La prima volta di Renee
Non
aveva mai ballato. Né cantato. E neanche
mai visto un musical americano. Però
quando l’hanno chiamata per il film
Chicago non si è tirata indietro. Anche
perché, americana di nascita ma figlia
di uno svizzero e di una norvegese,
Renee Zellweger ha il vantaggio di una
cultura cosmopolita. “Per questo –
spiega l’attrice – la mia vita a
Hollywood mi ha insegnato chi e che cosa
non vorrò mai essere”
Dopo Il diario di
Bridget Jones, la bionda texana di
origine svizzera torna con due film
destinati entrambi a stupire il
pubblico, sebbene per motivi diversi.
Mentre in Chicago, musical
fenomenale in cui l’attrice interpreta
l’assassina per amore (dello spettacolo
e del successo) Roxy Hart, Renee
Zellweger si confronta con le fumose
atmosfere jazz della capitale
dell’Illinois degli anni Trenta cantando
e ballando per la regia di Rob Marshall
al fianco di Catherine Zeta Jones e
Richard Gere, in White Oleander –
Oleandro bianco, l’attrice lanciata
da Jerry Maguire ha una piccola
parte al fianco di Michelle Pfeiffer nel
film tratto dal romanzo di Janet Finch
(Il saggiatore, pagg.416., € 7,80).
Incentrato sulla figura di Astrid, una
ragazza finita in affidamento dopo che
la madre artista ha ucciso l’amante,
dopo varie peripezie, il romanzo e il
film descrivono l’incontro con una
donna, un’attrice che farà diventare
grande la giovane, donandole l’amore di
una vera madre.
Rispetto a Oleandro
Bianco, Chicago segna un po’ un
cambiamento di rotta per lei: è
diventata pericolosa…
E’ un ruolo, però, con
cui non sento di avere nulla in comune.
Roxy Hart è una donna che pensa in
maniera diversa da me e – soprattutto –
fa cose che io non penserei mai di fare.
Eppure c’è una lunga
tradizione di bionde fatali, da Barbara
Stanwyck in poi…
Sa io non conosco molto
l’arte, né il cinema. La mia famiglia
era povera e quindi non potevamo
permetterci il lusso di goderci il
cinema. Io non so nemmeno chi sia
Barbara Stanwyck. Non ho visto neppure
un suo film… la nostra esistenza era
sempre alla rincorsa di qualcos’altro,
più materiale. Oggi, però, desidero
cambiare e – grazie ai miei amici –
conoscere più da vicino il cinema e il
musical.
Eppure non può negare che
ci sia qualche somiglianza con Marilyn
Monroe nella scena dello specchio…
Marilyn è una leggenda,
ma io c’entro poco anche lì. E’ stato il
regista a coinvolgermi in quella
sequenza. Molto dipende dalla
pettinatura così vaporosa, perché mi
avevano appena tolto la parrucca che
indosso per tutto il film e ci siamo
detti: “proviamo”…
I suoi genitori sono
europei: lei è nata in America. Cosa le
è rimasto della sua origine?
Mio padre è svizzero e
mia madre norvegese, questo ha fatto sì
che io abbia una visione più ampia
rispetto alla mia educazione tutto
sommato da americana media, ma non penso
mai da europea o da americana in modo
distinto. Il mio lavoro mi consente di
viaggiare molto e questa è una
ricchezza, penso che le cose si
capiscano meglio da lontano. Del resto
la mia vita a Hollywood mi ha insegnato
chiaramente chi e che cosa non voglio
essere.
Tornando a Chicago,
lei non aveva mai ballato e cantato:
un’altra sfida vinta…
Sì è stata dura, ma ce la
ho messa tutta. Mi piacciono le sfide,
questo ruolo me lo sono conquistato e
ancora oggi non so bene come, in molte
volevano fare Chicago. Rob Marshall ha
trovato in me qualcosa del mio
personaggio, forse la sua forza di
volontà e ha creduto che fossi adatta al
ruolo. Io ho fatto di tutto per non
deluderlo e poi è stato un modo per
confrontarmi con un mondo che non
conoscevo affatto: io non sapevo nulla
di musical.
In White Oleander
lei ha interpretato un’artista fragile.
Perché desidera cambiare tanto? Cosa la
spinge a volere cambiare tanto?
Credo che sia la chiave
di tutto. Quello che è veramente
interessante di questa professione è la
possibilità di potere imparare sempre
dalle esperienze che si fanno. Di come
ti possano arricchire enormemente
dentro. La sfida della trasformazione
porta con sé una lezione che non puoi
ignorare. Tutto quella conoscenza che
accumuli serve, poi, a rendere al meglio
la caratterizzazione del personaggio.
Cosa pensa di Moulin
Rouge?
La differenza
fondamentale che quello era cinema al
cinema, mentre noi stavamo cercando di
vedere del grande teatro trasformato in
ottimo cinema. Una sfida durissima.
m.s.
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