Il punteggio era da rugby:
18-0. Così un direttore di gara inglese si è impietosito. E ha
deciso di fare il dodicesimo uomo del Wimpole, disastrata
squadra del campionato regionale. Segnando uno splendido gol
con un gran tiro al volo. Risultato: gol della bandiera e
squalifica della Federazione. E una consolazione: nel calcio
di oggi, fatto di miliardi, capricci, modelle e spot, il gol
di mister Savill è più vero di quelli di Ronaldo
Realtà e fantasia. Cronaca e fiction.
Partiamo da quest’ultima. Negli anni settanta la Rai
trasmette, in una tarda seconda serata, il premiato
cortometraggio inglese "L’arbitro". Andiamo a memoria, perché
purtroppo non abbiamo più avuto occasione di rivedere quel
piccolo capolavoro, che potrebbe anche intitolarsi
diversamente, ma che, è certo, raccontava in un delizioso
bianco e nero di un inglesissimo arbitro alla fine della
propria carriera. Storia semplice quanto fiabesca, dove al
protagonista in giacchetta nera tocca la direzione di una
partita fra giocatori che prima ancora che come dilettanti
vanno etichettati come "disperati". Ventidue senza Dio che, in
uno sperduto campo della periferia londinese, corrono dietro
al pallone trascinandosi appresso gli acciacchi e i fallimenti
di esistenze a handicap: matrimoni bolliti, frustrazioni
inguaribili, infortuni, depressioni in agguato e,
naturalmente, un’irrecuperabile "broccaggine", che tutti
coinvolge senza possibilità di scampo.
Una volta dato il fischio d’inizio,
l’arbitro, che è un signore rotondo e distinto sulla falsariga
di un vecchio fumetto di successo intitolato "Bristow" (usciva
su "Linus"), si rende presto conto di come la partita vada
ancora peggio del previsto. Di fronte a spalti assolutamente
deserti, i giocatori "danno vita", se così si può dire, a una
desolante rappresentazione pedatoria, infarcita solo di stop
sbagliati, tiri improbabili, scatti sfiancanti, mischie prive
di senso. Il risultato è uno spettacolo reso ancora più
mortificante dalla presenza a bordo campo delle compagne dei
calciatori: mogli, ex mogli, fidanzate, ragazze madri, amiche,
donne miseramente corteggiate dimostrando la stessa insipienza
espressa dai contatti ravvicinati con il pallone. Ognuna di
queste "ladies" non è certo lì per fare il tifo, ma solo per
gravare psicologicamente, con i propri capricci e
recriminazioni, sulle prestazioni degli atleti impegnati nel
match.
Da una tale accozzaglia di scarponeria e
catastrofi sentimentali sortisce un’inguardabile partita priva
di qualsiasi cosa che assomigli a un’emozione. Tanto che, a
una manciata di minuti dalla fine, mentre il risultato non si
schioda ovviamente dallo zero a zero, il simpatico arbitro,
sfinito dalla povertà tecnica e umana dell’incontro, lo
ravviva nel modo più improvviso e sorprendente. Segnando di
testa, in splendida elevazione, il gol che decide la sfida a
favore di una delle due squadre. Rete inattesa e inusuale,
quanto "non esclusa" dal regolamento, e perciò accettata con
anglosassone fatalismo sia dai vincitori che dai vinti.
Chiunque abbia visto "L’arbitro",
apprezzandolo come uno dei film più veri e toccanti mai
realizzati sul tema del calcio come messinscena della vita,
non avrà mancato di ricordarlo, quando minuscoli trafiletti
sparsi sui giornali lo hanno informato che in Inghilterra
l’arbitro Brian Savill, quarantasettenne dirigente delle Poste
di sua maestà, ha pensato bene di imitare il protagonista di
quel mitico cortometraggio. Lo ha fatto al termine della
partita fra Earls Colne e Wimpole, valida per il campionato
regionale dell’Essex. Visto che gli ospiti stavano perdendo
18-0, mister Savill, con uno squisito tocco al volo su
respinta della difesa di casa, ha siglato il gol della
bandiera al posto dei disastrati attaccanti del Wimpole.
Risultato finale 18-1 e conseguente
squalifica dell’arbitro, reo secondo la federazione inglese di
non avere rispettato la deontologia super partes richiesta a
un direttore di gara.
Molto garbatamente l’autore della simpatica
trasgressione ha avuto da ridire sulla decisione federale,
accusando i propri dirigenti di non possedere alcun senso
dell’umorismo. Ci associamo. In realtà questo dirigente delle
Poste britanniche si è reso protagonista di uno dei gesti dal
più forte peso simbolico fra quelli espressi in assoluto dal
calcio degli ultimi tempi. Non c’è gol di Totti, non c’è
scatto bruciante di Owen, non c’è illuminazione di Zidane che
regga il confronto con la carica provocatoria annessa al gol
della bandiera segnato dal "ventitreesimo uomo" al termine di
Earls Colne-Wimpole. In un mondo a forma di pallone sempre più
sgonfio di poesia e gonfio di "droghe" del più vario genere
(doping, televisioni, miliardi, veleni e chiacchiere) il tiro
al volo di mister Savill risplende in tutta la sua paesana
bellezza fatta di umanità, fantasia, senso della vita, amore
per un "gioco" che anche quando diventa sport non deve mai
smarrire le sue componenti infantili, ludiche, sorprendenti.
In fondo il gol dell’arbitro segnato nell’Essex
durante una tenera e farsesca partita fra dilettanti è
destinato a rimanere, per quanto è possibile, nella memoria
più degli spot di Ronaldo, delle fidanzate di Vieri, dei
complotti pro o contro Sensi, dei contratti di Figo, dei
capricci di Cassano, e delle polemiche di Capello. Esattamente
come il "gol dell’anno" assegnato in Germania al nonnino di 80
anni andato in rete durante una regolare partita fra
dilettanti, o la "guerra dei rigori" con le squadre friulane
dell’Edera Enemonzo e del Cedarchis opposte a quelle inglesi
del Littletown e dello Storthes Hall in lizza per vedersi
assegnare il record di penalties battuti a oltranza dopo i
tempi regolamentari e supplementari: 34 oppure 36? Questo sta
diventando l’unico calcio "eccezionale" che conta. Teniamocelo
stretto.
Stefano Ferrio