E’ la seconda volta di Luciano
Ligabue come regista. Dopo il successo di Radiofreccia
con Stefano Accorsi e Francesco Guccini, il rocker
emiliano continua la sua esplorazione cinematografica
con Da 0 a 10, storia di un gruppo di amici che si
incontra vent’anni dopo per riprendere un week end
interrotto. Una pellicola ambientata in una Rimini estiva
carica di suggestioni erotiche e cinematografiche.
Anni fa lei diceva in un’intervista
radiofonica che la nebbia è stata per lei una sorta di
"grande schermo" su cui proiettare i sogni…
Le
luci sono quelle che danno vita al cinema. In Da 0 a 10,
per esempio, ho riflettuto molto su quali luci utilizzare
per raccontare l’idea che Rimini lascia dentro ciascuno di
noi. Quella città è un contenitore di estremi: le famiglie
che da vent’anni vanno nella stessa pensione tutte le
estati e i ragazzi in cerca di avventure. Rimini è un
simbolo molto forte, uno specchio di tutte le
contraddizioni che attraversiamo. La mia intenzione era
quella di restituire un’immagine diversa della città,
gonfiata dalle luci.
Quanto contano i giudizi degli altri
nella vita di tutti i giorni?
Molto e soprattutto per chi come fa
un mestiere sotto gli occhi di tutti, il giudizio degli
altri è qualcosa di costante. Questo, però, porta ad una
degenerazione secondo cui tu non vivi la tua vita perché
ti va, bensì perché gli altri ti obbligano a viverla in
una certa maniera. E’ una delle insidie maggiori della
nostra vita…
Che
cosa significa per lei essere un regista all’atto pratico?
Procedere a tentoni. Mi interessa
raccontare storie che conosco bene per sforzarmi nel
mostrarle al meglio. Come autore, invece, parti di te le
incolli ad alcuni personaggi, mentre quelle che ti
colpiscono e sono di altre persone le utilizzi di
riflesso.
Dopo Radiofreccia lei aveva
dichiarato che non avrebbe fatto altri film. Cosa l’ha
spinta a girare Da 0 a 10 ?
Il produttore Domenico Procacci non
c’entra. Radiofreccia è stata un’esperienza
devastante, perché un appassionato di cinema non poteva
rifiutarsi di raccontare una storia che gli stava tanto a
cuore. Mi sono accorto di essermi sbagliato, che qualche
cosa ancora da raccontare ce l’avevo e così sono stato io
a chiedere a Procacci di potere girare un’altra pellicola.
Girare Da 0 a 10 come è
stato, invece?
Me
la sono goduta, perché sono fortunato a potere muovermi in
settori espressivi diversi. Mentre sul palco la mia
felicità è massima, dietro alla macchina da presa provo un
tipo di piacere un po’ diverso. Alle volte mi domando
perché mi paghino. Forse, dovrei essere io a dare dei
soldi a chi mi dà la possibilità di fare lavori tanto
interessanti. Io devo lasciare fluire le cose. Fare film
vuol dire andare un po’ contro la mia natura, ma poi
attivare un controllo mentale affinché siano gli attori a
portare sullo schermo quel tipo di emozioni. Il cinema
richiede pazienza. Io non sono paziente, ma nonostante
questo è stato molto piacevole, senza le ansie di
Radiofreccia.