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redarrowleft.GIF (53 byte) Varie Sport Gennaio  2002
 

L’arbitro bomber

Il punteggio era da rugby: 18-0. Così un direttore di gara inglese si è impietosito. E ha deciso di fare il dodicesimo uomo del Wimpole, disastrata squadra del campionato regionale. Segnando uno splendido gol con un gran tiro al volo. Risultato: gol della bandiera e squalifica della Federazione. E una consolazione: nel calcio di oggi, fatto di miliardi, capricci, modelle e spot, il gol di mister Savill è più vero di quelli di Ronaldo

Realtà e fantasia. Cronaca e fiction. Partiamo da quest’ultima. Negli anni settanta la Rai trasmette, in una tarda seconda serata, il premiato cortometraggio inglese "L’arbitro". Andiamo a memoria, perché purtroppo non abbiamo più avuto occasione di rivedere quel piccolo capolavoro, che potrebbe anche intitolarsi diversamente, ma che, è certo, raccontava in un delizioso bianco e nero di un inglesissimo arbitro alla fine della propria carriera. Storia semplice quanto fiabesca, dove al protagonista in giacchetta nera tocca la direzione di una partita fra giocatori che prima ancora che come dilettanti vanno etichettati come "disperati". Ventidue senza Dio che, in uno sperduto campo della periferia londinese, corrono dietro al pallone trascinandosi appresso gli acciacchi e i fallimenti di esistenze a handicap: matrimoni bolliti, frustrazioni inguaribili, infortuni, depressioni in agguato e, naturalmente, un’irrecuperabile "broccaggine", che tutti coinvolge senza possibilità di scampo.

Una volta dato il fischio d’inizio, l’arbitro, che è un signore rotondo e distinto sulla falsariga di un vecchio fumetto di successo intitolato "Bristow" (usciva su "Linus"), si rende presto conto di come la partita vada ancora peggio del previsto. Di fronte a spalti assolutamente deserti, i giocatori "danno vita", se così si può dire, a una desolante rappresentazione pedatoria, infarcita solo di stop sbagliati, tiri improbabili, scatti sfiancanti, mischie prive di senso. Il risultato è uno spettacolo reso ancora più mortificante dalla presenza a bordo campo delle compagne dei calciatori: mogli, ex mogli, fidanzate, ragazze madri, amiche, donne miseramente corteggiate dimostrando la stessa insipienza espressa dai contatti ravvicinati con il pallone. Ognuna di queste "ladies" non è certo lì per fare il tifo, ma solo per gravare psicologicamente, con i propri capricci e recriminazioni, sulle prestazioni degli atleti impegnati nel match.

Da una tale accozzaglia di scarponeria e catastrofi sentimentali sortisce un’inguardabile partita priva di qualsiasi cosa che assomigli a un’emozione. Tanto che, a una manciata di minuti dalla fine, mentre il risultato non si schioda ovviamente dallo zero a zero, il simpatico arbitro, sfinito dalla povertà tecnica e umana dell’incontro, lo ravviva nel modo più improvviso e sorprendente. Segnando di testa, in splendida elevazione, il gol che decide la sfida a favore di una delle due squadre. Rete inattesa e inusuale, quanto "non esclusa" dal regolamento, e perciò accettata con anglosassone fatalismo sia dai vincitori che dai vinti.

Chiunque abbia visto "L’arbitro", apprezzandolo come uno dei film più veri e toccanti mai realizzati sul tema del calcio come messinscena della vita, non avrà mancato di ricordarlo, quando minuscoli trafiletti sparsi sui giornali lo hanno informato che in Inghilterra l’arbitro Brian Savill, quarantasettenne dirigente delle Poste di sua maestà, ha pensato bene di imitare il protagonista di quel mitico cortometraggio. Lo ha fatto al termine della partita fra Earls Colne e Wimpole, valida per il campionato regionale dell’Essex. Visto che gli ospiti stavano perdendo 18-0, mister Savill, con uno squisito tocco al volo su respinta della difesa di casa, ha siglato il gol della bandiera al posto dei disastrati attaccanti del Wimpole.

Risultato finale 18-1 e conseguente squalifica dell’arbitro, reo secondo la federazione inglese di non avere rispettato la deontologia super partes richiesta a un direttore di gara.

Molto garbatamente l’autore della simpatica trasgressione ha avuto da ridire sulla decisione federale, accusando i propri dirigenti di non possedere alcun senso dell’umorismo. Ci associamo. In realtà questo dirigente delle Poste britanniche si è reso protagonista di uno dei gesti dal più forte peso simbolico fra quelli espressi in assoluto dal calcio degli ultimi tempi. Non c’è gol di Totti, non c’è scatto bruciante di Owen, non c’è illuminazione di Zidane che regga il confronto con la carica provocatoria annessa al gol della bandiera segnato dal "ventitreesimo uomo" al termine di Earls Colne-Wimpole. In un mondo a forma di pallone sempre più sgonfio di poesia e gonfio di "droghe" del più vario genere (doping, televisioni, miliardi, veleni e chiacchiere) il tiro al volo di mister Savill risplende in tutta la sua paesana bellezza fatta di umanità, fantasia, senso della vita, amore per un "gioco" che anche quando diventa sport non deve mai smarrire le sue componenti infantili, ludiche, sorprendenti.

In fondo il gol dell’arbitro segnato nell’Essex durante una tenera e farsesca partita fra dilettanti è destinato a rimanere, per quanto è possibile, nella memoria più degli spot di Ronaldo, delle fidanzate di Vieri, dei complotti pro o contro Sensi, dei contratti di Figo, dei capricci di Cassano, e delle polemiche di Capello. Esattamente come il "gol dell’anno" assegnato in Germania al nonnino di 80 anni andato in rete durante una regolare partita fra dilettanti, o la "guerra dei rigori" con le squadre friulane dell’Edera Enemonzo e del Cedarchis opposte a quelle inglesi del Littletown e dello Storthes Hall in lizza per vedersi assegnare il record di penalties battuti a oltranza dopo i tempi regolamentari e supplementari: 34 oppure 36? Questo sta diventando l’unico calcio "eccezionale" che conta. Teniamocelo stretto.

Stefano Ferrio

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