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redarrowleft.GIF (53 byte) Varie Sport Marzo  2002
 

Fuerza Ecuador

Crisi di gioco o no, siamo ancora tra i più forti del mondo. Ma la nazionale di calcio italiana ha conosciuto anche le sue umiliazioni. Come la disgraziata sconfitta con la Corea nel ’66, i rischi con Haiti e le vittorie striminzite con gli Usa. Ora ai Mondiali ci aspetta la cenerentola Ecuador. Una squadra povera, entusiasta e colorata contro i nostri divi del pallone straricchi e annoiati. Sarà un po’ meno facile tifare Italia?

Nel 1966 l’Italia perde ai Mondiali di Inghilterra contro la Corea del Nord. Oltre all’eliminazione, quella sconfitta provoca uno choc nazionale di dimensioni iperboliche. Tornarsene a casa per il gol segnato dal dentista Pak Doo Ik (quella coreana è una squadra composta solo da dilettanti) apre una ferita che farà sanguinare a lungo l’orgoglio patrio. Al punto che "E’ stata una Corea" diventa frase di uso comune nella lingua quotidiana, quando si vuole alludere a qualcosa di disastroso e irreparabile.

Trentasei anni dopo, la Corea, anche se quella del Sud, si è così emancipata dal punto di vista calcistico, che i Mondiali li ospita, assieme al Giappone. A partire dal 31 maggio (Francia-Senegal) un mese di partite, miliardi di telespettatori, trentadue squadre al via. L’Italia naturalmente c’è (non ha partecipato a due sole edizioni delle fasi finali), e, un po’ come in quel 1966, parte tra le squadre favorite. Allora le rivali più accreditate erano Brasile, Inghilterra e Germania, con le ultime due che si giocarono puntualmente la finale, vinta dalla prima. Oggi si parla invece di Argentina, Francia e ancora Brasile.

Contro una di queste tre squadre l’Italia potrebbe disputare la sesta finale della propria storia. Sempre che naturalmente non incappi in una nuova Corea. In fondo, dopo la disfatta inglese, gli azzurri, nati più per difendere che per attaccare, hanno collezionato altre magre contro avversarie prive di tradizioni. Nel 1970 pareggiano 0-0 con Israele, e nel 1974 battono Haiti dopo essere stati in svantaggio al 15° del secondo tempo, Quanto al glorioso 1982, prima di vincere i Mondiali, fanno in tempo a impattare 1-1 con il Camerun, mentre nel 1986 superano solo 3-2 la Corea del Sud. Dopodiché, nel 1990, pur giocando in casa, rifilano un misero 1-0 agli Stati Uniti, e nel 1994 perdono contro la Nigeria fino a quattro minuti dalla fine (finirà 2-1 grazie a due capolavori di Roberto Baggio).

Guardando a queste partite, ce n’è abbastanza per dare le ali ai sogni di qualsiasi avversario. Prendiamo ad esempio l’Ecuador, allenato da Hernàn Dario Gomez, detto El Bolillo (il panino) a causa della stazza tracagnotta, più da sergente Garcia dei vecchi telefilm di Zorro che da sergente di ferro. Il 3 giugno, allo stadio giapponese di Sapporo (ore 13,30 italiane) farà il suo debutto ufficiale nelle finali mondiali, da avversario dell’Italia. Mai andati ai Mondiali gli ecuadoriani, nonostante l’entusiasmo ribollente dei loro stadi, e una divisa tricolore, gialla rossa e blu, della cui sgargiante bellezza si è sempre sentito la mancanza nella massima competizione di calcio internazionale. "Colpa" di un popoloso girone sudamericano dove, nelle qualificazioni, hanno sempre trovato il disco rosso del Brasile, dell’Argentina o dell’Uruguay di turno. Fino allo scorso anno.

Nel 2001 arriva invece la clamorosa novità di un’ammissione in carrozza alle finali di Giappone e Corea. Addirittura per il secondo posto conquistato alla fine di un vero e proprio campionato a dodici squadre. Dietro la sola Argentina, e davanti a squadroni titolati come Brasile e Uruguay. Ce n’è abbastanza per agitare i sonni degli azzurri? Impossibile saperlo prima del 3 giugno. Di certo El Bolillo e i suoi ragazzi cercheranno di non turbarli più di tanto, perché possono realisticamente contare solo su un effetto sorpresa contro lo squadrone dei Vieri, dei Totti e dei Maldini.

In attesa che arrivi la famosa "risposta del campo", possiamo intanto girare la domanda a noi stessi, tutti potenziali tifosi dell’Italia. E magari scoprire che non siamo turbati per nulla. Anzi, se proprio ci pensiamo a fondo, quasi quasi… Ecco, forse non arriviamo ad augurarci la sconfitta della squadra del Trap, però siamo in grado di metterne a fuoco alcuni caratteri, come il divismo, le ricchezze esagerate, la capricciosità di qualche suo bulletto, la stretta appartenenza a una società dello spettacolo dove esiste molto di sponsorizzato e poco di genuino. Qualcosa che fa a pugni come su un ring con la strapaesana semplicità di quelli dell’Ecuador e, soprattutto, ammettiamolo, con l’eccezionale passione popolare da cui saranno sospinti nello storico giorno del debutto ai Mondiali.

Insomma, eccoci a un altro incrocio pericoloso confinante con la Globalizzazione. O meglio, con quell’allentarsi delle frontiere di cui, in questo mondo omogeneizzato dalle più varie forme di comunicazione, la Globalizzazione è una conseguenza politica eventualmente da combattere. Se pensiamo a Italia-Ecuador, e a quanto di "local" o, se volete, di "no global" esprime questa partita inedita nella storia del calcio, risulta difficile palpitare per gli italiani dei supercontratti e dei muscoli delicati, piuttosto che per la coloratissima "Anima" di questi indios cresciuti fra palloni di fortuna, canne da zucchero e piccoli stadi di cartone sparpagliati sull’altopiano delle Ande. Perché, se nemmeno il dubbio ci sfiora, a cosa serve poi ballucchiare al ritmo di Manu Chao, sfilare per una nuova Genova, e mostrare il pugno della ribellione ai potenti del G8?

In fondo, se guardiamo agli altri gironi, nessuna esitazione ci assale di fronte al Senegal che sfida sua maestà la "France", al Costarica che si gioca la vita con il Brasil dei Fenomeni, o al Sudafrica che va all’assalto delle Furie Rosse di Spagna. Ci basta solo togliersi un istante dalla nostra pelle di italiani per accorgerci che, prima del fischio di inizio, prima di venire travolti dall’atavica febbre del tifo, e prima di lasciare che il migliore alla fine vinca, un "Forza Ecuador" sgorga dai nostri cuori molto più facilmente di un "Forza Italia"… O no?

Stefano Ferrio

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