Una tragedia annunciata
Suzuka, 6
Aprile 2003.
Poco prima
del completamento del terzo giro, Daijiro Kato, giovane promessa
giapponese del Motomondiale classe MotoGp, si appresta alla
frenata spostandosi da destra a sinistra alla velocità di circa
200 kmh per impostare nuovamente a destra la successiva curva:
non vi arriverà mai.
Durante quel
cambio di direzione a lui così familiare, compiuto migliaia di
volte sulla pista di casa, improvvisamente qualcosa accade,
qualcosa che non permette a Daijiro di seguire l’asfalto e lo
manda dritto dritto contro un muro che ignobilmente ritrova, non
nella posizione più consona per un qualsiasi tracciato ove si
corra a 300 all’ora in moto, bensì dove di solito viene
collocato in un normale viale cittadino con il limite dei 50
orari , vale a dire a non più di 4 metri dalla giusta
traiettoria.
Poi
l’impatto.
Quanto
esso sia devastante possiamo solo immaginarlo: il mezzo
meccanico si disintegra e con esso il sorriso di un ragazzo di
26 anni innamorato delle corse.
Viene
sollevato in fretta, alla meglio adagiato sulla barella che lo
raggiunge, esanime, ottanta metri dopo la caduta; il cuore non
batte più, le lesioni sono estreme e diffuse, il personale
medico della Clinica Mobile diretta dal Dottor Costa riesce nel
miracolo di una rianimazione impossibile e, poco dopo,
l’elicottero con lo sfortunato pilota a bordo vola verso
l’ospedale dove ancora giace, in coma profondo.
La gara ed
il risultato sportivo hanno da quel momento poco senso: sarebbe
stata una gran giornata con il “Trio Fantastico” Rossi, Biaggi e
Capirossi ai primi tre posti, con un Valentino in gran forma, un
Max determinato qualsiasi moto cavalchi, con Loris e la Ducati
in testa nei primi giri a far sognare l’Italia dei grandi
appassionati ed alla fine terzo dopo una prestazione
superlativa.
La tragedia
invece spazza via tutto.
Una tragedia
annunciata potremmo dire, contraddicendo i soloni del “microfono
a tutti i costi”, giornalisti e presunti tali che attraverso gli
organi televisivi si riempiono la bocca di frasi scontate e
luoghi comuni che aggiungono un sapore beffardo, all’amarezza
dell’incidente, all’angoscia per la sorte di uno sportivo che
lotta per una vita comunque da tetraplegico e dipendente dalle
macchine per respirare.
Personaggi
che appaiono in video, preoccupati di chiudere frettolosamente
le polemiche sulla sicurezza, di “informare
correttamente” l’opinione pubblica; gente che non si occupa di
motociclismo normalmente, ma s’improvvisa opinionista su una
materia sconosciuta, sfruttando il vantaggio di aver magari
gareggiato nel settore auto o di far parte dell’entourage
sportivo di reti pubbliche o private.
“Le corse
sono pericolose…il percolo è il mestiere dei piloti..poteva
capitare dovunque….la gente ama le corse in fondo perché sa che
c’è il brivido, perché vuole l’imprevisto…”
Quale genio
muove queste menti? Quali mirabili connessioni sinaptiche si
aggrovigliano nei loro neuroni? Sempre se di neuroni funzionanti
si possa parlare….
Per questi
portavoce del sapere motoristico quindi, milioni di motociclisti
sperano di vedere una caduta dei loro idoli, meglio se mortale,
mentre essi quali novelli gladiatori, affrontano la morte con
spirito goliardico chiamandola SPORT e scegliendo il moderno
Colosseo di turno dove immolare le loro vite in divertenti
spiaccicamenti!
Opinioni
troppo demenziali per essere vere.
Sì perché, a
pensarci bene, qualcuno aveva già denunciato la pericolosità di
una pista pensata per le auto negli anni ’80 e non per le MotoGp
del 2003; il responsabile alla sicurezza, l’ex iridato Franco
Uncini, aveva diffidato il circuito dal 2000 per mancanza dei
requisiti necessari all’incolumità dei piloti ed aveva assegnato
quattro anni di tempo per completare i lavori.
E allora? E
allora si corre ugualmente in attesa che i lavori vengano
completati e certamente non si chiede ad una delegazione di chi
vi gareggerà un’opinione sui cambiamenti.
Figurarsi!
Solo un
pilota aveva levato la sua voce per richiamare l’attenzione su
una pista dove non avrebbe voluto correre, prima della fatale
domenica.
Così tutto è
continuato come nulla fosse, così il dio-denaro ha decretato che
tutto doveva procedere, così ha messo in condizione Daijiro Kato,
dopo 4 minuti e mezzo, di non poter fare nulla per evitare
quello che è successo: nessuna via di fuga, nessuna protezione
speciale per attutire il colpo, nessuna possibilità di salvezza.
Valentino
Rossi, con il coraggio che fa parte del suo essere uomo prima
che centauro, ha denunciato subito i rischi della gara, come
campione plurititolato e come dipendente Honda, la casa
motociclistica più potente e, coincidenza, proprietaria del
circuito stesso.
Inascoltato
ovviamente da chi conta, il fiero Valentino, ma molto più
colpevolmente dalla quasi totalità degli altri piloti, perché
mettersi contro la Honda è cosa abbastanza deleteria per tutte
le carriere, nei paddock.
Durante il
primo giorno di prove siamo già tutti idealmente al capezzale di
Marco Melandri, il quarto dei nostri moschettieri, caduto in una
curva da 230 orari e schizzato contro un muro posto a soli tre
metri oltre l’asfalto: il risultato vede un ragazzo malconcio
con una serie di fratture e contusioni, ma fortunatamente vivo.
Dopo
l’incidente avvenuto al mattino, Rossi ribadisce il concetto
parlando alla stampa in modo ancora più esplicito, denunciando
la mancanza assoluta degli air-fence, lunghi cuscini d’aria che
garantirebbero un minimo di sicurezza nel momento in cui,
qualche proiettile umano, si trovasse il muretto come
bersaglio….”Dove non servono li mettono, qui in Giappone no,
perché portarli costa troppo!”.
Al sabato
tocca a Barros, stessa curva di Melandri, ginocchio e spina
femorale conciati male; Poggiali nel frattempo saggia
paurosamente con la testa le protezioni di gommapiuma inzuppate
di pioggia (praticamente un muro davanti al muro!) mentre
scivola per una banalissima caduta in staccata, rimanendo
stordito per parecchio tempo.
Alla
domenica, nella gara delle 125cc., Cecchinello vede tutta la
vita scorrergli davanti, mentre si tocca a 220 orari con
Perugini in rettilineo ed il muro, questa volta a tre metri, lo
aspetta a braccia aperte: solo una gran dose di fortuna e
l’istinto di una frenata con il posteriore che mette la moto di
traverso, gli salvano probabilmente la vita.
Le 250cc.
Filano via lisce con una prestazione di Poggiali che rimarrà
negli annali, talmente bella la rimonta, talmente grande la
vittoria per un esordiente nella categoria partito dalle ultime
file.
Poi Daijiro
ed il suo dramma.
Se assurdo è
parso fino ad ora il comportamento di chi organizza e comanda
nel Motomondiale, dall’arrivo di Suzuka in poi è possibile
pronunciare aggettivi molto più severi.
Innanzitutto
i piloti ai primi tre posti non vengono informati delle reali
condizioni del loro collega, sicuramente per non rovinare
l’immagine festosa condita di spruzzi di champagne, tradizione
del podio di premiazione: lasciati ignari con i loro sorrisi
soddisfatti e la loro gioia che stride insopportabile con lo
stato d’animo degli spettatori, che da casa attendono notizie
dall’ospedale, i tre rispettano il copione.
Incredibilmente, le immagini dell’incidente non vengono mai
trasmesse; incredibilmente nessun replay e nessuna inquadratura
sui soccorsi se non per qualche secondo; in due parole, totale
censura.
E se
l’incredibile avesse confini, la scomparsa della registrazione
dell’incidente, successiva alla fine della gara, probabilmente
sarebbe lì a mostrare il passaporto.
Honda si è
permessa di cancellare tutto ciò che poteva spiegare la dinamica
della caduta, e nella più assoluta normalità né le agenzie di
stampa giapponesi, né i giornali locali, né la stampa sportiva
ne fanno menzione, anzi, a dirla tutta menzionano a fatica anche
la gara.
Kato, il
pupillo destinato ad essere nei progetti, il primo orientale a
vincere il titolo mondiale MotoGp, ha un incidente su una moto
Honda, sul circuito della Honda , lotta tra la vita e la morte
le e tutto questo non fa notizia.
Simultaneamente anche in occidente, una vasta platea di
personaggi legati al mondo delle corse ove la casa giapponese
sia presente (praticamente tutte!), minimizza e non si scompone.
Azzardiamo
un lieve stupore?
A questo
punto rimane poco da fare, se non scoprire la verità e fare in
modo che la timida compattazione tra i piloti che si sta vivendo
in queste ultime ore, diventi abbastanza importante da poter
avere capacità di contrattazione con chi incassa i soldi e non
rischia nulla.
Rossi,
Biaggi, Capirossi e Melandri devono lottare questa volta non tra
loro, ma insieme, per la loro sicurezza e per quella dei loro
colleghi, mettendo al bando le rivalità agonistiche e le
antipatie reciproche, usando il deterrente della loro eventuale
defezione verso le gare in circuiti pericolosi, defezione che
causerebbe gravi danni economici a chi, per ora, non si
interessa minimamente alla loro sorte.
Possono ed
hanno il diritto e il dovere morale di farlo: la tragedia di
Daijiro Kato deve essere l’ultima rappresentazione del business
cinico e spietato, della raccolta dell’incasso sulla pelle
altrui, dello sport vittima di personaggi votati al profitto.
Sparati
contro un muro, d’ora in poi, ci vadano loro.
Maurizio Ottomano
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