Un emarginato, vittima di
un padre ubriacone che ha ucciso la moglie. O uno squilibrato
che si è inventato tutto. O forse tutti e due. E’ "Spider",
l’ultima creatura di Patrick Mc Grat, che torna ancora una
volta a parlare di malattia mentale, dei suoi misteri e dei
suoi dolorosi protagonisti
Patrick Mc Grath "Spider", Bompiani, pp.218,
euro 14,50
Finalmente
tradotto in italiano per la gioia degli estimatori di Patrick
Mc Grath (l’autore di Follia, best seller
internazionale, per capirci), ci attende in libreria Spider,
romanzo di inquietudine, delitto e insania mentale: gli
ingredienti che hanno fatto la fortuna dello scrittore
inglese, puntualmente presenti in ogni suo libro.
Siamo nei sobborghi nebbiosi e cupi di una
Londra fine anni ’50. Io narrante del racconto è Dennis Cleg,
uomo il cui soprannome suona appunto Spider: "ragnesca figura
vagabonda" di derelitto, costretto a vivere presso uno
squallido ospizio in cui vegetano solo "anime morte" e tutto
preso dalla stesura di un diario in cui l’uomo tenta di
ricostruire la propria vita segnata dalla drammatica morte
della madre, uccisa a suo dire dal marito – idraulico beone e
puttaniere – per poter spassarsela in libertà con l’amante,
che, installatasi stabilmente in casa Cleg, ha assunto il
ruolo di matrigna del piccolo Spider, melanconico ragazzo
mingherlino, a suo agio solo "nelle tenebre e nell’oscurità".
Ma, come sempre nei romanzi di Mc Grath,
niente è come appare a tutta prima; l’innocente si rivela poi
colpevole, la vittima carnefice, e quanto all’inizio sembra
assodato si ribalta quindi in un finale all’insegna dello
straniamento e dell’agnizione più sconvolgenti. Così un poco
alla volta il lettore s’accorge che il povero Spider è
completamente pazzo: uno schizofrenico in preda a voci e
allucinazioni devastanti, che ha vissuto vent’anni non già in
Canada – come il suo diario sosteneva – bensì in una clinica
per malattie mentali. E risulta davvero d’una straordinaria
maestria narrativa il capitolo sull’ospedale psichiatrico e il
suo regime coercitivo, fatto di camicie di forza, isolamento
coatto e "celle" stile carcere. Realtà manicomiale che Mc
Grath descrive con una pietas e un’empatia nei
confronti della sofferenza psichica davvero intense.
Altrettanto coinvolgenti le pagine intorno ai deliri e alle
farneticazioni di Dennis nel suo folle (e vano) tentativo di
esorcizzare e rimuovere il dolore causato dal delitto atroce
in cui ha trovato la morte la propria madre.
Spider è dunque il
racconto di una sofferenza inaudita; è ancora una volta la
narrazione di una follia definitiva e senza scampo.
Così la bravura dello scrittore non sta tanto nel depistare il
lettore, facendogli credere che il padre di Dennis sia un
mostro (mentre lo è piuttosto il protagonista), quanto nel
segnalargli mediante indizi via via sempre più chiari e
perturbanti come la ricostruzione del delitto fatta da Spider
sia solo l’incubo di una mente devastata. Quindi va in parte
rettificato quanto detto sopra. Alla fine non è facile
indicare chi sia veramente innocente, chi perseguitato e chi
persecutore. Spider, nella sua personalità divisa, fatalmente
scissa, è insieme vittima e carnefice, giacché – come egli
confessa in chiusa di diario attraverso una lucidissima e
insieme folle confessione – la sua non è stata affatto una
vita, "ma uno sbriciolamento, una costruzione infantile tenuta
insieme da bastoncini e pezzi di spago - e adesso rimangono
solo cenere e polvere, e i ragni".
Francesco Roat