Piacere
Benigni, per gli amici Pinocchio
Non
l’ha deciso lui. Ma dice di “essere
stato scelto”. Insomma per Roberto
Benigni il film su Pinocchio è stato più
un destino. Che risale, racconta, ai
tempi di Fellini. E che, anche se è
regista e protagonista, lo commuove alle
lacrime ogni volta che lo rivede
E’
uno dei film più attesi della storia del
cinema italiano e il più costoso in
assoluto con i suoi circa 40 milioni di
euro sborsati interamente dalla casa di
produzione Melampo di proprietà di
Roberto Benigni e di Nicoletta Braschi.
Pinocchio realizzato in provincia di
Terni negli studi di Papigno è il film
che vede consacrato il talento di
Benigni fianco a fianco con attori come
Peppe Barra, Kim Rossi Stuart e
Alessandro Bergonzoni.
Pinocchio esce in novecento sale in
tutta Italia. Era preoccupato
dall’aspettativa nei confronti di questo
film?
No,
perché l’entusiasmo può fare solo
piacere. Poche volte si è vista
un’attesa così smisurata nei confronti
di un film e io sono molto grato agli “attenditori”.
Quando ha
incontrato Pinocchio per la prima volta?
Quando
ero piccolo: mia madre ci raccontava la
favola ed io mi perdevo a sognare il
burattino. Mio padre non c’era, perché
era lontano alla ricerca di un lavoro.
Noi dormivamo in cinque nel lettone con
mia mamma che non sa leggere e che
raccontava la fiaba ricordando tutto a
memoria. Alternava versi della Divina
Commedia alla storia di Collodi. Alle
volte mi diceva che se mi fossi
comportato male come Pinocchio sarei
stato portato all’inferno da
Dante…ancora oggi mia madre apre quel
libro che non sa leggere e guardando
fissa la pagina esclama: “Che bella
storia!” E sinceramente non capisco
proprio come faccia a dirlo…forse già
solo la pagina la ispira.
Qual è
il valore della fantasia oggi?
In tutti
i tempi la fantasia è sempre stata
dominante. E’ da vent’anni che volevo
fare questo film. Quando ho incontrato
Nicoletta Braschi ho subito pensato che
insieme assomigliavamo a Pinocchio e
alla Fata Turchina. Per un artista non
c’è niente di più reale della fantasia e
non è che in questa epoca storica la
realtà è dominante. La realtà è
dominante in ogni momento. La
responsabilità di un artista è di
muovere le persone verso l’entusiasmo
nei confronti della vita. Con la
consapevolezza del Nulla, della Morte e
dell’infelicità. Una favola è una storia
di una bellezza straordinaria in grado
di fare molto in questo senso. Nulla al
mondo è più bello di Pinocchio: è un
personaggio straordinario carico di
contraddizioni. Non credo di averlo
scelto, ma piuttosto di essere stato
scelto.
In che
senso?
L’attrazione amorosa per questo
personaggio era davvero tanta. Se
aspettavo ancora potevo fare Geppetto…
così mi sono buttato. Quando si è
innamorati non si riesce a spiegare più
perché lo si è. Lo si è e basta. Abbiamo
messo in questo progetto tutto quello
che avevamo sia materialmente che
spiritualmente. La mia speranza è che
scuota l’anima del pubblico. Noi abbiamo
voluto essere il più fedeli possibile
alla straordinarietà di questa figura.
Quello di
Pinocchio era un progetto che voleva
portare avanti con Fellini…
Sì. Lui
mi chiamava sempre ‘Pinocchietto’. Ogni
volta che mi vedeva mi diceva che il
prossimo film sarebbe stato quello. Cosa
che – poi – non è accaduta purtroppo.
Quando stava male sono stato io a dirgli
che l’avremmo fatto. Fellini mi ha
guardato e mi ha risposto: “No, Roberto.
Lo farai tu da solo.” E’ come se me lo
avesse lasciato con un bacio.
Che
cosa l’ha divertita di più nel fare
questo film?
Il
realizzare un mondo di sogno e vederlo
venire su. Una soddisfazione
straordinaria. Sentirsi chiamare
Pinocchio dà un sobbalzo spettacolare…
Qual è
stata la cosa più difficile di
Pinocchio?
Lavorare
con gli asini e fargli fare le cose che
avevamo descritto nella sceneggiatura.
Eppure quella scena in cui Pinocchio
diventato asino guarda la fata è quella
che ho trovato sempre più commovente di
tutte. Ho pianto diverse volte vedendo
questo film. Mi commuovo tanto. Sento
che c’è una grande nostalgia.
m.s.
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