Alan Taylor:
L’obbligo di sognare
Regista di successo di
Palookaville presentato cinque anni alla Mostra del cinema
di Venezia, Alan Taylor torna alla regia con un film
emozionante in cui viene narrata la storia di Napoleone
che scappa da Sant’Elena dopo essersi fatto sostituire nel
ruolo di prigioniero da un suo sosia.
Una
pellicola divertente e carica di significato con
protagonisti Ian Holm e la bella attrice danese Iben
Hjejle. I vestiti nuovi dell’imperatore è stato
prodotto dall’italiano Uberto Pasolini, già alle spalle
del successo proprio di Palookaville e di The
Full Monty.
Perché
un film Napoleone che nasce su un background
culturale “britannico”?
Per
vendetta, forse: Napoleone ha detto che gli inglesi erano
un popolo di negozianti e degli anglosassoni a duecento
anni di distanza hanno raccontato l’imperatore che finisce
per gestire un negozio di frutta… No, scherzo: il mio
interesse principale era quello di raccontare lo scontro
tra i sogni di grandezza e di gloria e la realtà di tutti
i giorni. Napoleone rappresenta il modello ideale della
grandezza, ma per me era importante mostrare qualcosa di
diverso con un uomo costretto a confrontarsi con una
realtà della vita molto più semplice e fragile.
Cosa
rappresenta lei Napoleone?
Una
strana combinazione tra il Re del Mondo, il Presidente
degli Stati Uniti e Elvis Presley. Una figura diventata
“popolare” e quindi – di per sé – un’icona pop.
Oggi
nessuno potrebbe avere il carisma e l’importanza di
Napoleone.
Il
messaggio di questo film è molto sottile, perché
rappresenta una riflessione sul successo e sulla smania
per il potere. Possiamo dire che I vestiti nuovi
dell’imperatore è una pellicola incentrata su una
seconda possibilità?
Sì, lo è
davvero. E’ un po’ come in L’ultima tentazione di
Cristo di Martin Scorsese. La nostra filosofia, però,
è al contrario. Se in quel film era il diavolo a tentare
Gesù, qui è la personificazione femminile di un angelo a
tentare di convincerlo a scegliere una vita semplice. In
qualche maniera la scelta del mio Napoleone è in apparenza
più facile, ma anche più profonda. E’ un tema ricorrente
nel mio cinema. E’ lo stesso – seppure in forma minore -
di Palookaville. E’ la storia di persone che
lottano e si dannano per ottenere qualcosa dalla vita.
Alla fine, però, scoprono di trovare la pace solo
compiendo una scelta in grado di rinnegare del tutto il
loro passato. In America siamo bombardati dall’obbligo di
avere dei sogni di gloria e potere. I vestiti nuovi
dell’imperatore spiega di come alla fine le cose
davvero importanti siano altre. Il sogno americano di
diventare presidenti o il sogno dei consumatori di potere
acquistare di tutto possono portare a cose straordinarie,
ma non ci fanno accorgere di quello che perdiamo e di come
possiamo sentirci presi in un gioco perverso di cui – alla
fine non siamo del tutto a conoscenza.
Qual è
la cosa che l’ha colpita di più nell’affrontare questo
personaggio?
Il fatto
che in ogni nazione esista una visione diversa della sua
vita: gli inglesi lo considerano un mostro, gli americani
un rivoluzionario, i francesi il padre della patria, gli
italiani un liberatore e un illuminista.
Era
preoccupato del rischio di trasformare un personaggio
storico come Napoleone in una macchietta?
Moltissimo. Ero terrorizzato in maniere molto diverse:
Napoleone è un’icona, ed inoltre ero preoccupato – essendo
un cineasta americano – di presumere troppo riguardo la
sensibilità europea di quell’epoca. La cosa che mi ha
fatto essere a mio agio è il fatto che non abbiamo
sfruttato troppo l’icona. La prima volta che ho visto Ian
Holm vestito come Napoleone mi ha fatto molto ridere. La
carica iconografica e suggestiva di Napoleone è così forte
che l’abbiamo usata per catalizzare tutta l’ironia
e lo
humour presenti nella pellicola.
Ian Holm è stato straordinario…
Sì,
perché è riuscito a creare due personalità diverse.
L’imperatore e il suo doppio. Uomini molto diversi tra
loro per modo di muoversi e di parlare. Un attore
perfetto...
Napoleone in I vestiti nuovi dell’imperatore sembra
essere sopraffatto dalla sua stessa leggenda…
Sì,
perché dopo avere vissuto un’intera vita senza
accorgersene, scopre quanto sia difficile vivere con la
leggenda di se stesso, senza rimanerne schiacciato. Questo
è il senso ultimo della tragedia, ma anche della commedia
presente nel film.
Perché
dopo il successo di Palookaville ci ha messo tanto
tempo per girare un altro film?
Una
domanda semplice, ma dolorosa. Palookaville è stato
un successo in Europa, ma non negli USA. Ho lavorato un
po’ per la televisione girando – ad esempio – il primo
episodio della serie I sopranos e solo adesso ho
ricominciato a fare del cinema. Anche io mi sono – per un
po’ – illuso che avrei potuto intraprendere immediatamente
altri progetti cinematografici, ma mi sono dovuto
ricredere.
A cosa
lavorerà adesso?
Il mio prossimo progetto è dedicarmi a
cambiare i pannolini di mia figlia che è appena nata.
Dopodiché passerò al montaggio di un film girato in
digitale seguendo lo stile del Dogma e intitolato
Kill the poor, ma è più divertente di quanto il
titolo lascia intendere. Spero di potere realizzare presto
un film che ho anche scritto, intitolato
Sweetheart.
M.S. |