Pinocchio horror
Una
rivisitazione originale della storia del burattino di legno.
Fra viaggi all’inferno, fate-bambine, assassini, impiccagioni
e resurrezioni. Un gioco con le parole per decifrare, dice
l’autore, la favola per antonomasia
Giorgio Manganelli, Pinocchio:
un libro parallelo, Adelphi, pp.205, Euro 15,00
Uscito
per la prima volta nel 1977 e praticamente introvabile, il
Pinocchio di Giorgio Manganelli torna in libreria per la
gioia degli estimatori di questo grande fabulatore, le cui
opere sono in corso di pubblicazioni presso Adelphi. In
Pinocchio: un libro parallelo, sorta di commento all’opera
di Collodi e insieme riscrittura del testo originale,
Manganelli si ingegna a "trascrivere, decifrare,
disenigmaticare" la favola del burattino per antonomasia;
anche perché – a suo dire – tale libro è poi una silloge di
"tracce, orme, indovinelli, burle, fughe".
Appena infatti ci si addentri
nella prosa sontuosa e ilarotragica del Nostro si può notare
come il libro parallelo si dilati attraverso innumerevoli
chiose, rimandi, allusioni ed evocazioni, assumendo la forma –
o meglio ancora – la paradossale non-forma di scritto
"tendenzialmente infinito"; come forse ogni libro è, in quanto
chi è chiamato al commento o alla critica di un’opera non
sembra tanto incline a trattare delle parole che essa
contiene, sebbene piuttosto di "quelle che vi si nascondono".
Sarà che l’autore, ogni autore secondo Manganelli, rappresenta
alla fin fine un’ipotesi "innecessaria", giacché quanto noi
lettori abbiamo di fronte non rappresenta che un filamento,
anzi un deposito: un gomitolo di parole da dipanare e
insieme districare. Anche se, avverte il disincantato e
sornione Giorgio, guai a pretendere di fissare in modo rigido
una precisa significazione/interpretazione, in quanto le
parole non avrebbero "nulla da dire" essendo gratuite e forse
inutili come lo stesso universo.
Depistatorio e straniante –
quantunque lucidissimo e puntuale – è d’altronde questo
commento; il cui fine pedagogico ha del catartico: vuole porsi
all’insegna dell’allusività e dell’apertura contro ogni
pretesa critica definitoria e dunque a suo modo esaustiva. "Le
parole" scrive il parallelista "sono unicamente dei
grafici, dicono le distanze, le altezze, le geometrie
nell’ambito dei quali si debbono collocare le letture". E
l’avventuroso viaggio iniziatico di Pinocchio lungo il quale
il burattino dovrà più e più volte smarrire la strada, ossia
perdersi per venire trovato, diviene itinerario labirintico
dove il non ancora ragazzo "deve essere trovato per perdersi",
giacché tramutare in fuga ogni ritorno sembra il suo destino.
Ma non solo Pinocchio – figura
insieme umana e transumana, didascalica e tragicomica – è
costretto a edificanti smarrimenti; lo è pure chi affronta
questo enigmatico libro parallelo. In cui non ci si addentra
senza rischio (narrativamente salutare però) di perdere la
bussola, ma – avverte a scanso di equivoci Manganelli – "vi si
precipita"; in cui si è presi all’interno di un percorso
inquietante che conduce il lettore nientemeno che nel Regno
dei Morti (o negli Inferi, così cari all’autore), che
Pinocchio dovrà attraversare per morire da burattino e
rinascere da ragazzo dopo mille traversie, inganni e
autoinganni: Dopo aver incontrato luttuose Bambine-Fate,
avversari assassini e aver sperimentato impiccagioni,
prigioni, metamorfosi e annegamenti.
Non a caso in una delle ultime
avventure/sventure egli finirà, sorta di novello Giona, nel
ventre di un mostro marino per patire una morte iniziatica e
simbolica: preludio a una rinascita che vedrà la fine del
burattino meraviglioso affinché possa entrare in
scena un nuovo Pinocchio in carne e ossa. Perché il ragazzo
Pinocchio sia pronto in chiusa di volume ad un nuovo percorso
esistenziale, di cui nulla sappiamo e che – se qualcuno mai un
giorno vorrà narrarlo – è tutto da scrivere
Francesco Roat |