Salvatores
e il grano della paura
Ci sono i bambini con le
loro fantasie, gli adulti cattivi e
sterminati campi di grano che fra le
spighe dorate possono nascondere
l’orrore. Dopo tante storie di adulti
problematici e in fuga da loro stessi in
“Io non ho paura” per la prima volta il
regista milanese di “Mediterraneo” e
“Nirvana” ha diretto dei ragazzini. E ha
scoperto, come racconta in questa
intervista a Nautilus, un mondo
straordinario
Nautilus incontra
Gabriele Salvatores a proposito del suo
ultimo film tratto dal romanzo omonimo
di Niccolò Ammaniti in cui – in
un’Italia distante nel tempo e dello
spazio – due bambini si incontrano in
modo drammatico e spaventoso: Michele
Amitrano, nove anni, si trova di colpo a
fare i conti con un segreto così grande
e terribile da non poterlo nemmeno
raccontare. E per affrontarlo dovrà
trovare la forza proprio nelle sue
fantasie di bambino, mentre si assiste a
una doppia storia: quella vista con gli
occhi di Michele e quella, tragica, che
coinvolge i grandi di Acqua Traversa,
misera frazione dispersa tra i campi di
grano.
Io non ho paura
è tratto da un romanzo di
successo ed è una riflessione sulle
dinamiche delle bande di bambini. Ha
pensato a qualche precedente illustre
mentre lo girava?
Sì, a Il Signore delle
mosche del premio Nobel William
Golding da cui Peter Brook ha tratto un
film bellissimo. Ricordo una scena in
cui un bambino chiede ad un altro di non
dire a nessuno che lui era stato
soprannominato “fatty”, ovvero
“grassottello”. Ovviamente, la prima
cosa che fa l’altro è quella di
raccontare a tutti questo segreto. Si
tratta delle dinamiche dei giochi di
bambini che spesso arrivano ad essere
crudeli. Io non sono mai stato grasso,
ma ho sempre portato gli occhiali.
Quando giocavo a calcio con i miei
amichetti, finivo sempre in porta che –
per uno che porta gli occhiali – è una
sorta di supplizio. Io non ho bambini e
non ho mai lavorato con loro. Con Io
non ho paura avevo bisogno di alcuni
cuccioli della mia specie per fare
quello che dovevo fare. E’ stata una
scoperta straordinaria.
Un’illuminazione.
Uno dei grandi
protagonisti del film è il grano:
perché?
Se lo vedi da fuori il
grano dà un’immagine dolce, profumata e
di benessere. Visto da dentro, invece,
se hai dieci anni o se sei il Presidente
del Consiglio, ti senti come sommerso.
Il corpo è immerso in un mondo che non
puoi vedere e che pullula di una vita
che – talora – può diventare anche
pericolosa con topi e anche qualche
serpente.
Anche in questo film la
musica ha una grande importanza con la
sua prima collaborazione con Ezio Bosso…
Dopo Mediterraneo
e Puerto Escondido ho realizzato
film ancora più diversi da Marrakesch
Express. Ogni pellicola ha bisogno
di una propria impostazione, così come
di una sua musica. In Sud ho
utilizzato ad esempio i primi prodotti
degli albori dell’hip hop italiano.
Subito dopo è arrivato Nirvana con altre
musiche ancora fino ad arrivare a scelte
per film più recenti. La musica cambia a
seconda dei film. Spesso ho lavorato con
Mauro Pagani e Federico De Robertiis.
Per Io non ho paura, però, volevo
Bosso perché desideravo da Bosso, un
musicista classico compositore per un
quartetto d’archi, una musica “tesa come
una corda di violino”.
La scelta musicale è in
direzione di un’ispirazione molto
rarefatta…
Certo, prova a pensare
bambini che giocano in splendenti campi
di grano, resi ancora più luminosi dal
contrasto con quell’orrore che la forte
bellezza della natura nasconde. Non
volevo una musica sinfonica, perché
temevo che tutto diventasse una sorta di
lungo spot stile Mulino bianco. Volevo
una musica enigmatica in grado di porre
una distanza tra lo spettatore e la
storia, e che esaltasse il carattere
enigmatico di come sono spesso i
bambini. Desideravo fosse esaltata la
componente minimalista della narrazione.
m.s.
Sito ufficiale del film:
http://www.iononhopaura.it/home.html
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