Scrivere di calcio è
difficile come scrivere di sesso: pensi di fare un romanzo
erotico e te ne esce solo un racconto pornografico. Infatti
sono pochissimi libri e film sul pallone degni di essere
ricordati. Forse perché ogni giorno siamo ricoperti di
retroscena, polemiche, processi, telecronache e sminuzzamenti
delle partite minuto-per-minuto. E allora come si fa a
fantasticare su qualcosa che abbiamo visto tutti per cento
volte?
Le
analogie fra il calcio e l’erotismo risultano particolarmente
suggestive se riferite alla letteratura. Nell’uno e
nell’altro, una volta che ci si mette a scriverne, si è come
strattonati fra due estremi. Da una parte si ha per obbiettivo
il "letterario": ciò che è in qualche modo bello in quanto
necessario, in odore di unico e irripetibile. Dall’altra si
avverte il peso mortale di una quotidiana, incessante e
voracissima pornografia, dove le reiterazioni infinite degli
amplessi e dei sospiri si danno come quelle delle polemiche,
delle moviole e dei "retroscena" che infarciscono pagine e
pagine di gazzette, immagini su immagini di "processi", minuti
sovrapposti a minuti di radiocronache trasmesse in video
(ultima, ma non definitiva alterazione mediatica provocata
dall’impossibilità di seguire in diretta le partite da parte
di chi non ne possiede i diritti).
Simili anche gli effetti. A sporadici casi
di opere letterarie degne di "restare", in quanto consacrate
all’erotismo (un "Danno" e un "Amante" qua e là, molto spesso
made in France), corrispondono rari esempi di pagine sul
calcio da infilare in libreria. Soriano, d’accordo. E poi Nick
Hornby, ci mancherebbe. E i versi alabardati di Umberto Saba,
quelli ancora più sanguigni di Antonio Stefani, le fantasie di
Galeano, i reportage di Arpino e Brera, qualche storia
strappata all’oblio da Gabriele Romagnoli. E poi… Poi si
comincia ad annaspare a caccia di astrusi cognomi
serbo-bosniaci, piccoli capolavori anglosassoni (o forse
irlandesi) citati da uno di cui non fidarsi, episodici lasciti
di Scrittori da antologie, racconti pubblicati da riviste nate
per sponsorizzare integratori alimentari, banche smaniose di
rifarsi una reputazione, immancabili concessionari di
telefonia.
Viene da dire che di calcio si parla e si
parla così tanto, che quando è il momento di scriverne si va
immediatamente al bivio fra la pornografia più o meno
rispettabile delle nove, rosee colonne quotidiane di piombo, e
lo sterile esercizio imparaticcio, il fatuo come eravamo delle
lanette impregnate di sudore e dei palloni da non inzuccare
mai dove sbordava la famosa cucitura che teneva assieme il
cuoio. Se, giunti a questo punto, si mette in relazione
l’importanza, o meglio l’invasiva onnipresenza del calcio
nella vita di tutti i giorni, con la sua scarsa
rappresentabilità letteraria, cominciano ad avanzare dei
sospetti. Essi sono resi ancora più corposi dai continui buchi
nell’acqua prodotti in ambito editoriale da chi ancora pensa
che sia possibile vendere calcio in forma di libri.
Chiude i battenti uno stoico, spartano
"Rigore", per due anni edito ogni settimana in quattro,
firmatissime pagine su pallone e dintorni, e subito qualcuno
avverte nella sua scomparsa un vuoto da colmare con un più
morigerato e meno pretenzioso mensile, intitolato "Storie di
calcio". A "Rigore" ho avuto l’onore di collaborare, grazie
alla benevolenza di un direttore come Gianfranco Teotino.
Avendolo vissuto in qualche modo "dal di dentro", con tutto il
tifo che si dedica a un’impresa ritenuta giusta e illuminante,
ho avuto la possibilità di saggiare quegli stessi limiti,
quella medesima impotenza già nel primo numero di "Storie di
calcio", dovuto alla passione di due giornalistiche mezz’ali
di talento (una volta li si chiamava così i geni del
centrocampo) come Darwin Pastorin e Umberto Nigri.
Di memorabile ci trovo un lirico racconto di
Gabriele Romagnoli, intitolato "Arancio Santini", e
l’appassionante "Diario di un allenatore" scritto da Renzo
Ulivieri, con straordinarie testimonianze di spogliatoio
relative a calcio e sesso (il "Giuro che questa settimana non
trombo" chiesto negli anni settanta dall’Uli ai giocatori
dell’Empoli ha dell’entusiasmante). Per un lettore-scrittore
come me, inevitabilmente, e neanche sotto sotto, viziato
dall’idea che un giorno quel monazza di Pastorin telefoni per
chiedergli un pezzo, potrebbe bastare a giustificare i tre
euro e sessanta versati ogni mese all’edicolante. Diverso è se
mi metto nei panni di un altro acquirente che si ritrova a
sfogliare la rivista incappando nei versi dedicati a Michael
Platini dal verde Luigi Manconi, nell’apologo su Baggio
composto da Lucio Dalla, o nel Totti visto da Adalberto
Bortolotti come un "Valentino vestito di nuovo".
Ci risiamo, è la spiccia quanto efficace
conclusione. Meglio, molto meglio andare allo stadio, a vedere
di persona Totti, Baggio, Batistuta, Vieri, o anche Hubner,
Pirlo, Bazzani, Maniero, Signori, giù giù fino a Menolascina
(Spezia, serie C1, rigori scagliati a quasi 200 all’ora). Con
il che si torna all’analogia calcio-erotismo. Meglio, molto
meglio di tanta farisaica e contorta prosa, spacciata per
"erotismo letterario" un personale esercizio di ars amatoria
o, male che vada, un abbonamento mensile a "Le Ore" o a quelle
pubblicazioni dove la pornografia acquista il suo più
esplicito senso di essere e vendersi. Un conto è delegare a
Wilbur Smith, Sveva Casati Modignani o Milan Kundera (tanto
per citare tre autori molto diversi quanto a generi e target)
le esplorazioni degli oceani luccicanti di tesori, dei cuori
innamorati, e delle possibili relazioni, fisiche e spirituali,
fra gli umani. In fondo, prendono il nostro posto, e un
pochino ci guidano, con la loro fantasia, in luoghi mai visti,
oppure in altri visti poco e male. Cosa completamente diversa
è pretendere da uno scrittore che ci racconti, usando parole
nuove, qualcosa che già abbiamo appreso, con costi variabili
da persona a persona. Sia questo qualcosa un colpo di tacco di
Maradona, o una sveltina consumata dentro un portone odoroso
di fioriture e saponi da bucato. Si tratterà comunque di un
qualcosa di così vissuto/immaginato, da intridersi di
sacralità, e di una non-dicibile poesia che troverà
insufficiente e superflua ogni esperimento di parola. Ah, quel
bacio nella sera di maggio… Quel tiro al volo di Mancini,
dentro lo stadio assiderato…
Cose importanti. Eventi. Contatti
ravvicinati con il Sublime. Da affrontare, questa è
l’impressione, coniugando un’umiltà e un acume che si
intrecciano nell’angolazione desueta, nel gusto del
particolare, nell’eroe dimenticato piuttosto che in quello
scolpito lungo la via di Olimpia. Ricordando non a caso un
Paolo Conte che cantò Bartali perché quasi sempre secondo
dietro Coppi. E che, ci confidava una sera davanti a un piatto
di polenta e baccalà, dovendo scegliere qualcuno nel mondo del
calcio avrebbe lasciato nel cielo dove già si trovava un Gigi
Riva. Molto meglio avrebbe fatto per lui un vecchio bucaniere
da infernali aree di rigore. Uno che, allora, poteva essere il
Cantarutti che, quarti di finale di Coppa delle Coppe, segnava
a Lisbona piantando in asso un terzino portoghese con la
stessa finta di spalla imparata quando giocava all’oratorio.
Uno che oggi, potrebbe chiamarsi Menolascina. Professione
mediano. Squadra Spezia. Serie C1. Specialità rigori battuti a
200 all’ora. Letteratura, altro che Palloni d’oro.
Stefano Ferrio