Africa.
Capolavori da un continente
G.A.M. di
Torino dal 2 ottobre al 15 febbraio 2004
Dopo
tanto Impressionismo, movimento
indubbiamente rilevante e per molti versi
innovativo del linguaggio artistico
dell’Ottocento, ma altrettanto certamente di
grande presa sul pubblico, giunge
piacevolmente gradita una importante mostra
alla Galleria d’Arte Moderna di Torino sui
capolavori del continente africano.
Non solo si
tratta, probabilmente, della più vasta
esposizione europea di opere assai
rappresentative di 3000 anni di cultura
dell’Africa, da un millennio a.C. al 1500,
ma offre anche un’occasione per verificare
quanto ad essa sia debitore il lessico delle
avanguardie del Novecento che ne hanno
tratto schemi espressivi e formali del tutto
nuovi ed estranei ai linguaggi artistici
occidentali. Esse definivano quell’arte
africana ‘primitiva’, sbagliando in quanto
il concetto di primitivismo sottende un’idea
di percorso temporale del tutto estraneo a
questa cultura in cui opere di straordinaria
e “semplificata” qualità formale si
succedono nei secoli e nei millenni del
tutto indifferenti, nel loro valore rituale
e simbolico, allo scorrere del tempo.
Curata da Ezio
Bassani e da un comitato scientifico
internazionale di esperti,
l’esposizione è
suddivisa in quattro sezioni di oltre 400
opere provenienti da collezioni africane,
americane ed europee che ne vennero in
possesso specialmente dopo le razzie
compiute nel 1887 dal corpo di spedizione
inglese. Il suo obiettivo è quello di
cercare di costruire un coerente percorso
di Storia dell’Arte africana, senza tacere
anche le drammatiche vicende che furono
all’origine alla sua “scoperta” e cioè la
sistematica spoliazione e la tragedia dello
schiavismo perpetrati dall’Occidente.
La prima parte
offre panorama di arte antica dei Grandi
Regni, stupefacente per la sua sofisticata
complessità, assimilabile a quella di altre
importanti antiche civiltà e totalmente
ignota nella nostra parte del mondo solo
fino a poche decine d’anni fa. Si tratta di
rare terrecotte della cultura Nok ritrovate
nel 1940 nella Nigeria settentrionale, di
bronzi della cultura Ife e del Regno del
Benin, di opere in avorio tra cui delle
enormi zanne d’elefante istoriate con
eventi riferibili alla vita dei re, di
grandi sculture in legno dei Dogon, il
popolo della falesia del Mali.
Nella seconda
metà del ‘400, contemporaneamente alla
scoperta dell’America, l’Occidente europeo e
cristiano, specie il Portogallo, giunge
anche nell’Africa “nera” aprendovi vie
commerciali attraverso le quali le corti, i
nobili e i potenti prelevavano le sue
ricchezze, a gara nel collezionarne le opere
d’arte e l’avorio, nuovo tesoro che
rivaleggia con l’oro dell’Eldorado.
Di questa
eccezionale e pressochè inedita raccolta di
avori afro-portoghesi si occupa la seconda
sezione della mostra esponendo i cucchiai
delle collezioni medicee, il Corno della
Biblioteca Reale di Torino, le saliere della
corte degli Asburgo, gli Olifanti dei re
africani dai musei di Berlino, Liverpool e
Dresda. Incisioni finissime, gioielli
realizzati dagli artisti africani su
committenza europea, con iconografie
derivanti da incisioni, libri, modelli
europei.
La terza sezione
ospita, in cinque sale, una raccolta di
capolavori dei maestri del XX secolo che
agli inizi Novecento “scoprirono” l’art
negre e su di essa compirono alcune
riflessioni fondamentali; per citarne solo
alcuni, la Testa di donna dagli occhi
grandi di Picasso, la Cariatide
di Modigliani, la Musa addormentata
di Brancusi, la Figura accovacciata di
Derain, Jazz di Matisse, la
Figura seduta di Moore, La creazione
del mondo di Leger e, per la prima volta
da quasi un secolo, alcune statuette
attribuite a Gauguin.
La quarta
sezione della mostra è dedicata a 120 opere
prestate da grandi musei europei e nord
americani, maschere, statue, feticci del XIX
e XX secolo che vennero portati sulla scena
internazionale dell’arte specie grazie al
mercante Paul Guillaume, attivo a Parigi nel
dopoguerra e amico di artisti come, appunto,
Modigliani, Picasso, Braque, Derain.
I
tre piani del GAM si propongono, insomma,
di ricreare quel particolare senso di
fascinoso mistero che promana da questi
manufatti e che nasce da una concezione del
tempo assai diversa dalla nostra, dominata
dall’idea del progresso, della velocità e
protesa verso una serie di mete da
raggiungere e da conquistare nel minor tempo
possibile. Il grande e antichissimo
continente africano, al contrario, privo di
una lingua scritta e ricco di molte e
straordinarie tradizioni orali, considera
perfetto ideale di armonia la coesione del
cielo e della terra e l’equilibrio tra i
vari elementi della natura, di cui l’uomo
non è che una delle componenti, all’interno
di una concezione del tempo circolare, molto
simile a quella degli Egizi (che infatti
discendono da antiche dinastie africane).
Ciò consente di mantenere attraverso i
secoli, in un’assoluta omogeneità di
motivazioni etiche, una grande unitarietà di
linguaggio pure in presenza di canoni
stilistici assai diversi fra di loro ma tali
da poter affermare l’esistenza di una koinè
che si estende in un arco temporale di tre
millenni.
Nella cultura
africana, infatti, gli oggetti d’arte sono
delle entità a sé stanti che vengono a
costituire una sorta legame tra il modo
umano e il resto della natura, nel suo
passato (gli antenati) e nel suo presente
(forze naturali che agiscono in essa) fino
ad assurgere e assumere una valenza
simbolica ed espressiva di cui raramente si
è avuto riscontro in altre culture.
Il catalogo che
accompagna la mostra, edito da
ArtificioSkira, oltre a quello di Ezio
Bassani, raccoglie testi dei maggiori
esperti internazionali in materia: da Stefan
Eisenhofer, a Jean Louis Paudrat a Anne
Bouttiaux, a Ferdinando Fagnola; inoltre lo
scrittore africano Amadou Kourouma,
vincitore in Italia del recente premio
Grinzane Cavour, ha accettato di scrivere un
testo per la mostra, articolato, al modo dei
cantastorie tradizionali africani, in cinque
véillés, una introduttiva e una per
ciascuna sezione.
Giovanna
Grossato
invia questo articolo a un amico
|