nulla e quel poco ci sembrava un
miracolo. Oggi molti hanno tutto e si sentono lo stesso
miserabili. Il mio libro serve ad offrire un’altra
prospettiva. Questo libro, mentre lo scrivevo ha cambiato
anche me. Per questo voglio iniziare presto a scriverne il
seguito. Ho un’ispirazione per continuare questa saga.
Qual è l’eredità dell’anima russa
presente nel suo modo di scrivere?
Comprendo la sofferenza delle persone e la
mia è un’anima russa ancora sofferente. Per questo scrivo
del dolore e soffro mentre lo faccio.
m.s.