Lettera a un
insegnante di buona volontà
Piero
Morpurgo, insegnante e storico vicentino, ha
scritto una “lettera aperta” ai suoi
colleghi professori. Per dire loro che non
tutti i guai della scuola sono colpa di
governi e burocrazia. Ma è anche loro.
Perché se c’è chi fa il suo lavoro con
passione e impegno, molti altri vivono alla
giornata. E forse è arrivata l’ora di
cambiare le regole di un mestiere trascurato
Cari colleghi,
leggo spesso i vostri interventi e condivido
moltissimo quel che scrive Lodoli
(insegnante di scuola superiore e scrittore:
ndr)
http://www.gildatriveneto.it/parole_sante/lodoli.html
;
http://www.azionecattolica.it/settori/MSAC/sezione/zaino/articoli/850_classe_club;
http://members.xoom.virgilio.it/autoriforma/sommario.asp.
Mi
tormenta un dubbio: stiamo dicendo davvero
tutto? I disagi della scuola sono tutti
imputabili ai governi o ai sindacati, o ai
burocrati che ci sommergono di norme
assurde? O forse la colpa è anche della
nostra reticenza?
Rileggete il
mirabile articolo di Louis de Bernieres:
I professori vivono all’inferno
pubblicato su ‘La Repubblica’ il 4 aprile
2001. Allora mi riempii di entusiasmo
aspettando una valanga di consensi su quella
denuncia di una scuola fondata sulle
‘anzianità di servizio’. Non accadde.
Perché?
http://www.pavonerisorse.to.it/autonomia/bagni.asp
http://art.supereva.it/eratourania/segmenti_bastoncini.asp?p
Ora considerate
se l’assenza di quel rispetto sociale che un
tempo esisteva nei confronti degli
insegnanti non nasca anche da una pavidità
nel denunciare quei ‘vizi’ che minano la
credibilità stessa della scuola. Si tratta
di atteggiamenti talora puerili e talvolta
esecrabili. Forse è semplice maleducazione
l’assegnare al docente di prima nomina il
cassetto più scomodo; però è gravissima
–anche dal punto di vista didattico- la
consuetudine per cui i professori anziani
vogliono avere le classi migliori. Da questa
soperchieria si dipanano altri arbitri
poiché negli istituti scolastici si
richiedono i privilegi più bizzarri: il
pretendere solo classi quinte (che per un
cavillo giuridico possono essere anche di 8
persone) rifiutando le affollatissime e
problematiche classi prime di 30 alunni; il
non avere allievi disabili o stranieri
(vergogna!); l’insegnare solo per 12 o 14
ore quando l’orario di servizio sarebbe di
18. Si tratta di atti di nonnismo che
denotano una concezione del mestiere del
tutto distante dall’idea di essere al
servizio degli studenti e della società (cfr.
Marco Lodoli
http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=275).
Questo
meccanismo una volta innescato diventa
implacabile e produce a cascata effetti
dannosi sicché vi sarà: chi a bella posta
perde tempo e impiega anche 40 minuti “per
mettere a posto” il registro personale; chi
presenta ogni anno sia la programmazione
scolastica sia la relazione finale
ristampando sempre lo stesso testo
trascurando di considerare le molteplici
diversità dei giovani; chi alle riunioni del
collegio docenti o del consiglio di classe
ascolta solo il ticchettio del proprio
orologio pronto a scappare; chi non prepara
mai una lezione tanto…. e chi non legge mai
un libro e guarda sempre e solo il quadrante
del proprio orologio e chi proprio per non
voler leggere (e scrivere) presenta una
nuova adozione di un libro con il modulo
prestampato della casa editrice, chi
terrorizza i ragazzi mettendo sfilze di
votacci tutto l’anno (così stanno buoni) per
poi tramutare tanta severità in promozioni
benevole; c’è poi chi, per tutto l’anno, non
fa lezione e mette sempre 8 (così stanno
buoni).
Il
docente pretende di agire sempre e solo come
un cavaliere solitario. Ben chiuse sono le
porte delle aule per non rischiare di
incappare in suggerimenti e osservazioni che
dovrebbero dar gusto alla vita degli
insegnanti. A conferma di ciò c’è
l’incredibile fatto per cui in 15 anni di
insegnamento non ho mai assistito ad una
lezione di un collega!! Da studenti,
genitori e colleghi si possono collezionare
immagini di una scuola che spesso non può
meritarsi il rispetto dei cittadini. Certo
non è la regola. Per fortuna. Si obietterà
che si tratta di casi isolati o che esistono
istituti che non sono afflitti da queste
piaghe. E’ vero esistono progetti
lungimiranti come quello dell’Istituto di
Monterotondo che ha anche saputo affrontare
le ragioni del disimpegno dei docenti
http://www.edscuola.it/archivio/ped/progetto2002.html
.
E’ vero che
esistono professori che sono rigorosissimi
nel loro mestiere, è verissimo e ne conosco
tantissimi, ma non basta. La linea di
controllo è debole, debolissimo
l’autocontrollo. In realtà il malcostume è
profondo e diffuso (che dire del docente che
adotta per le sue classi i libri che sono
previsti per il figlio in modo da ottenerli
gratuiti e risparmiare?). Si tratta di
devianze che nascono dall’aver delineato un
sistema di istruzione per cui l’insegnante
limita la sua presenza all’interno
dell’edificio scolastico allo stretto
indispensabile. Così, a poco a poco, si è
imposta l’idea per cui chi insegna sta a
scuola una parte minima della giornata
lavorativa. Da questo presupposto discende
la strana convinzione per cui a scuola
debbono studiare solo gli studenti mentre
per gli insegnanti le aule non sono un luogo
di studio. Anzi in certi casi i docenti non
studiano affatto e non si recano nemmeno in
biblioteca cosicché le aule vedono l’azione
di ‘interpreti’ e di ‘ripetitori’ dei libri
di testo, azione questa che è ben diversa
dall’essere professori.
Non c’è dubbio
che l’essere docenti sia un atto di
coraggio. Tuttavia oggi si premia la
mediocrità che vuol dire promuovere tutti.
Ci vuole coraggio per la scuola cfr.
http://www.pianetascuola.it/resonline/RES_24/01_lodoli_sacchi_a.html
. In particolare sarebbe necessario mirare a
due obiettivi: 1) essere insegnanti dovrebbe
comportare il tempo pieno e
l’incompatibilità con le attività
liberoprofessionali il che significa che la
professione docente non può servire da
maschera per altri lucrosi impieghi, non può
e non deve coprire doppi lavori e impieghi
che evadono le tasse. Su questo tema
basterebbe seguire l’esempio della riforma
Bindi per il Sistema Sanitario (cfr. art 15
in
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/99229dl.asp
): si trattò di un provvedimento che pose
fine a gran parte delle malversazioni. In
ogni caso il tempo pieno non impedirebbe ai
professionisti di insegnare part-time. 2)
per insegnare a scuola nella società
contemporanea occorre studiare tanto e
questo vuol dire che lo Stato (e le Regioni)
debbono concedere agli insegnanti congrui
periodi di ‘respiro’ in cui il docente potrà
tornare a leggere (soprattutto) e potrà e
dovrà seguire corsi e lezioni. Infine ci
vorrebbe un’ultima dose di coraggio. Poiché
non è affatto detto che un buon insegnante
lo sia a vita, anzi è verosimile che con il
passar del tempo diventi un maestro noioso o
annoiato, si dovranno concedere valide
alternative.
Non
sarebbe affatto dannoso per la vita della
scuola e degli studenti che, di tanto in
tanto, il professore potesse lavorare in
musei, biblioteche, gallerie d’arte,
laboratori scientifici, aziende pubbliche e
private. Insegnare è un mestiere usurante e
occorre garantire soddisfazione a chi ha
passione. Al tempo stesso occorre rigore per
chi considera il mestiere una rendita
parassitaria. Si! Bisogna avere coraggio:
aprire le porte a chi vuole insegnare
davvero –soprattutto ai precari- sbarrarle a
chi pensa che l’attività didattica sia una
‘sine cura’. Bisogna affermare che il
professore è al servizio degli altri e che
lo studente deve poter ragionare con il
docente come faceva Don Milani e non può
essere lasciato solo come ha rappresentato
con efficacia il pittore Antonio Mancini
http://www.photo.rmn.fr/fr/f_recherche.html
.
La cultura del
lamento non rende. E’ ben vero che le Scuole
e le Università sono sottoposte a
restrizioni finanziarie normative
preoccupanti. Ma questi attacchi al sistema
dell’istruzione pubblica non possono essere
fronteggiati se non si comincia a dire la
verità: in scuole e università ho visto
sprechi incredibili (in particolare denuncio
la totale assenza di coordinamento negli
acquisti per le biblioteche sicché lo stesso
volume viene comprato decine di volte da
istituti o plessi scolastici contigui); nei
concorsi per l’accesso all’insegnamento sono
state attuate ogni genere di pratiche che
mascheravano concorsi poco trasparenti. E
come si può oggi accettare la protesta di
quei Rettori che nel passato hanno
controfirmato atti discutibili? E come si
può dar vita a una difesa della scuola
pubblica quando tutto il sistema del
reclutamento è un intrico di leggi,
regolamenti, ricorsi, annullamenti?
La storia della
scuola
http://www.bibliolab.it/materiali_dida/fonti.asp
può essere rappresentata come una continua
tensione tra chi si adagia sull’ossequio
formale di norme burocratiche e chi prova a
trasmettere il senso e la passione degli
studi. E ancor oggi questa tensione appare
irrisolta eppure basterebbe un po’ di buona
volontà.
Piero
Morpurgo
(http://www.morpurgo.wide.it)
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