L’amore venuto
dal freddo
Con l’ironia
divertente e tenera di Pane e Tulipani fu successo. Ora
Silvio Soldini cambia genere. E rischia molto di più.
Perché nel suo ultimo film "Brucio nel vento" punta a una
storia lirico-intimista, recitata in ceco da due attori
dell’Est. Senza preoccuparsi, spiega in questa intervista,
di incassi e botteghino
Dopo
il grande successo di Pane e Tulipani, un film che
oltre ad incassare molto in Italia ha sbancato i
botteghini di mezza Europa, Silvio Soldini torna al cinema
con una storia tratta dal romanzo della scrittrice Agota
Kristof. Brucio nel vento, girato in Svizzera e
interpretato da due attori della Repubblica Ceca doppiati
nella versione italiana da Fabrizio Gifuni e Licia
Maglietta, è la storia di un operaio dell’est immigrato
nella Confederazione Elvetica che rincontra – dopo dieci
anni – la bambina di cui si era innamorato sui banchi di
scuola, costretta a vivere con un marito gretto e che –
nonostante la laurea – fa l’operaia per mantenere la
famiglia. Protagonisti del film che verrà presentato in
concorso al Festival di Berlino sono gli interpreti cechi
Ivan Franek e Barbara Lukesova.
Soldini, perché ha
realizzato due versioni del film: una in lingua ceca con i
sottotitoli in italiano e una doppiata – peraltro in
maniera straordinaria – da Fabrizio Gifuni, Licia
Maglietta e Beppe Battiston?
Perché
in Italia è impossibile pensare che un film con i
sottotitoli guadagni davvero qualche lira. Se fossimo in
Francia le cose sarebbero state molto diverse. Così
abbiamo dovuto realizzare due versioni: quella in
originale che verrà data al cinema Nuovo Sacher di Roma e
all’Anteo di Milano, e quella doppiata che verrà
distribuita nel resto d’Italia. Non avevo alcuna voglia di
doppiarlo, ma poiché ero costretto a farlo ho deciso di
lavorare con degli attori e non con dei doppiatori. Volevo
degli interpreti che sfuggissero all’impostazione del
doppiatore, e così ho lavorato con Fabrizio Gifuni, un
attore con cui non avevo mai lavorato prima. Mi
interessava dare spazio a delle emozioni e a dei toni di
voce, piuttosto che ad un’impostazione.
Perché ha voluto cambiare
il finale del romanzo?
Quando ho letto nel 1996,
dopo avere realizzato Le acrobate, il libro che mi
era stato prestato dalla co-sceneggiatrice Doriana
Leondeff, la cosa che non mi piaceva era proprio il finale
che sia io che Doriana trovavamo inutilmente punitivo.
Così abbiamo cambiato il tipo di finale, perché ci
interessava raccontare qualcos’altro che trovavamo più in
sintonia con lo spirito dei protagonisti.
Non crede che il pubblico
"conquistato" con Pane e Tulipani possa rimanere
spiazzato da questa pellicola così intensamente intimista
e lirica?
Forse
sì, ma io in tutte le interviste e perfino negli spot
televisivi ho teso a sottolineare il fatto che questo è
assolutamente un altro film. Un altro genere di pellicola
che volevo realizzare ancora prima di portare sullo
schermo Pane e tulipani. Gli incassi di Pane e
tulipani sono stati straordinari e se Brucio nel
vento potrà guadagnare anche solo un terzo di quelli,
sarà un enorme successo. L’importante è che il film arrivi
al suo potenziale pubblico. Questo presuppone una capacità
di lasciarsi andare alla poesia. Sono soddisfatto di come
è venuto, perché credo che sia più bello di come sarebbe
potuto essere se lo avessi girato all’epoca. Non è una
commedia, certamente e sono contento di avere iniziato ad
esplorare un altro territorio e un altro genere.
Essere
un regista significa continuare a scegliere di cambiare.
Tramite questo film volevo trovare un linguaggio
cinematografico semplice e potente come quello utilizzato
dalla scrittrice. Ero molto interessato dal protagonista
di questo libro confrontandomi per la prima volta con un
protagonista maschile e non femminile. Inoltre ero molto
attirato dal confrontarmi con la mancanza di temporalità
del film che è sospeso in un’epoca che potrebbe
appartenere al passato o al presente. Era interessante
potere esplorare anche il confine tra il sogno e la
realtà. Ci interessava tradurre in immagini la lingua
utilizzata per descrivere le emozioni dei protagonisti.
D’altronde io non posso pensare a tutti gli spettatori: mi
appassiono alle cose e come autore cerco di proporre al
pubblico le mie idee. Io penso agli spettatori, ma non
agli incassi. Penso di fare film che interessino,
indipendentemente dal genere cui appartengono.
Qual è il carattere che i
due interpreti cechi hanno dato al film?
Quello
che si vede nel film: la possibilità di fare un altro
viaggio, avventurandomi anche in un’altra lingua. Mi è
piaciuto dirigere degli attori che recitano usando parole
che non capisci. Sai quello che dicono, perché lo hai
scritto, ma non lo intendi immediatamente. Non comprendi
le sfumature, ma sai bene che la verità delle emozioni
viene fuori anche se non comprendi la lingua che viene
utilizzata per esprimere questa realtà.
Qual era il grande rischio
nell’adattare un romanzo che non aveva scritto?
Il fatto che il film
potesse diventare in qualche maniera neorealista o
sociologico.
Anche in Brucio nel
vento si parla di un viaggio…
Il viaggio è un tema
determinante dei miei film. L’ho affrontato anche in altre
pellicole, perché ritengo che il viaggio sia assolutamente
determinante per comprendere i meccanismi più intimi del
cuore delle persone.
m.s. |