Psicanalisi del corpo nudo
Fotografie,cinema, tv,
dipinti, disegni: oggi la figura umana
senza vestiti sembra perdere sempre di più
il significato erotico immediato. Per
raccontare invece quella frontiera fra la
nostra initimità e l’estraneità. Fra lo
spirito e la materia. Fra il mistero e la
trasparenza totale. Come cercano di capire
Ferrari e Nancy nel loro saggio. Che alla
fine ci dice che l’Uomo non è evidente
nemmeno senza niente sulla pelle
Federico Ferrari, Jean-Luc
Nancy, La pelle delle immagini, Bollati
Boringhieri, pp.126, euro 16,00
Il
nudo imperversa: sui rotocalchi, al
cinema, in TV. Il nudo (l’immagine del
nudo) si lega senz’altro all’erotismo, ma
per certi versi va ben oltre la sessualità
o il piacere voyeuristico. Allude ad
altro; pare semmai come
autoreferenzialmente sospeso a mostrare il
proprio enigma irrisolto. La nudità,
insomma, veicola e produce desiderio ma
non solo. Nel suo esporsi senza veli –
senza pudore o difesa – mostra ben più che
anatomia e sesso, carne e pulsione; indica
una frontiera o forse meglio una soglia:
fra la nostra intimità e l’estraneità, tra
l’ambito corporeo e psichico (qualcuno
direbbe spirituale), fra l’esporsi di un
essere umano allo sguardo dell’altro che
al contempo svela e non svela. Poiché non
ci è dato (quantomeno con la vista, ma
alla fin fine neppure mediante il tatto, o
attraverso l’incontro sessuale) penetrare
davvero oltre la pelle e la nudità,
giungere mai a conoscere il segreto
dell’altro che la disarmata/disarmante
nudità sembra offrirci.
Così il nudo si rivela
piuttosto straniante. Da luminoso e
scoperto si fa opaco e umbratile. Diviene
sfinge, cifra di mistero e allusività,
metafora di una inattuabile decifrazione.
O forse – come sottolineano
polemicamente/paradossalmente Ferrari e
Nancy nel loro saggio a due mani intorno
al nudo: quello immortalato in Occidente,
nel dipinto o nell’immagine fotografica,
per lo meno – esso “non indica nulla, vuol
solo essere nudo”. Ancora: ritrarre a
matita o pennelli, riprendere con la solo
apparente oggettività dell’obiettivo
fotografico la nudità ha semmai il
significato di una sfida: “Rappresentare
l’irrappresentabile fugacità della messa a
nudo”. Uno svelare e un denudare che in un
certo qual senso nulla svelano, in quanto
ciò che appare è appena la mera immagine,
la pelle appunto, in una spoliazione di
senso, di significazione (e di supponenza
conoscitiva) che intriga ed inquieta.
Ferrari e Nancy ci
presentano nudi acefali, che il pittore
vorrebbe – senza ovviamente riuscirci –
ridurre a mera corporeità, a oggetto
quasi. Nudi assolutamente non erotici
(come in Carezza di Cézanne o
Defigurazione di Bacon). Nudi che
fanno “sentire la carne” (vedi i
quadri di Lucian Freud). Nudi osceni
(che mostrano cioè il lato oscuro e
nefasto del sacro, come rivela
l’etimologia latina) nell’esprimere
insieme, con alienante ambivalenza, un
facile accesso (pornografico?) all’altro,
ma pure rimarcandone l’irriducibile
lontananza. Nudi, infine, i quali non solo
si mostrano, ma che appaiono denudanti,
in un effetto vertiginoso grazie al quale
l’osservatore stesso viene messo a nudo,
nel senso che egli prova piacere non
soltanto rispetto a quanto dell’altro vede
ma anche del proprio “vedersi vedere”, in
una speculare ostensione corporale e
mentale.
Ultima considerazione,
sempre nel segno del paradosso, così caro
ai nostri due autori. Forse per noi
moderni il Nudo non esiste più. Forse,
dicono bene Ferrari e Nancy, questo ci
mostra l’arte moderna: “L’Uomo non è
evidente nemmeno nel nudo”. Ovvero con la
crisi delle certezze e il declino della
metafisica, ormai è venuta a cadere da
tempo ogni velleità di significazione
esaustiva, di visione del mondo
definitiva, di “donazione di senso”. Così,
per rimanere nell’ambito metaforico,
l’uomo oggi appare più che mai nudo a se
stesso, spoglio com’è di assoluti e
fondamenti incontrovertibili, verità o
paradigmi stabili di “figure già
tracciate”. Ma questa spoliazione – frutto
dell’essersi tolti i frusti panni
dogmatico/moralistici che già Nietzsche
scherniva ritraendo l’uomo europeo
“ridicolmente vestito di morale” –, questa
es/posizione reciproca, purché non più
agita a fini seduttivi, di possesso o
mercificazione, non può che essere a mio
avviso salutare.
Francesco Roat