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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Maggio  2002  
 

Il passato prossimo venturo

Un quarantenne che non riesce a crescere e a staccarsi dalla sua gioventù, rappresentata da una donna fragile, inquieta e passionale. Così il viaggio verso la vacanza di Milo assieme alla sua ultima compagna e ai figli diventa l’occasione per rivedere e ricercare gli anni perduti. E, forse stavolta da adulto, ricominciare da capo

Alessandro Tamburini, Due volte l’alba, Marsilio, pp.178, Euro 13,50

Riconoscere le proprie emozioni; trovare la propria strada lasciando emergere dal profondo i più autentici vissuti emozionali. Questa potrebbe essere la chiave di lettura dell’ultimo testo narrativo di Tamburini. Racconto psicologico quanti altri mai. Sorta di singolarissimo romanzo di formazione, direi, anche se il protagonista di questa storia è un quarantenne in crisi di identità. Ma non è mai troppo tardi per crescere, e forse si riesce a farlo giusto nel mezzo del cammin di nostra vita, per dirla con Dante.

Così Milo – a tutta prima uomo soddisfatto di sé e del suo lavoro di docente universitario – in partenza per una vacanza al mare assieme alla convivente Silvia ed all’adolescente figlio di lei, Thomas, si ritrova all’improvviso a fare i conti con un bilancio esistenziale che sembra non voler quadrare. Eppure nulla di eclatante ha sconvolto la routine borghese della sua esistenza un poco apatica. All’alba egli sta procedendo con la sua auto verso la riviera romagnola – dove il professore ha trascorso la giovinezza –, quando all’improvviso un ricordo fa irruzione nei suoi pensieri con vigore inquietante. Allorché Silvia gli chiede innocentemente di "fare pipì", e l’uomo si ferma ad una stazione di servizio, lui si rende conto di rivivere un’esperienza accaduta anni addietro con un'altra donna: Iana, il suo primo amore. Iana che "andava e veniva senza logica né preavviso". Iana, femmina inquieta ma fragilissima, legata a Milo da un rapporto lacerante, fatto di passionalità ma insieme di scontri, segnato da bruschi abbandoni seguiti da riconciliazioni all’insegna di una sessualità compulsiva e mai sazia, mai del tutto appagante.

Un rapporto all’insegna dunque di un’ambivalenza e conflittualità che Tamburini riesce a far cogliere al lettore quasi a livello di pelle, riuscendo a trasmettergli in presa diretta il disagio emozionale di Milo che patisce nuovamente quella vecchia storia solo richiamandola alla mente. Quindi all’improvviso il viaggio verso il mare diviene viaggio nella memoria e nel tempo; diventa tragitto emotivamente accidentato, tanto allarmante da far pensare al professore non già di intraprendere una gita ma "di stare attraversando un confine, di andare verso una destinazione ignota".

Del resto Milo incarna in modo esemplare il tipico single postmoderno, spesso incapace di relazioni affettive durature. Egli – come Silvia, peraltro – è separato e, specularmene a lei, ha una figlia adolescente che si barcamena tra la madre ed il padre. Così l’intervallo al mare non si rivelerà per nulla una vacanza (nel senso etimologico di assenza di impegni), bensì un serio lavoro introspettivo alla ricerca di se stesso o del giovane che era negli anni universitari. Anni di militanza in una formazione politica di estrema sinistra, il cui linguaggio, i cui slogan e la cui Weltanschauung – il climax, insomma – Tamburini descrive con sottile ed intenso acume narrativo (sono godibilissime le pagine sull’impegno assemblearistico di quei tempi davvero andati: tempi di ideologie, parole d’ordine, comizi con tanto di "striscioni inneggianti al Vietnam e al Che Guevara" e manifestazioni di dissenso). Per questo aspetto il romanzo, da intimistico, si fa corale, meglio: generazionale; quasi epico se mi è consentito il termine, tuttavia di un’epica ironica ed autoironica, venata com’è dal disincanto.

Ma torniamo alla laboriosa (introspettivamente parlando) vacanza di Milo e di Silvia, i quali se la devono vedere coi rispettivi pargoli, giacché fa capolino sulla scena Caterina, figlia del professore, il cui ritratto Tamburini schizza con mano felice, dimostrando di conoscere molto bene il mondo giovanile, le sue aspirazioni e i suoi tic. Riusciti, verosimili e coinvolgenti i dialoghi tra padre e figlia segnati insieme dall’affetto e dalla difficoltà da parte di entrambi a gettar ponti verso l’altro: a stabilire relazioni tra il mondo adulto e quello giovanile.

Quindi il viaggio. La scusa (o l’occasione) è un eritema solare che costringe Milo lontano dalla spiaggia. In realtà il fantasma di Iana lo visita turbandolo a tal punto da fargli prendere la macchina e percorrere vie e paesi della costiera romagnola in cerca del proprio passato. Sullo sfondo appare così una miriade di luoghi, ora accennati ora descritti con minuzia calligrafica; quasi con amore, diresti. Ma la località che più colpisce il lettore è una Rimini notturnamente cupa, tetra ed affollata da una torma di solitudini che la rendono agli occhi di Milo aliena e straniante. E’ questa forse la parte più difficile del romanzo. Quella in cui si affastellano e irrompono alternandosi ricordi e riflessioni in un’autoanalisi lucida e impietosa. Bella la descrizione del primo incontro amoroso fra Iana e Milo: un abboccamento fatto appunto di baci e sorsate di vino. Bello lo scavo psicologico dei vari personaggi, anche minori. Bello il contrasto fra la capacità di esprimersi a parole – astrattamente – da parte del futuro cattedratico Milo e quella di saper leggere nel cuore degli altri riuscendo a cogliere i sentimenti, propria di Iana, che rappresenta la stagione della giovinezza, della freschezza e del primo amore.

E siamo alla parte centrale del libro, fatta di sogni, flash back, ricordi, visitazioni di luoghi, grazie ai quali Milo ripercorre la sua vita le cui stazioni cruciali sono rappresentate dalle storie significative con tre donne: Iana, la moglie Ludovica e l’amante Silvia. Talvolta – va detto – talune digressioni mnestiche del professore fanno rallentare sino a rischio di stallo il romanzo, ma ben presto la narrazione torna a scorrere e il ritmo si fa più intenso dal momento della decisione da parte del protagonista d’andare concretamente in cerca di Iana. La cui perdita per l’uomo ha coinciso con quella delle illusioni e utopie giovanili.

Ma qui è opportuno sospendere il discorso, pur essendo giunti al cuore del romanzo. Bisogna fermarsi qui per non togliere ai lettori il piacere della sorpresa rispetto al prosieguo che, come ognuno può prevedere, si rivelerà carico di agnizioni e radicali mutamenti. Diciamo solo che si tratta delle pagine più intense, sofferte e partecipi, quando Milo si trova di fronte a se stesso oltre che di fronte ai suoi fantasmi e alle sue proiezioni. Il professore dovrà, infatti, decidersi a crescere una buona volta emotivamente, a prendere atto della realtà, vivendo il presente senza più fughe nel passato o sogni ad occhi aperti. E sarà un finale di apertura e di speranza, allorché una seconda volta all’alba l’uomo potrà iniziare un nuovo cammino esistenziale più adulto, nel segno della consapevolezza.

f.r. 

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