Tom Tykwer e
i carabinieri di Kieslowski
L’idea è
un’eredità che il regista polacco gli ha
lasciato poco prima di morire. Ma lui,
il cineasta-produttore-compositore Tom
Tykwer, l’ha realizzata a modo suo. E’
nato così Heaven, il film con Cate
Blanchett solitaria e ingenua terrorista
che fa innamorare un militare dell’Arma.
Ma, dice il regista tedesco, a lui non
interessava l’Italia. Ma solo gli
intrecci emotivi di personaggi diversi
fra loro
Compagno
dell’attrice Franka Potente, Tom Tykwer
è regista, produttore e addirittura
compositore delle musiche dei suoi film.
All’età di trentasei anni, dopo il
successo veneziano di qualche anno fa
con Lola corre, l’autore tedesco è
considerato da molti l’erede di Wim
Wenders per quello che riguarda una
cinematografia lirica ed evocativa. E’
per questo che dopo La principessa + il
guerriero Tykwer ha ereditato la
trilogia scritta dal polacco Kieslowski
prima di morire. Heaven, primo di tre
film, è ambientato a Torino dove Cate
Blanchett è una professoressa di inglese
che prepara un attentato contro un
piccolo boss della droga. Arrestata, è
salvata dal carabiniere interpretato da
Giovanni Ribisi, che tra lei e la divisa
sceglie di fare scappare la donna che
ama.
Il
film ha suscitato molte polemiche:
qualcuno ha voluto vedere un insulto
all’Arma dei carabinieri. Eppure, sembra
che Heaven non voglia essere un ritratto
sociologico dell’Italia…
Lei
ha colto nel segno. Il nostro è un
realismo poetico e non avevamo
intenzione di descrivere né la realtà
italiana, né quella della vostra
polizia. Mentre lavoravamo molti attori
italiani inscenavano gran parte delle
barzellette riguardo i carabinieri. Noi,
in realtà, abbiamo utilizzato questa
particolare forza di polizia per
descrivere con maggiore intensità la
rottura che il personaggio di Giovanni
Ribisi sceglie nei confronti del
passato. Del resto ogni personaggio del
film ha una sorta di doppio volto che va
oltre la superficie. Perfino
l’interrogatorio doveva conquistare una
credibilità poetica. Quello che volevamo
davvero era creare un vero e proprio
trauma a livello emotivo. Tutti i miei
film nascono da un punto di incontro tra
fiaba e realtà, tra straordinario e
ordinario. Sin dall’inizio, quando ho
letto la sceneggiatura, pensavo ad un
thriller scritto da Kieslowski con forte
implicazioni morali. Tutto quello che
c’è l’abbiamo visto in altri film ed il
pubblico può riconoscere qualcosa.
Come
spettatore amo la bellezza delle
convenzioni, ma mi piace anche
moltissimo quando queste convenzioni
finiscono per reinventarsi totalmente.
E’ come se ci fosse una porta segreta in
questa storia. L’ipnosi incomprensibile
in cui cadono i personaggi è presente
sin dall’inizio. All’inizio è più
un’atmosfera, poi diventa parte
integrante della storia.
Che
immagine ha voluto dare del personaggio
interpretato da Cate Blanchett?
Innanzitutto
sin dai primi momenti capiamo che ha un
nervosismo inusuale per chi decide di
compiere un attentato. Non è una
professionista e la sua tensione la
rende vulnerabile sin dall’inizio.
Questo è il ritratto di una violenza
femminile che rende il personaggio
accessibile ad un pubblico che sente di
non poterla condannare sin da subito. E’
una figura che ci colpisce e che ci
interessa sin da subito.
Qual è
l’elemento di un film che la attrae di
più?
Prima di
tutto la forza dei personaggi. Non si
può essere registi se non si amano gli
attori. Il resto viene dopo.
Quale
caratteristica ritiene di avere in
comune con Kieslowski?
Entrambi
consideriamo il montaggio molto
importante. E’ in sala di montaggio che
un film prende corpo. Ho messo dieci
mesi a montare Heaven ed è stato un
lungo viaggio nel fare prendere forma
alla storia come volevo io. Devo dire
che non ho mai pensato ad Heaven come ad
un film di qualcun altro. Non volevo
imitare Kieslowski, né esaudire il suo
ultimo desiderio. Volevo, invece,
arrivare alla mia visione della storia.
Quella che ritenevo più “giusta”. E’ un
autore che considero molto importante e
l’ho percepito come uno spirito benigno
nei confronti del mio lavoro.
Il
film è anche in Italia in versione
originale con solo il personaggio di
Ribisi che è stato ridoppiato, mentre
Cate Blanchett recita in italiano…
E’
una scelta che condivido ed è molto
importante per cui ringrazio chi ha
curato l’edizione italiana (Roberto
Morville, ndr). Odio i film in cui John
Malkovich è un imperatore spagnolo e
Antonio Banderas un soldato tedesco ed è
tutto doppiato in inglese. L’utilizzo
dell’italiano in questo film era molto
importante. In più credo che qui la
lingua trascenda le parole e diventi una
sorta di melodia. Io non parlo bene
italiano, ma lo comprendo ed io dirigevo
gli attori non per quello che capivo, ma
per come lo percepivo. In un certo senso
ero molto più preciso in quello che
volevo raggiungere anche se non capivo
in pieno quello che veniva detto. Lo
percepivo, però, e il film in questa
versione rende tutto più accessibile dal
punto di vista emotivo.
Come
Kieslowski lei dà molto spazio alle
figure femminili. Perché le piace tanto
raccontare le donne?
La
maggior parte dei film che amo
riguardano persone che lottano contro un
sistema. Che sia la famiglia o le
istituzioni. Sono film di persone che
vanno contro le regole. Nella mia
esperienza questo capita più di
frequente alle donne che – in genere –
sono più coraggiose degli uomini che,
peraltro, hanno costruito quei sistemi.
Le donne sono più anarchiche ed i miei
film sono tutti basati su un’energia
anarcoide.
m.s.
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