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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Ottobre-Novembre 2002

Tom Tykwer e i carabinieri di Kieslowski

L’idea è un’eredità che il regista polacco gli ha lasciato poco prima di morire. Ma lui, il cineasta-produttore-compositore Tom Tykwer, l’ha realizzata a modo suo. E’ nato così Heaven, il film con Cate Blanchett solitaria e ingenua terrorista che fa innamorare un militare dell’Arma. Ma, dice il regista tedesco, a lui non interessava l’Italia. Ma solo gli intrecci emotivi di personaggi diversi fra loro

Compagno dell’attrice Franka Potente, Tom Tykwer è regista, produttore e addirittura compositore delle musiche dei suoi film. All’età di trentasei anni, dopo il successo veneziano di qualche anno fa con Lola corre, l’autore tedesco è considerato da molti l’erede di Wim Wenders per quello che riguarda una cinematografia lirica ed evocativa. E’ per questo che dopo La principessa + il guerriero Tykwer ha ereditato la trilogia scritta dal polacco Kieslowski prima di morire. Heaven, primo di tre film, è ambientato a Torino dove Cate Blanchett è una professoressa di inglese che prepara un attentato contro un piccolo boss della droga. Arrestata, è salvata dal carabiniere interpretato da Giovanni Ribisi, che tra lei e la divisa sceglie di fare scappare la donna che ama.

Il film ha suscitato molte polemiche: qualcuno ha voluto vedere un insulto all’Arma dei carabinieri. Eppure, sembra che Heaven non voglia essere un ritratto sociologico dell’Italia…

Lei ha colto nel segno. Il nostro è un realismo poetico e non avevamo intenzione di descrivere né la realtà italiana, né quella della vostra polizia. Mentre lavoravamo molti attori italiani inscenavano gran parte delle barzellette riguardo i carabinieri. Noi, in realtà, abbiamo utilizzato questa particolare forza di polizia per descrivere con maggiore intensità la rottura che il personaggio di Giovanni Ribisi sceglie nei confronti del passato. Del resto ogni personaggio del film ha una sorta di doppio volto che va oltre la superficie. Perfino l’interrogatorio doveva conquistare una credibilità poetica. Quello che volevamo davvero era creare un vero e proprio trauma a livello emotivo. Tutti i miei film nascono da un punto di incontro tra fiaba e realtà, tra straordinario e ordinario. Sin dall’inizio, quando ho letto la sceneggiatura, pensavo ad un thriller scritto da Kieslowski con forte implicazioni morali. Tutto quello che c’è l’abbiamo visto in altri film ed il pubblico può riconoscere qualcosa.

Come spettatore amo la bellezza delle convenzioni, ma mi piace anche moltissimo quando queste convenzioni finiscono per reinventarsi totalmente. E’ come se ci fosse una porta segreta in questa storia. L’ipnosi incomprensibile in cui cadono i personaggi è presente sin dall’inizio. All’inizio è più un’atmosfera, poi diventa parte integrante della storia.

Che immagine ha voluto dare del personaggio interpretato da Cate Blanchett?

Innanzitutto sin dai primi momenti capiamo che ha un nervosismo inusuale per chi decide di compiere un attentato. Non è una professionista e la sua tensione la rende vulnerabile sin dall’inizio. Questo è il ritratto di una violenza femminile che rende il personaggio accessibile ad un pubblico che sente di non poterla condannare sin da subito. E’ una figura che ci colpisce e che ci interessa sin da subito.

Qual è l’elemento di un film che la attrae di più?

Prima di tutto la forza dei personaggi. Non si può essere registi se non si amano gli attori. Il resto viene dopo.

Quale caratteristica ritiene di avere in comune con Kieslowski?

Entrambi consideriamo il montaggio molto importante. E’ in sala di montaggio che un film prende corpo. Ho messo dieci mesi a montare Heaven ed è stato un lungo viaggio nel fare prendere forma alla storia come volevo io. Devo dire che non ho mai pensato ad Heaven come ad un film di qualcun altro. Non volevo imitare Kieslowski, né esaudire il suo ultimo desiderio. Volevo, invece, arrivare alla mia visione della storia. Quella che ritenevo più “giusta”. E’ un autore che considero molto importante e l’ho percepito come uno spirito benigno nei confronti del mio lavoro.

Il film è anche in Italia in versione originale con solo il personaggio di Ribisi che è stato ridoppiato, mentre Cate Blanchett recita in italiano…

E’ una scelta che condivido ed è molto importante per cui ringrazio chi ha curato l’edizione italiana (Roberto Morville, ndr). Odio i film in cui John Malkovich è un imperatore spagnolo e Antonio Banderas un soldato tedesco ed è tutto doppiato in inglese. L’utilizzo dell’italiano in questo film era molto importante. In più credo che qui la lingua trascenda le parole e diventi una sorta di melodia. Io non parlo bene italiano, ma lo comprendo ed io dirigevo gli attori non per quello che capivo, ma per come lo percepivo. In un certo senso ero molto più preciso in quello che volevo raggiungere anche se non capivo in pieno quello che veniva detto. Lo percepivo, però, e il film in questa versione rende tutto più accessibile dal punto di vista emotivo.

Come Kieslowski lei dà molto spazio alle figure femminili. Perché le piace tanto raccontare le donne?

La maggior parte dei film che amo riguardano persone che lottano contro un sistema. Che sia la famiglia o le istituzioni. Sono film di persone che vanno contro le regole. Nella mia esperienza questo capita più di frequente alle donne che – in genere – sono più coraggiose degli uomini che, peraltro, hanno costruito quei sistemi. Le donne sono più anarchiche ed i miei film sono tutti basati su un’energia anarcoide.

m.s.

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