Le (pseudo)certezze della
scienza e del dogma e la visione "negativa" dell’uomo secondo
Nietzsche. E’ uno degli argomenti trattati negli innumerevoli
saggi-dialoghi che il filosofo Gianni Vattimo conduce con le
idee del pensatore tedesco. Come in questo suo ultimo libro
Gianni Vattimo, Dialogo con Nietzsche,
Garzanti, pp.301, L.35.000
E’
da quarant’anni che da parte di Vattimo si svolge un
dialogo con Nietzsche fatto di saggi intorno a un pensiero
speculativo volto a sbarazzarsi delle pseudo certezze
fabbricate nei secoli dalla cultura occidentale per proteggere
l’uomo dal timore del caos e dall’intollerabile vacuità del
divenire.
E forse la critica più radicale del
filosofo tedesco è giusto quella rivolta alla credenza in ciò
che da Cartesio in poi si riteneva postulato scontato e
indubitabile: la realtà dell’io quale soggetto di quanto si
pensa, si agisce o patisce. Ma il cogito cartesiano,
secondo Nietzsche, finisce per risolversi anch’esso in
un atto di fede a priori nel concetto di sostanza, poiché
quando sosteniamo ci debba essere qualcosa che pensa non
cogliamo un dato assolutamente certo, semmai solo una credenza
molto forte.
Per Nietzsche infatti il mondo, lungi
dal venir concepito quale un insieme di dati, è piuttosto
visto come un complesso di interpretazioni, in quanto,
rovesciando la concezione metafisica dell’essere, la
cosiddetta realtà è semmai il divenire in quanto espressione
descrittiva. Quindi con la fine delle pretese universalistiche
– ricorda Vattimo – non si assiste soltanto alla morte di
Dio, bensì anche all’estinzione del fatto, della
datità, dell’illusione di trovare un qualche fondamento ultimo
all’accadere.
Resta che la filosofia nietzschiana non
si ferma certo alla mera negatività critica e non si limita a
stilare un referto dei mali irreversibili del pensiero
metafisico. Nel coraggio dell’accettazione del non senso del
vivere, nella presa d’atto dell’irrazionalità e caoticità del
mondo sta la forza del laico éthos espresso nella figura
dell’Ü bermensch nietzschiano (ossia oltre-uomo, come traduce
Vattimo, non già super-uomo), il quale, liberatosi dalle
pastoie dei fini assoluti, supera lo stallo del
nichilismo essendo in grado di accettare l’esistenza per ciò
che è mediante un "sì" entusiastico volto a celebrare l’eterna
gioia del divenire. Si tratta allora di ottenere quel
buon carattere di cui tratta una pagina di "Umano troppo
umano", dove si auspica un’umanità la quale, nonostante sia
stata costretta ad abbandonare le illusioni di certezza e
consapevole di non potere far più riferimento a garanzie
ontologiche di alcun genere, sia in grado di tollerare e di
muoversi senza angoscia attraverso la molteplicità delle
apparenze. Sviluppando cioè, come ha bene suggerito altrove
Gianni Vattimo: "la capacità di sostenere l’esistenza
oscillante, e la mortalità".
F.R.