Cowboys catapultati nelle
"praterie" dei Balcani ai primi del secolo scorso. Un
modo, dice il regista Milcho Manchevski, per riunire due
momenti storico: la fine del selvaggio West americano e
quella dell’Impero Ottomano. Un’operazione originale,
secondo l’autore, senza fini politici. Solo una
contaminazione "fantastica" di generi per raccontare
passioni e speranze degli uomini
Il
suo film di qualche anno fa, Prima della pioggia,
oltre a vincere il Leone d’oro a Venezia ha commosso le
platee di tutto il mondo che assistevano indifferenti - e
nel miglior dei casi impotenti - allo smembramento
progressivo della Yugoslavia attraverso una sanguinosa e
funesta guerra civile. Adesso, dopo una lunga pausa di
riflessione, Milcho Manchevski torna alla regia con
Dust una celebrazione surreale della mitologia della
Frontiera, con un western ambientato nella Macedonia dei
primi del secolo dove due cowboys americani (David Wenham
e Joseph Fiennes) si trovano catapultati loro malgrado per
una storia di passione, tradimento, avidità e,
naturalmente, proiettili.
John Ford diceva che se i produttori
sapessero quanto ci si diverte a girare un western,
sarebbero loro a chiedere di essere pagati. E’ d’accordo?
Un western è sicuramente molto
divertente da realizzare, ma – nel mio caso – è stato
anche molto duro. Personalmente credo che sia valsa la
pena fare tutta questa fatica e – sebbene – io mi sia
stancato molto, posso dire anche di essermi divertito.
Lei ha rifiutato caldamente la
definizione di Dust come quella di un western che
fosse metafora dell’indipendenza della Macedonia. Perché?
L’ambientazione con i Balcani c’entra
poco o nulla. Faccio film sulla condizione umana che hanno
poco a che vedere con i luoghi dove le persone vivono. Se
la storia funzionasse solo in un luogo, allora ci sarebbe
qualcosa che non va nel mio film. So bene che molti hanno
offerto una lettura politica di Dust, ma posso dire
con tutta sincerità che le trovo soltanto fortuite. Il
film copre un periodo storico molto importante per cui mi
sono letto oltre duecento libri. E’ la fine del selvaggio
West che coincide con la caduta dell’Impero Ottomano. Per
me la cosa importante era unire questi momenti storici
alla nascita del cinema e della psicanalisi evitando la
divisione mentale che spesso attribuiamo a questi fatti
attraverso il nostro cervello. Tutto questo era non solo
interessante, ma anche "liberatorio". Volevo liberarmi di
tutti i cliches che gravano sulla narrazione
cinematografica.
Dust è una
narrazione fantastica: il fatto che nel film si vedano le
torri gemelle di
New York lo rende ancora più fantastico,
anche in quel momento che – forse – lei in sceneggiatura
voleva rendere più realista?
Quella parte rende il film di per sé un
film storico. Inoltre credo che la storia di una storia
resti sempre una storia. Sono contento se si considera
Dust una narrazione fantastica, perché non è mai stata
una mia intenzione aggiungere alcun valore o significato
politico al film. Io odio la politica. Per me Dust
è una contaminazione di generi e di archetipi narrativi
attraverso il racconto di una storia di uomini e donne, di
passioni e di speranze.
Qual è il senso – oggi – del Western?
E’ un genere eterno, perché si avvicina
molto all’antica mitologia, dove ci sono grandi storie di
amori impossibili e grandi passioni.
Come è stato accolto Dust è in
Macedonia?
Il film è andato molto bene e ricordo
con piacere il commento di un critico che lo definiva come
"La Guernica della Macedonia".
Considera questo un commento artistico o
politico?
Io l’ho visto solo dal punto di vista
artistico. Credo che Guernica sia un’opera bellissima a
prescindere dal suo significato politico. Del resto io non
volevo ambientare Dust in Macedonia. A lungo ho
pensato di girarlo in una nazione nata dal crollo dell’Urss.
Poi ho deciso di realizzarlo in Messico. Poi sono tornato
in Macedonia augurandomi che il pubblico non pensasse a
questo film come ad una rappresentazione della storia e
della realtà macedone. Io credo che il cinema non serva a
lanciare messaggi. Come diceva qualcuno, per quello
bastano i telegrammi…
m.s.