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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Febbraio 2003

 
La doppia vita di mr. Dicaprio

Due anni di quasi silenzio dopo i trionfi del Titanic. Ma ora l’oramai cresciuto ex idolo delle ragazzine vive un ritorno alla grande. Leonardo Dicaprio infatti è sugli schermi con i film di due super registi come Scorsese e Spielberg. “E senza un direttore capace – racconta in questa intervista – anche il personaggio migliore rischia di finire male”

 

Può capitare che un attore “scompaia” dal grande schermo per un po’. E può capitare anche che appaia improvvisamente in maniera inaspettata con due film. Questa la sorte di Leonardo Dicaprio, attore che non vedevamo al cinema dai tempi di The Beach (2000) e che adesso torna con ben due film di autori del calibro di Martin Scorsese e Steven Spielberg: Gangs of New York e Prova a prendermi sono i film che lo vedono nel ruolo di un ragazzo con problemi con la figura paterna e che – in epoche e in momenti storici diversi – richiedono una risposta salda ed immediata al dramma personale e umano. Dopo Amsterdam Vallon e Frank Abagnale Jr., Dicaprio tornerà presto sul set per interpretare prima Alessandro Magno per la regia di Baz Luhrmann che lo aveva lanciato con Romeo + Giulietta, poi ancora per Martin Scorsese il ruolo del miliardario regista agorafobico e autoreclusivo in The Aviator.  

 

Mr. Dicaprio, arrivato a questo punto molto fortunato della sua carriera, come sceglie tra le sceneggiature dei suoi film?

 

Credo che tutto riguardi principalmente il personaggio: bisogna, infatti, capire quello che vuole da te il regista. Senza un regista capace, anche il personaggio migliore può “finire male”.  Inoltre – durante la lavorazione – sono molto utili i colloqui che si hanno con gli altri attori. Nel caso di Gangs of New York, dopo avere accettato di girare il film, è stato molto utile parlare con Daniel Day Lewis e Martin Scorsese.

 

A proposito della lavorazione a Cinecittà, che differenza c’è tra il girare un film in costume e uno ambientato ai giorni nostri?

 

In un certo senso tutti i film sono in costume. Gangs of New York non era il primo, avendo io già fatto Titanic, La maschera di ferro,e qualche altro film. La differenza era, però, che in questo set gigantesco, grazie al talento di Dante Ferretti che ci ha fatto immergere nella realtà di un’altra epoca, tutti gli attori hanno percepito qualcosa di diverso. Sentirsi parte di un altro tempo, per noi, ha rappresentato un’ottima possibilità e ci ha fatto sentire più a nostro agio per entrare nei ruoli. Scorsese, poi, si è comportato quasi come un archeologo. Abbiamo sentito tutti l’esigenza di capire come si è formata la metropoli di New York e io in particolare ho cercato di comprendere tante dinamiche storiche che mi erano sconosciute.

 

Qual è stata la cosa più difficile del personaggio di Amsterdam Vallon?

 

La combinazione di tanti elementi diversi: da quelli storici a quelli comici. Io e Martin Scorsese abbiamo parlato a lungo di chi fosse in realtà quest’uomo e di come dovesse apparire agli occhi del mondo. Sicuramente l’elemento più difficile è stato quello di tentare di dare ad Amsterdam il giusto equilibrio tra tanti fattori ed influenze diverse. Del resto quale maggiore drammatica ironia ci può essere rispetto a quella di trovare una figura paterna proprio nell’uomo che ha ucciso suo padre?

 

2000 fans scatenate a Londra, altre migliaia nel resto del mondo. Perdere la privacy è il prezzo della celebrità?

 

Credo sia meraviglioso e quasi commovente vedere tanto amore e attenzione nei confronti di noi attori e dei nostri film.

 

Qual è il suo rapporto con l’Italia dopo una lavorazione tanto lunga per Gangs of New York?
 

E’ un paese che mi piace molto: Durante i nove mesi di riprese di Gangs of New York, ho avuto modo di conoscere l'Italia. Ho visitato tutti i musei e i luoghi più belli di Roma, ma sono anche stato a Pompei, Venezia, Napoli, Capri e Firenze. Per quanto riguarda il cinema italiano, adoro i film di Fellini e di De Sica, che sono dei punti di riferimento per tutti gli appassionati nel mondo. Sono onorato del fatto di portare un cognome italiano.

 

In Prova a prendermi di Steven Spielberg lei interpreta un ragazzo solo e in difficoltà che scopre di avere il talento della truffa…
 

Credo che sia la storia di un ragazzo all'inseguimento di un sogno. Certo, si può parlare di una giovinezza sprecata, ma c'è qualcosa di straordinario in questa storia: l'ispirazione maggiore è venuta dall'incontro con il vero Frank Abagnale Jr. che è il vero protagonista della storia. Ero molto preoccupato all'inizio, ma poi è stato decisamente piacevole. Abbiamo parlato della sua vita, della sua capacità di falsificare gli assegni e anche quella di cambiare accento a seconda delle persone che aveva di fronte. La mia sensazione è stata quella di parlare con la persona più innocente del mondo, non certo quello che in passato era stato l'uomo più ricercato d'America. D'altronde, credo che uno dei motivi che l'hanno spinto a compiere certe azioni fosse quello di vendicarsi delle banche che avevano distrutto la vita di suo padre. A prima vista, penseresti che non sia capace di rubare neppure un francobollo. Ma possiede una forza, quasi inconscia, di conquistarti con lo sguardo, che trasmette una grande energia e un’intelligenza vivacissima. Del vero Frank mi interessava soprattutto trasmettere la spontaneità con cui, da giovane, aveva affrontato il mondo. Volevo che il pubblico fosse coinvolto nel suo viaggio alla scoperta di sé, che vedesse la luce che gli accese lo sguardo la prima volta che vide un pilota trattato con tutti gli onori, come fosse un divo del cinema, oppure lo seguisse nei suoi primi passi ed errori… Non volevo che apparisse sempre perfetto, perché sono convinto che il segreto del successo di Frank risiedesse nel suo temperamento, nel suo fascino, nella sua capacità di illudere la gente piuttosto che nella sua abilità da trasformista. Credo che le motivazioni di questa singolare scelta di vita siano da ricercare nella personalità di questo ragazzo arrogante, sicuro di poter ingannare chiunque, persino l’Fbi…. come, in effetti, è accaduto.

 

Anche questo di Spielberg è un film praticamente in costume…

 

Assolutamente: quella di Abagnale era una società più ingenua e fiduciosa negli altri e solo in un contesto del genere uno come Abagnale avrebbe potuto truffare con tanta agilità le multinazionali americane. Oggi con il controllo che c'è e l' avanzamento tecnologico al galoppo non sarebbe stato possibile.

 

Lei ha lavorato con tanti registi straordinari: cosa significa essere diretti da Spielberg?

 

Steven Spielberg è sempre disponibile al confronto e non solo con gli attori ma con qualsiasi membro della troupe. Questa è una delle doti che lo rendono un grande regista; riesce a ottenere il meglio dai suoi collaboratori e fa sì che tutti lavorino per un progetto comune, come ingranaggi ben oleati che fanno funzionare al meglio una macchina.

 

Lei è reduce da un film sul senso ultimo della paternità come Gangs of New York e – adesso – si è trovato coinvolto in un altro film sul rapporto padre – figlio…
 

Alla fine, Carl Hanratty, l’agente dell’Fbi che gli ha dato la caccia, è diventato l’unica persona di cui Frank Abagnale si fidasse. Certo era paradossale se si pensa che l’agente vuole a tutti i costi vederlo in prigione. Ma col passare del tempo Carl diventa quasi una figura paterna per Frank perché, in fondo, è la persona che più si preoccupa del suo futuro…

m.s.

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