Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
 
redarrowleft.GIF (53 byte) Varie Sport Febbraio  2002
 

Moviola hardcore

Scrivere di calcio è difficile come scrivere di sesso: pensi di fare un romanzo erotico e te ne esce solo un racconto pornografico. Infatti sono pochissimi libri e film sul pallone degni di essere ricordati. Forse perché ogni giorno siamo ricoperti di retroscena, polemiche, processi, telecronache e sminuzzamenti delle partite minuto-per-minuto. E allora come si fa a fantasticare su qualcosa che abbiamo visto tutti per cento volte?

Le analogie fra il calcio e l’erotismo risultano particolarmente suggestive se riferite alla letteratura. Nell’uno e nell’altro, una volta che ci si mette a scriverne, si è come strattonati fra due estremi. Da una parte si ha per obbiettivo il "letterario": ciò che è in qualche modo bello in quanto necessario, in odore di unico e irripetibile. Dall’altra si avverte il peso mortale di una quotidiana, incessante e voracissima pornografia, dove le reiterazioni infinite degli amplessi e dei sospiri si danno come quelle delle polemiche, delle moviole e dei "retroscena" che infarciscono pagine e pagine di gazzette, immagini su immagini di "processi", minuti sovrapposti a minuti di radiocronache trasmesse in video (ultima, ma non definitiva alterazione mediatica provocata dall’impossibilità di seguire in diretta le partite da parte di chi non ne possiede i diritti).

Simili anche gli effetti. A sporadici casi di opere letterarie degne di "restare", in quanto consacrate all’erotismo (un "Danno" e un "Amante" qua e là, molto spesso made in France), corrispondono rari esempi di pagine sul calcio da infilare in libreria. Soriano, d’accordo. E poi Nick Hornby, ci mancherebbe. E i versi alabardati di Umberto Saba, quelli ancora più sanguigni di Antonio Stefani, le fantasie di Galeano, i reportage di Arpino e Brera, qualche storia strappata all’oblio da Gabriele Romagnoli. E poi… Poi si comincia ad annaspare a caccia di astrusi cognomi serbo-bosniaci, piccoli capolavori anglosassoni (o forse irlandesi) citati da uno di cui non fidarsi, episodici lasciti di Scrittori da antologie, racconti pubblicati da riviste nate per sponsorizzare integratori alimentari, banche smaniose di rifarsi una reputazione, immancabili concessionari di telefonia.

Viene da dire che di calcio si parla e si parla così tanto, che quando è il momento di scriverne si va immediatamente al bivio fra la pornografia più o meno rispettabile delle nove, rosee colonne quotidiane di piombo, e lo sterile esercizio imparaticcio, il fatuo come eravamo delle lanette impregnate di sudore e dei palloni da non inzuccare mai dove sbordava la famosa cucitura che teneva assieme il cuoio. Se, giunti a questo punto, si mette in relazione l’importanza, o meglio l’invasiva onnipresenza del calcio nella vita di tutti i giorni, con la sua scarsa rappresentabilità letteraria, cominciano ad avanzare dei sospetti. Essi sono resi ancora più corposi dai continui buchi nell’acqua prodotti in ambito editoriale da chi ancora pensa che sia possibile vendere calcio in forma di libri.

Chiude i battenti uno stoico, spartano "Rigore", per due anni edito ogni settimana in quattro, firmatissime pagine su pallone e dintorni, e subito qualcuno avverte nella sua scomparsa un vuoto da colmare con un più morigerato e meno pretenzioso mensile, intitolato "Storie di calcio". A "Rigore" ho avuto l’onore di collaborare, grazie alla benevolenza di un direttore come Gianfranco Teotino. Avendolo vissuto in qualche modo "dal di dentro", con tutto il tifo che si dedica a un’impresa ritenuta giusta e illuminante, ho avuto la possibilità di saggiare quegli stessi limiti, quella medesima impotenza già nel primo numero di "Storie di calcio", dovuto alla passione di due giornalistiche mezz’ali di talento (una volta li si chiamava così i geni del centrocampo) come Darwin Pastorin e Umberto Nigri.

Di memorabile ci trovo un lirico racconto di Gabriele Romagnoli, intitolato "Arancio Santini", e l’appassionante "Diario di un allenatore" scritto da Renzo Ulivieri, con straordinarie testimonianze di spogliatoio relative a calcio e sesso (il "Giuro che questa settimana non trombo" chiesto negli anni settanta dall’Uli ai giocatori dell’Empoli ha dell’entusiasmante). Per un lettore-scrittore come me, inevitabilmente, e neanche sotto sotto, viziato dall’idea che un giorno quel monazza di Pastorin telefoni per chiedergli un pezzo, potrebbe bastare a giustificare i tre euro e sessanta versati ogni mese all’edicolante. Diverso è se mi metto nei panni di un altro acquirente che si ritrova a sfogliare la rivista incappando nei versi dedicati a Michael Platini dal verde Luigi Manconi, nell’apologo su Baggio composto da Lucio Dalla, o nel Totti visto da Adalberto Bortolotti come un "Valentino vestito di nuovo".

Ci risiamo, è la spiccia quanto efficace conclusione. Meglio, molto meglio andare allo stadio, a vedere di persona Totti, Baggio, Batistuta, Vieri, o anche Hubner, Pirlo, Bazzani, Maniero, Signori, giù giù fino a Menolascina (Spezia, serie C1, rigori scagliati a quasi 200 all’ora). Con il che si torna all’analogia calcio-erotismo. Meglio, molto meglio di tanta farisaica e contorta prosa, spacciata per "erotismo letterario" un personale esercizio di ars amatoria o, male che vada, un abbonamento mensile a "Le Ore" o a quelle pubblicazioni dove la pornografia acquista il suo più esplicito senso di essere e vendersi. Un conto è delegare a Wilbur Smith, Sveva Casati Modignani o Milan Kundera (tanto per citare tre autori molto diversi quanto a generi e target) le esplorazioni degli oceani luccicanti di tesori, dei cuori innamorati, e delle possibili relazioni, fisiche e spirituali, fra gli umani. In fondo, prendono il nostro posto, e un pochino ci guidano, con la loro fantasia, in luoghi mai visti, oppure in altri visti poco e male. Cosa completamente diversa è pretendere da uno scrittore che ci racconti, usando parole nuove, qualcosa che già abbiamo appreso, con costi variabili da persona a persona. Sia questo qualcosa un colpo di tacco di Maradona, o una sveltina consumata dentro un portone odoroso di fioriture e saponi da bucato. Si tratterà comunque di un qualcosa di così vissuto/immaginato, da intridersi di sacralità, e di una non-dicibile poesia che troverà insufficiente e superflua ogni esperimento di parola. Ah, quel bacio nella sera di maggio… Quel tiro al volo di Mancini, dentro lo stadio assiderato…

Cose importanti. Eventi. Contatti ravvicinati con il Sublime. Da affrontare, questa è l’impressione, coniugando un’umiltà e un acume che si intrecciano nell’angolazione desueta, nel gusto del particolare, nell’eroe dimenticato piuttosto che in quello scolpito lungo la via di Olimpia. Ricordando non a caso un Paolo Conte che cantò Bartali perché quasi sempre secondo dietro Coppi. E che, ci confidava una sera davanti a un piatto di polenta e baccalà, dovendo scegliere qualcuno nel mondo del calcio avrebbe lasciato nel cielo dove già si trovava un Gigi Riva. Molto meglio avrebbe fatto per lui un vecchio bucaniere da infernali aree di rigore. Uno che, allora, poteva essere il Cantarutti che, quarti di finale di Coppa delle Coppe, segnava a Lisbona piantando in asso un terzino portoghese con la stessa finta di spalla imparata quando giocava all’oratorio. Uno che oggi, potrebbe chiamarsi Menolascina. Professione mediano. Squadra Spezia. Serie C1. Specialità rigori battuti a 200 all’ora. Letteratura, altro che Palloni d’oro.

Stefano Ferrio

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved