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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Ottobre-Novembre 2002

 I film di Ottobre/Novembre 2002

Minority Report {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Tom Cruise – Max Von Sydow – Colin Farrell Sceneggiatura Scott Frank Regia Steven Spielberg Anno di produzione USA 2002 Distribuzione 20th Century Fox Durata 145’

Tra filosofia e scienza, tra tecnologia e cronaca, Steven Spielberg dà vita ad un film emozionante e coinvolgente in cui torna alla fantascienza pura senza eccessive derive buoniste. Minority Report è un film emozionante in cui Tom Cruise sembra bravissimo nel portare sullo schermo un poliziotto sofferente per la perdita del figlio. Il suo impegno nell’unità precrimine gli serve quindi per impedire che altri soffrano quanto lui e – soprattutto – che altri patiscano un mondo di violenza e sopraffazione. In un futuro distante dominato dalla tecnologia è sul potere profetico di tre persone che si fondano le speranze della comunità. Tre veggenti, infatti, riescono a prevedere gli omicidi nel futuro, che devono essere fermati da un gruppo di agenti scelti e determinati a tutto. Visivamente straordinario, il film di Spielberg è una disamina sulla moralità e sul libero arbitrio. Sulle infinite sorprese che può riservare l’umanità e – soprattutto – sull’idea che il futuro non è ancora stato scritto. Minority Report è una sorpresa sia per il pubblico che per Spielberg stesso: la ricerca stilistica asimettrica dei suoi film lo porta a costruire storie sempre più complesse in un tentativo esemplare di sfida personale e professionale ad un rinnovamento continuo per tematiche e orizzonti narrativi.
Minority Report è il migliore film di Spielberg dai tempi di Schindler’s List. Una girandola emozionante di situazioni, tradimenti e azione mozzafiato, per una pellicola che non ha paura di confrontarsi con il lato più oscuro dell’umanità.

Pinocchio {Sostituisci con chiocciola}

Roberto Benigni – Nicoletta Braschi – Carlo Giuffré – Peppe Barra Sceneggiatura Vincenzo Cerami & Roberto Benigni Regia Roberto Benigni Anno di produzione Italia 2002 Distribuzione Medusa Durata 110’

Drasticamente, Roberto Benigni taglia le gambe al suo Pinocchio eliminando sin da subito due elementi portanti della storia: la tensione verso il cambiamento e l’impronta dell’autore. Innanzitutto il bambino – burattino è un adulto, Benigni stesso che nulla ha di legnoso o che possa spiegare questo misterioso desiderio di diventare altro. Il bambino Pinocchio è identico al burattino. Solo un rapido cambio d’abito e nient’altro. D’altra parte Benigni e Cerami rinunciano – già in sceneggiatura – ad andare oltre il testo collodiano, scegliendo quella che può essere considerata una vera e propria interpretazione di una delle favole più famose del mondo. Pur trovando due stampelle notevoli nella fotografia di Dante Spinotti e nelle scenografie di Danilo Donati, scomparso poco dopo la fine delle riprese, Benigni dà vita ad un personaggio ibrido, né comico, né tragico facendo piazza pulita dell’elemento popolare (e quindi arcaico) che fa di Pinocchio una favola drammatica. Il paese di Geppetto assomiglia in parte a quello di Chocolat. Lindo e pinto, pulito e perfetto è distante anni luce dal villaggio di Comencini in cui un povero falegname dava vita al sogno di diventare padre come unica ricchezza. Il Pinocchio di Benigni è borghese non solo nei contenuti, ma soprattutto nei modi: una favola di chi può e di chi ha, dove il desiderio di avere un figlio sembra più generato dalla follia schizofrenica di una vecchietto interpretato da un Carlo Giuffré che sembra stare recitando in una commedia di Eduardo al teatro Sancarlino di Napoli. Del resto in Pinocchio tutti recitano male. A partire da Nicoletta Braschi, inespressiva fatina che fa venire voglia di dire le bugie. Questa grandiosa costruzione postfelliniana non è altro che una messinscena rivolta ad un pubblico internazionale capace di perdonare tutto o quasi a Benigni. Noi quello che proprio non possiamo sopportare – al di là dell’eventuale soggettiva disillusione dell’attesa – è l’essere stato eccessivamente fedele ad un testo deprivato del suo aspetto terrorizzante. Un film interpretato “di corsa” dove senza timore e senza ironia, senza commozione e senza emozione si arriva ad un lieto fine in perfetto stile Patch Adams e Forrest Gump.

Red Dragon {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Anthony Hopkins – Edward Norton – Raplh Fiennes – Harvey Keitel – Emily Watson Sceneggiatura Ted Tally Regia Brett Ratner Anno di produzione USA 2002 Distribuzione UIP Durata 110’

Chi ha amato Mahunter di Michael Mann e Il silenzio degli innocenti può stare tranquillo: Red Dragon è un prequel intelligente ed intrigante che ha davvero poco a che vedere con il pessimo Hannibal di Ridley Scott. Il cannibale che Scott ha trasformato in una sorta di Diabolik post romantico torna ad essere un vero maniaco, nel suo confronto depressivo e antagonistico con il poliziotto Will Graham. Red Dragon è un film che gioca con la fascinazione del male e con il rapporto tra gli alter ego. Graham e Hannibal, il Dragone Rosso e la ragazza cieca che riesce a tirare fuori un barlume della sua umanità danno vita a rapporti antagonistici e imperfetti in cui, ogni spettatore può essere costretto a confrontarsi con quanto di più recondito c’è della propria umanità. In questo senso non solo non viene tradita l’interpretazione di Hannibal  data in Manhunter da Michael Mann e – soprattutto – si riallaccia all’umanità distorta e addolorata de Il silenzio degli innocenti. Hannibal è ritratto nella sua glaciale crudeltà. Cristallizzato nella coltre di gelo che costringe la sua anima e da cui può essere risvegliato solo grazie a nuove sfide umane ed intellettuali. Hannibal è un modello nuovamente negativo, riproposto in tutta la sua infida spietatezza. Norton è, invece, un poliziotto disperato. Stanco del proprio talento che lo ha quasi condotto alla morte. E – in tutto questo – c’è il Dragone Rosso: un ragazzo abusato, trasformatosi in assassino spietato e megalomane. Una partita tra personaggi diversi dove il senso di umanità non è un tema con cui giocare, ma una conquista intellettuale e morale, in un oceano di dolorosa e folle disperazione trasformata in irreversibile follia omicida.

XXX {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Vin Diesel – Asia Argento Sceneggiatura Rich Wilkes Regia Rob Cohen Anno di produzione USA 2002 Distribuzione Columbia TriStar Home Entertainment Durata 118’

C’era una volta 007: l’agente in Smoking, che guida auto di lusso ha fatto il suo tempo. Adesso è arrivato il turno di XXX. Xander Cage non porta lo smoking, non ascolta musica classica, non guida un Aston Martin e non beve vodka martini agitato non mescolato. E’ un hacker, un amante di sport estremi, dei Rave, del Rap e – soprattutto – non gliene frega nulla di temi come patria, bandiera e quant’altro. E’ atletico ed in gamba, e ha una fedina penale lunga come un salto in free jumping. E’ per questo che non ha scelta: o lavora per la CIA in una missione a Praga dove deve infiltrare un gruppo di anarchici, oppure rimanere per un bel po’ in prigione. La decisione è obbligata, ma – alla fine – oltre ad una motivazione, “scoprirà” (in senso anche pratico…) una bell’agente russa (Asia Argento) e qualcos’altro che non avrebbe mai immaginato: il lavoro gli piace. Diretto da Rob Cohen già autore di film come Daylight,Dragonheart e  Fast & Furious, XXX è una pellicola lineare e divertente in cui lo spionaggio spettacolare alla Bond trova un altro protagonista, macho e simpatico. Con innumerevoli citazioni dai film di Bond (La spia che mi amava, Bersaglio Mobile, Licenza di uccidere) XXX è un film “pompato” da una colonna sonora “tosta” e animato da un senso dell’umorismo gradevole. Nulla di eccezionale è vero, ma il carisma di Vin Diesel e la miracolosa trasformazione di Asia Argento in un dirompente Sex Symbol costituiscono la marcia in più di una pellicola anticonvenzionale nel suo essere un prodotto ben confezionato e commerciale.

One hour photo {Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}{Sostituisci con chiocciola}

Robin Williams – Connie Nielsen – Michael Vartan Sceneggiatura e Regia Mark Romanek Anno di produzione USA 2002 Distribuzione 20Th Century Fox Durata 96’

Robin Williams dà vita ad un personaggio tenero e drammatico in One Hour Photo film indipendente e angosciante che descrive l’addolorata parabola di un personaggio mediocre che vive la sua vita riflettendo se stesso nelle immagini che appartengono ad altri. Un thriller ad alto spargimento di emozioni in cui l’attore americano interpreta un uomo incolore, schiacciato da un passato di soprusi, che attraverso il mestiere dello sviluppatore di fotografie, tenta di riscattare le amarezze di una vita fatta di silenzi e solitudine. Sy Parrish, questo il nome del suo personaggio, resta sconvolto quando scopre che anche una famiglia in apparenza perfetta, può in realtà non essere tale. Riflettendo le proprie emozioni (anche quelle più inconfessabili) nelle copie delle foto degli altri, Sy dà corpo e volto ai propri sogni. Immagina se stesso come un caro vecchio zio amato al punto da “meritare” perfino uno scatto fotografico. Invece, Sy non lo fotografa nessuno e non ha nessuna fotografia che provenga dal suo passato. Ne compra addirittura una in bianco e nero per spacciarla come quella di sua madre. Sy è un uomo solo e disperato, che reagisce ad una realtà che non gli piace in maniera balorda. Minacciando la famiglia che ha tanto amato e – soprattutto – precipitando in un baratro da cui non vi è alcuna via d’uscita. Un dramma psicologico molto attuale, che il regista esordiente Mark Romanek ha trasformato in un saggio paradigmatico sulla solitudine nella nostra modernità, anche grazie alla splendida interpretazione di un grande Robin Williams.

Signs {Sostituisci con chiocciola}

Mel Gibson – Joaquin Phoenix Sceneggiatura e Regia M.Night Shyamalan Anno di produzione USA 2002 Distribuzione Buena Vista Durata 110’

Per il primo quarto è un episodio di X files, per il resto è un deprimente Independence Day dei poveri tutto raccontato in una stanza. Questo in estrema sintesi il giudizio evidentemente tutt’altro che confortante su Signs terza pellicola dell’autore de Il sesto senso che in questo film si ritaglia anche un piccolo ruolo. Nonostante tutte le premesse e le possibili aspettative Signs è un’angosciante disamina del senso di predestinazione e di – quello che gli antichi - chiamavano “Fato”. Questo fatalismo, però, sembra non giovare per niente a questa specie di “Guerra dei mondi camera e cucina” in cui Mel Gibson ha il ruolo di un ex ministro religioso, che ha perso la fede dopo che un incidente d’auto gli ha portato via l’amatissima moglie. Rimasto solo con due figli piccoli e un fratello preoccupato per la sua salute, l’uomo che adesso fa l’agricoltore scopre, un giorno, che nel suo campo di grano sono stati tracciati dei misteriosi segnali geometrici in maniera precisa ed enigmatica. Uno scherzo oppure opera degli alieni? Una bravata di una notte, oppure il segnale di una mappa visibile dall’alto? E’ a questi – e purtroppo non solo a tali quesiti – che tenta di rispondere questa pellicola diretta da Shayamalan che oltre a ricordare in maniera quasi imbarazzante il film di Roland Emmerich con Will Smith e Jeff Goldblum, sembra uno strano punto di incontro tra la fantascienza “interna” (ovvero quella ambientata in luoghi a noi familiari e in dimensioni ridotte rispetto alle avventure delle grandi astronavi) e la parapsicologia: fallendo, ahimé, nel cogliere il meglio di entrambe e trascurando quello che può rivelarsi l’elemento più affascinante dell’intera narrazione: ovvero i cerchi nel grano, che  - si dice –siano comparsi spesso in passato in punti diversi del mondo. Anziché un avventuroso film di fantascienza, oppure un’angosciante avventura sugli ultimi momenti dell’umanità, Signs è una metafora celebrazionista del senso di disaffezione nei confronti della fede, sull’autopunizione e – soprattutto – sulla predestinazione di una vita dove tutto, ma proprio tutto, ha un senso.  Una pellicola irritante, che si rivela per essere il più costoso e probabilmente film - episodio di X files.

Marco Spagnoli

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