Chi credeva che la moda del
tatuaggio durasse in eterno si sbagliava di grosso. Perché la
sua fine era già stata decretata prima dal piercing, poi dal
branding e ora dalla body art. Che ha un vantaggio su tutte:
sparisce con una bella doccia per ripresentarsi diversa ogni
volta a seconda dei gusti e dell’umore. Perfetta allegoria di
una moda sempre più fugace e, almeno, innocua
Ve lo sareste
mai aspettato che i maghi del trend, dopo aver sdoganato il
tatuaggio dalla matrice socio-antropologica delle culture
primitive e da quelle più recenti degli ambienti galeotti e
fatto rientrare a 180 gradi nella categoria delle mode, lo
avrebbero così facilmente, cancellato, si fa per dire, dalle
tendenze artistiche cutanee?
Il suo primo colpo gliel’ha inferto il
piercing, l’arte di ritoccare il proprio aspetto attraverso la
perforazione di nasi, orecchi, ombelichi… poi è stata la volta
del branding, che consiste nel farsi marchiare la carne viva col
fuoco, come vacche da ranch. Il brandig trovava le sue radici
alla Land Art e Dennis Oppenheim, in senso sadomasochista,
perché creava effetti sull’epidermide con mutilazioni e ustioni.
Ma la morte vera del tatuaggio l’ha decretata la body art,
l’ultimo grido in materia di ornamenti: meno violenta e
autolesionista, anche la body art nasce da alcune esperienze
artistiche degli anni Sessanta: l’arte processuale, l’happening
e gli eventi fluxus, già figli di Duchamp e Klein, tesi a usare
materiali per raggiungere un contatto fisico con l’evento o con
il corpo dello stesso autore.
Più che di
opere si trattava di "processi" che il corpo era in grado di
portare avanti da solo. Oggi con la body art la pelle diventa
una splendida tavolozza su cui dare sfogo alla più sfrenata
fantasia. I professionisti utilizzano specifici pennarelli, ma
possono andare bene anche cosmetici comuni per dare vita a rose
di rossetto, lune di hennè, farfalle di ombretto; un florilegio
di fregi vezzosi, spesso impreziositi da spruzzate di
microcristalli scintillanti sulle gote delle teen ager, pronti a
rimanere appiccicati in faccia allo spasimante di turno dopo il
primo bacio. Sempre più spesso, dunque, le nostre notti verranno
solcate da branchi di fanciulle tinte come incroci tra indiani
apache sul piede di guerra e Pierrot postmoderni. Potrete
trovarle adorabili o ridicole; resta il fatto che questa body
art è ancora la più innocua e la meno pretenziosa tra le mode
germogliate dal tatuaggio. Se pensiamo infatti che qualche anno
fa si esibiva in alcuni teatri europei un sedicente artista
concettuale che proiettava su un megaschermo immagini dei propri
organi interni ripresi
in diretta
grazie a una minitelecamera ingerita; e che ha fatto scalpore il
caso di quella signora americana che si è sottoposta a decine di
operazioni chirurgiche pur di assumere un’inquietante apparenza
felina, la body art diventa un simpatico, tenero, estroso mondo
di innocenti ghirigori. Ci fanno sognare per una notte, ma si
spengono, come tutti i sogni all’alba, con una semplice doccia.
In questo senso la body art si pone come la massima allegoria
della moda che ha per caratteristica fondamentale la fugacità.
La body art passa con una bella lavata senza traccia alcuna, ma
lasciando sempre aperta la porta alla massima creatività
cosicché tutti possiamo diventare aspiranti pittori di noi
stessi
Maria Chiara Passera