Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
 
redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Ottobre - Novembre 2002  
 

Breviario per laici

Due visioni della vita diverse: una crede nella resurrezione dopo la morte, l’altra ha il senso della morte come fine di tutto. Ma al di là della figura di un dio di riferimento o di vangeli e dogmi, nel breve saggio di Salvatore Natoli cristiani e atei partendo da idee divergenti si ritrovano uniti da un’etica di fratellanza. Religiosa per i primi, umana e sociale per gli altri

Salvatore Natoli, Il cristianesimo di un non credente, Edizioni Qiqajon, pp.91, euro 6.00

 

Parlando di religiosità non è così semplice come può sembrare di primo acchito dividere le persone in credenti e non credenti. Se – poniamo il caso – dico di credere in Dio,  postulo meramente l’esistenza di un ente supremo o aderisco alla dogmatica di questa o quella religione monoteistica? E ancora, senza la fede in Dio è possibile credere in un’etica universale? Infine: possiamo ragionare, comunicare, convivere senza la credenza in tutta una serie di paradigmi o schemi regolativi?

È ovvio che tutti noi – laici ed atei compresi – abbiamo fede ossia nutriamo fiducia in qualcosa; senza una Weltanschauung: privi di una visione del mondo non è possibile abitarlo. Tuttavia un conto è avere una serie di convinzioni, altra conformarsi a un credo che si basa su un testo sacro quale il Corano o i Vangeli. Vero è altresì, come affermava Benedetto Croce, che in un certo senso noi non possiamo fare a meno di dirci cristiani, in quanto il messaggio di Gesù e i valori che da due millenni tale insegnamento veicola hanno influenzato in modo inequivocabile comportamenti e atteggiamenti morali di tutto l’Occidente. 

Tuttavia la peculiarità di quanti si dicono credenti in Cristo è ben altra. Ciò che li accomuna è una fede di tipo escatologico ossia la certezza in una redenzione salvifica alla fine del mondo e del tempo. Lo sottolinea Salvatore Natoli in un suo interessante breviario per laici ricordandoci che il cristiano “confida in un "futuro liberato" dalla forza del Signore, di cui il Risorto è primizia e insieme garanzia e prova”. Così confidare nella resurrezione dei morti comporta la speranza di riuscire in futuro, nell’altro mondo, ad affrancarci definitivamente dal male e dalla morte. Ma tale utopia tratteggia il punto cruciale di demarcazione fra l’ottica dei credenti e quella dei non credenti (in Cristo, almeno). Questi ultimi, infatti, si riconoscono affratellati piuttosto dalla comune dimensione della finitudine e del limite in un orizzonte mondano il quale non consente loro neppure di immaginare panorami all’insegna di immortalità o eterna beatitudine.

In ogni morale dell’immanenza o del finito, per dirla sempre con Natoli, l’uomo semmai “prende a propria misura la morte” riconoscendola come propria caratteristica precipua; non già per abbattersi o disprezzare la nostra breve parabola esistenziale ma per meglio gestirla. Dunque l’etica non confessionale è attenta giusto a guidare e ottimizzare l’operato individuale in vista di una realizzazione esclusivamente terrena che dovrebbe essere vaccinata contro ogni illusione d’onnipotenza (sebbene clonazione ed esperimenti genetici aventi l’implicito obiettivo di vincere la morte stiano ad indicare come sia arduo estirpare tale miraggio). L’essere transeunti – nota ancora Natoli – l’essere esposti all’ineludibile venir meno ci rende altresì consapevoli di fare parte “di qualcosa che ci oltrepassa”. Ieri non c’eravamo, domani non ci saremo, ma soprattutto per vivere abbisogniamo fin dalla nascita del contributo di altri esseri umani ai quali ci lega una reciprocità (una fratellanza, potremmo dire parafrasando il linguaggio religioso) nel segno di condivisione, cura e rispetto. 

Tutto questo sembra rimandare all’esortazione cristiana: ama il prossimo tuo come te stesso; eppure per il non credente ciò assume un’altra valenza: non si tratta di un comandamento divino o rivelato, ma di un atteggiamento umanitario espressivo d’una morale laica, che non rimanda a resurrezione, vita eterna, grazia, bensì a una pietas e a una com-passione che sia i seguaci del Buddha – il Maestro spirituale di una religione senza dei – sia gli antichi pagani ben conoscevano. Così l’a-teo può esser visto non già come chi nega dio (theόs), bensì – vedi l’“a” privativo con cui inizia tale vocabolo – chi ne è privo. Ma il religioso stesso, dice bene Natoli, è conscio di come dio rappresenti “la cifra della nostra incompletezza”, manifestandosi pur sempre il divino come annuncio o speranza di quanto ci manca e trascende.

Francesco Roat

invia questo articolo a un amico
 

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved