L’amore bilingue
Un incontro romantico fra un pittore
maturo e una ragazza di Merano “angelica e
selvaggia”. Le loro passeggiate fra le
case “di nordica architettura”, i boschi e
i ponticelli di legno. E l’addio finale,
doloroso e inevitabile. Un romanzo-biografia-fantasia sul mito della
donna ideale
Luigi Bartolini, Vita di Anna Stickler,
Avagliano Editore, pp.152, euro 9,90
Finalmente ripubblicato dopo una
sessantina d’anni, Vita di Anna
Stickler del poliedrico Luigi
Bartolini – che fu scrittore, poeta e
artista fra i più noti del suo tempo – è
insieme romanzo breve, mix di rimandi
autobiografici e invenzioni fantastiche, è
poemetto in prosa sul mito della donna
ideale (o meglio: idealizzata), è
esperimento stilistico basato su una
scrittura ora aulica, ora bozzettistica,
ora liricheggiante. Ma è anche un peana ad
esaltazione della vita semplice e di una
Natura all’insegna di un mondo bucolico
assai più vagheggiato che reale. Come
reale non è del tutto nemmeno Anna – la
fanciulla amata dall’io narrante, che egli
incontra per caso durante una passeggiata
lungo la riva di un fiume –, sorta di
petrarchesca Laura, spesso ritratta sul
fondale idillico di chiare, fresche e
dolci acque (“ed erano belle acque
tremule sotto raggi di luna, acque dove si
specchiavano insieme le stelle ed i
vertici delle montagne”); una ragazza di
campagna in bilico tra adolescenza e
giovinezza: creatura al contempo
selvaggia (ama starsene tutto il dì
fra i boschi senza far nulla, per poi
dormire all’aperto o in rustici ripari) e
civilizzata dall’amore del suo Pigmalione,
che la introduce agli incanti della
pittura.
Una pittura contrassegnata da una cifra
iperromantica: tutta paesaggi e incanti
cromatici. Non a caso pittore è sia
Bartolini, sia il suo alter ego narratore
di questo romanzo dai tratti agiografici
(Anna ci viene descritta come una specie
di profanissima santa – mi si consenta
l’ossimoro), tutto teso a raccontare e
magnificare i semplici giorni di questa
ragazza meranese, che anche nel cognome e
nelle sue radici culturali tedesche si
rivela del tutto altra dall’italianissimo
e molto più anziano di lei io narrante/Bartolini
. Una vera e propria donna angelicata,
ovvero un’Anna dei miracoli – come
acutamente nota Raffaele Manica nella sua
prefazione al testo – le cui mirabilie si
limitano, tuttavia, alla sua ingenuità, al
suo incantato stupore nei confronti della
vita.
Il libro si apre dunque con il fatale
incontro tra Anna e il girovago artista.
Ed è subito attrazione reciproca, amore a
prima vista: un idillio, insomma, da
consumarsi fra prati, corsi d’acqua e
passeggiate; come quella, notissima a
Merano, lungo il Passirio, descritta con
vivacità da un Bartolini amante oltre che
di Anna, della suggestiva città
sudtirolese dove si ambienta questa storia
un poco d’altri tempi (e che tempi grami,
in barba a tutti gli idilli! La prima
edizione è datata 1943) su una passione
impossibile: breve ma intensissima, come
il libriccino che ce la racconta. Quindi
Merano è l’altro protagonista nemmen tanto
occulto di Vita di Anna Stickler,
colta con l’occhio del paesaggista, a
zonzo “in mezzo alle grandi strade che
menano alla Passeggiata Tappainer, fra
doppie file di palazzi regolari e duri di
nordica architettura”. Una Merano e un
ambiente sin troppo solari, privi quali
sembrano dei conflitti etnici fra italiani
e tedeschi. Un paesaggio forse un
po’ da cartolina, come il tratto del
Passirio, dove l’acqua “s’incassa fra
pareti di antica roccia, ricca d’alberi,
percorsa da stradicciuole, sentieri
minimi; collegato, un masso di roccia ed
un altro masso, mediante esili ponticelli
di legno”.
In questi ameni scenari succede tutto e
niente. Elencherò solo i titoli di alcuni
dei vari capitoletti che raccontano le
avventure da nulla di Anna e del suo
adoratore: Il fienile, Anna
sotto la tempesta, Riposo lungo il
fiume, A caccia del nobile fagiano,
Dipingere insieme, Storia del
Martin pescatore. Così trascorre la
Vita di Anna, anzi non già l’esistenza
intera, sebbene appena l’adolescenza. Il
romanzo, infatti, dopo aver registrato
l’allontanamento improvviso della ragazza,
mandata dai genitori in una “casa di
correzione”, termina con l’addio a Merano
da parte dell’io narrante, che solo anni
dopo viene a sapere come la sua ex viva a
Vienna, dove ha poi sposato un “onesto
tessitore” austriaco. Termina dunque nel
momento preciso in cui la donna varca la
soglia della gioventù; quando – per dirla
col Leopardi – le illusioni svaniscono,
come il troppo felice amore tra Anna e il
suo artista.
Francesco
Roat
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