La storia? Va di corsa
Dalle olimpiadi ai Mondiali, i 100 metri piani sono per
tutti la gara regina. Anche perché il rincorrersi dei primati
segna il cambiare delle epoche. Così dall'antica voglia di
imitare gli animali più veloci si è arrivati oggi all'uso del
doping per battere il tempo. E alle figure dei super atleti
ricchi e famosi. Poi in mezzo agli "eroi" compare l'eccezione.
Come il "piccolo" Tim Montgomery che a sorpresa a Parigi ha
conquistato il nuovo record del mondo
Uno degli
avvenimenti più importanti di questo 2002 sportivo ha avuto
luogo il 14 settembre a Parigi, dove l’americano Tim
Montgomery ha stabilito il nuovo record mondiale dei 100 metri
piani con il tempo di 9 secondi e 78 centesimi.
E’ un risultato che abbassa di
un centesimo il limite precedente, conseguito tre anni fa da
un altro neroamericano, il Maurice Greene reso più famoso
dagli ori olimpici e mondiali incamerati in carriera. Prima
della grande impresa parigina, centrata al termine di una gara
fuori dal comune, in cui il secondo arrivato (l’inglese Dwain
Chambers) ha ottenuto il nuovo primato europeo con 9 e 87, il
ventisettenne Montgomery, nato nel 1975 in un paesino del
South Carolina, non aveva conquistato nulla grazie a cui
inscrivere il suo nome in qualche albo d’oro. La prova-record,
giunta nella finale del Grand Prix 2002, lo ripaga
abbondantemente di tanto, relativo anonimato. Oltre a un posto
nella Storia dello sport, gli consegna infatti i 250 mila
dollari destinati al vincitore dello stesso Grand Prix, visto
che Tim ha realizzato nella propria disciplina i migliori
risultati dell’intera stagione dei meeting internazionali.
Il grande sconfitto di questa
specie di ambitissimo mondiale a punti è il marocchino El
Guerrouj, che con il proprio dominio da autentico padrone del
mondo esercitato sui 1500 metri, appartiene alla stessa
schiatta degli atleti-superstar dove ritrovare non solo
Maurice Greene, ma anche la fidanzata di Montgomery, ovvero la
Marion Jones che da qualche anno a questa parte detta ovunque
legge nei 100 e 200 metri. Tornando al mezzofondista africano,
l’avere fatto a sua volta collezione di titoli olimpici e
mondiali, a cui aggiungere lo strepitoso 3’29”27 centrato
nella finale parigina, alla fine non è bastato al cospetto del
“Giorno da leone” di cui è stato protagonista lo sprinter
americano, un “piccoletto” qualunque (è alto 1 e 78),
frustrato in gioventù per la bocciatura ricevuta dal dorato
mondo del football (troppo mingherlino per competere con quei
colossi), nonché funestato a ripetizione dai classici
incidenti di percorso di un ragazzo difficile: la fidanzata
che lo investe di proposito con l’auto, tagliandolo fuori per
un anno dalle piste, il migliore amico ucciso durante la
rapina a un distributore di benzina.
Questo sommario ritratto del
nuovo campione induce a un paio di riflessioni. La prima ha
del consolatorio, riguardando le chances di successo comunque
riservate ai brutti anatroccoli che così tanta fatica devono
fare per trovare posto in mezzo ai vanitosi e venerati cigni
dello sport-spettacolo. Al Montgomery, che forse in futuro
riuscirà pure a vincere un Mondiale o un’Olimpiade, riesce nel
frattempo quel “qualcosa di eccezionale” grazie a cui
apparentarlo ad altri, sublimi eroi per un giorno nello sport
di tutti i tempi. Nell’atletica leggera è stato così per il
nostro Marcello Fiasconaro, zero ori in carriera ma un
mondiale degli 800 metri resistito per anni e anni, o per il
Giuseppe Gentile finito sul tetto del mondo del salto triplo
per un solo pomeriggio (alle Olimpiadi di Messico ’68, dove in
serata il suo limite fu superato da ben due avversari).
Spostandoci ad altre discipline, il quadro si arricchisce
considerando campioni del mondo di ciclismo come l’olandese
Ottenbros (1969) o il belga Dhaenens (1990), la carissima
Paoletta Magoni oro olimpico di slalom nel 1984, i belgi del
Malines vincitori della Coppa delle Coppe di calcio nel 1988,
per non parlare della mitica Danimarca campione d’Europa,
sempre di calcio, nel 1992.
Un secondo ragionamento induce
a rivedere proprio il film del primato dei 100 metri, forse il
più importante anche al di fuori delle statistiche sportive,
per come concorre a disegnare la storia dell’umanità
attraverso la sfida eterna con il muro della velocità. Uomini
che corrono “quasi” come lupi e leonesse, comunque ben lontani
dai limiti intoccabili posseduti nel Regno animale da ghepardi
cavalli e levrieri, segnano l’avvicendarsi delle epoche
dall’avvento del moderno sport olimpico fino al presente dei
supermen spesso in odore di doping e illeciti aiuti. In quest’ottica
anche quel intrattabile “piccoletto” di un Tim Montgomery può
aspirare a rimanere nella memoria. Molto dipenderà dal tempo
che ci vorrà per vedere cadere il suo record. Lo stesso,
detronizzato Maurice Greene, ha già annunciato battaglia, e a
livello teorico non si vede come negargli un miglioramento di
due centesimi nell’arco dei prossimi anni.
Ciò nonostante, quei capricci
di vento muscoli pistole e cronometri che si rivelano così
determinanti nella realizzazione di ogni record, possono
allungare in modo indeterminato l’attesa del prossimo
miracolo. Solo a posteriori, quando un nuovo re dei 100 metri
sarà stato proclamato, potremo leggere meglio il peso della
volata da 9 e 78 firmata dallo sprinter americano. Solamente
allora saremo in grado di cogliere lo spessore del suo nome e
cognome in un albo d’oro che riassume tanti capitoli del
nostro passato. Capiremo se Tim Montgomery avrà nella nostra
memoria “di uomini” prima ancora che di sportivi uno spazio
analogo a quello, ben più importante delle medaglie d’oro,
conquistato in passato da campioni come Jesse Owens, Armin
Hary, Jim Hines, Calvin Smith, Carl Lewis.
Stefano Ferrio