DAL RISORGIMENTO ALLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA DEL 1948: IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE COME GARANZIA DEL DIRITTO ALLA CITTADINANZA
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1. Il veleno dei revisionismi
Come in un gioco disincantato la storia della nostra Costituzione è sottoposta ultimamente a un incessante stillicidio di critiche e di richieste di revisione.
L’azione è condotta con il sostegno di storiografie, ormai trasformate in ‘tifoserie’, che poco ammettono della variegata dinamica dei fatti storici giacché gli eventi del passato sono distorti per interessi di parte, spesso malevoli.
E’ recente che la figura di Silvio Trentin sia stata preda di diverse interpretazioni politiche, fautrici di ipotesi ‘federaliste’, che nulla lasciavano al rigore dell’uomo e del suo pensiero antifascista. Ed è già accaduto di leggere dei supposti ‘cedimenti’ al fascismo di Arnaldo Momigliano e di altri studiosi. Interpretazioni faziose fondate su piccole tessere rese giganti: una lettera scritta nel 1938 per tentare di sottrarsi a piccola parte delle leggi razziali; un formulario –peraltro ingannevole- utilizzato da tanti per ridurre la portata delle discriminazioni, viene ora additato per cancellare l’impegno rigoroso di uno studioso che collaborò con Radio Londra. E analogo trattamento travolse Leone Ginzburg. Ed ora è toccato anche alla vedova di Matteotti accusata di essere stata finanziata da Mussolini.
La questione appare in tutta la sua nitidezza quando leggiamo nel libro di Sergio Luzzatto: “E bambini come i miei non sentiranno più pronunciare, sui banchi di scuola, i nomi venerandi di chi spese il meglio della propria esistenza per liberare l’Italia dalla dittatura e fondare la Repubblica: comunisti senza macchia e senza paura che si chiamavano Giorgio Amendola o Umberto Terracini, Camilla Ravera o Giancarlo Pajetta”2).
Vi sono molte altre figure che dovrebbero avere il giusto rilievo sui libri di storia; tra questi Enzo Enriques Agnoletti; Cesare Colombo (di cui nulla più ormai si dice non tanto del suo eroismo nella Guerra di Spagna e nella lotta antifascista, ma del suo tenace amore per i libri che trasmise ai figli e ai loro piccoli amici che lo ascoltavano sul ‘come si fa un acquisto a un banchetto di libri lungo la Senna’) Edoardo Volterra che ebbe un ruolo politico e militare nella Resistenza, così come non può essere dimenticato Carlo Salinari.
Ha ragione Luzzatto: si prova un grande senso di disperazione civile nel pensare che, molti di noi, coloro che hanno costruito la Costituzione della Repubblica Italiana li hanno conosciuti, non li hanno dimenticati e che ogni tentativo di ricordare, ai più giovani, ai propri figli, la umanità della loro vita si impaluda in una scuola sempre più indifferente e in una divulgazione più attenta a scovare compromessi e contraddizioni dei ‘padri della Patria’ piuttosto che determinata a valorizzare e pubblicare documenti storici.
La ‘critica del testo’ coltivata da un antifascista come Giorgio Levi della Vida 3), uno dei professori che dissero "No" al duce 4), non interessa più. Purtroppo piccole vendette vengono consumate da piccoli storiografi che amano gli effetti della scenografia.
2. Metodologie di ricerca
Eppure il paziente lavoro delle famiglie, degli insegnanti, degli istituti scolastici nonché degli storici permette di riannodare i fili delle memorie e delle storie delle scuole: ad oggi molte famiglie di scolari mi hanno consegnato documenti preziosi con i diari dei loro familiari. A tutti è stato restituito l’originale dopo averne eseguito copia. Ora alcune importanti scuole hanno lasciato da parte la diffidenza e hanno aperto gli archivi agli storici: tra queste la Scuola Media Giuriolo di Vicenza che conserva un Archivio dal 1859 ad oggi.
Qui presenterò un metodo di ricostruzione della vita delle nostre istituzioni attraverso la politica scolastica e l’avventuroso percorso di molti uomini e donne che animarono la difesa della scuola intendendo questa istituzione un baluardo di civiltà e libertà. Si coglierà così una caratteristica particolare dei protagonisti della storia della scuola dei primi anni del ‘900: uomini talvolta radicalmente divisi da prospettive politiche e religiose collaborarono assieme per diffondere la cultura nell’Italia. E oggi lo storico non può assegnar loro le divisioni del nostro mondo contemporaneo: allora conservatori, liberali, rivoluzionari, federalisti, nazionalisti riuscivano a trovare sentieri comuni.
3. Un richiamo alla toponomastica
Ma prima di iniziare, qui, nelle terre che videro l’azione di Giacomo Matteotti, voglio dirVi che il mio pensiero è diretto a quella piazza che attraverso tutti i giorni a Vicenza: è piazza Matteotti dove una lapide antica da un lato dice ‘martire della libertà’ mentre sul lato opposto una targa, più recente, indica aridamente ‘uomo politico’. Ecco come l’intenzionale oblio si vuole affermare sulla storia: cambiano persino le targhe di strade e piazze!
4. Il valore della memoria
Vogliono far dimenticare la seduta dell’Assemblea Costituente del 10 giugno 1947 in memoria di Giacomo Matteotti, quando Canepa del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani disse:
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed144/sed144nc_indice.pdf
Il giorno prima Piero Calamandrei aveva detto:
Tutti questi documenti sono oggi reperibili, on line, nel sito web della Camera dei Deputati e, questa disponibilità, è indubbiamente un’opera meritoria.
http://www.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed142/sed142nc.pdf
5. La Repubblica Romana del 1849: le origini della nostra Costituzione
La storia delle nostre istituzioni e della nostra Costituzione della Repubblica ha origini più antiche di quanto si immagini e per questo è ancor più solida perché sorta da un dibattito attento e responsabile.
Accadde a Roma nel 1849 –in seguito alla fuga di papa Pio IX- l’Assemblea Costituente si era riunita, dopo che si erano svolte le elezioni in tutto lo Stato nel mese di gennaio. Il 9 febbraio “all’una dopo mezzanotte” sulla piazza del Campidoglio, dinanzi al popolo festante, veniva proclamata la Repubblica Romana. I lavori dei costituenti si protrassero sino al giugno nonostante l’infuriare del conflitto con i francesi. I deputati provenivano dall’Emilia Romagna, dalle Marche, dal Lazio, dall’Umbria, dalla Lombardia, dalla Campania, dalla Liguria, dall’Abruzzo.
Il 1 luglio 1849, prima della resa, fu approvato la Costituzione. Il testo costituzionale non fu mai applicato, ma rappresentò –nota Monica Calzolari- un esempio di coerenza e di impostazione “che sarebbe rimasta viva nella memoria come modello, trovando finalmente il suo compimento, ad un secolo di distanza nella Costituzione della Repubblica Italiana”.
Si sanciva così che “La Repubblica colle leggi e colle istituzioni promuove il miglioramento delle condizioni morali e materiali di tutti i cittadini”; si stabiliva quindi che “Dalla credenza religiosa non dipende l’esercizio dei diritti civili e politici”, affermazione questa che entusiasmò il mondo ebraico.
Si affermava poi che “L’insegnamento è libero. Le
condizioni di moralità e capacità, per chi intende professarlo, sono
determinate dalla legge”; si garantiva con nettezza l’indipendenza della
magistratura affermando che “I giudici nell’esercizio delle loro funzioni
non dipendono da altro potere dello Stato”
5).
“Un filo ininterrotto lega gli ideali e le gesta del Risorgimento alle imprese della Lotta di Liberazione e alla rinascita dell'Italia: repubblicana, per libera scelta del popolo italiano” – così il Presidente Ciampi ha introdotto il suo intervento a Milano il 25 aprile scorso.
http://www.quirinale.it/Discorsi/Discorso.asp?id=26932
“Il nostro Risorgimento, ispirato a ideali di fraternità fra tutte le nazioni, libere e indipendenti, ci ha trasmesso - insieme con la ritrovata coscienza dell'unità nazionale - una ricca eredità di ideali europeisti, sempre presenti anche nella lunga passione risorgimentale e patriottica di questa città”e così il Presidente della Repubblica Italiana ricordava in occasione dei 50 anni del ricongiungimento di Trieste all’Italia.
http://www.quirinale.it/Discorsi/Discorso.asp?id=25740
Questo filo conduttore che lega passato e presente ci porta a sottolineare quanto sia stato duro il lavoro di chi, in Europa, ha costruito la fitta trama dei diritti costituzionali tra i quali spicca il diritto all’istruzione che è diritto alla partecipazione alla vita politica libera e consapevole che è reale affermazione del diritto alla cittadinanza.
6. Eredità della Rivoluzione Francese
E già alla fine dell’ Ottocento si annunciava che:
“La leggenda dei benefici dell’ignoranza apparirà
come un crimine sociale perpetrato a lungo... No ! Non c’è mai stato benessere
nell’ignoranza; il benessere risiede nella conoscenza che sarà in grado di
cambiare l’immondo terreno della miseria morale e materiale in una vasta terra
feconda dove la cultura, anno dopo anno, moltiplicherà le ricchezze. .. E così
... la Nazione si troverà formata da quel momento in cui, attraverso
l’istruzione integrale di tutti i suoi cittadini, sarà diventata capace di
verità e di giustizia”
6).
Così scriveva Emile Zola in un romanzo, Verité, che è tutto dedicato all’esaltazione dell’istruzione pubblica.
7. Il Provveditore agli Studi di Venezia
E intanto in Italia si sviluppavano le conferenze pedagogiche regionali ove si delineavano obiettivi disciplinari, metodi apprendimento, scenari istituzionali. Ci si chiedeva – a Venezia nel 1881- se fosse necessario dichiarare l’istruzione elementare istituzione fondamentale dello Stato; ci si domandava quali ingerenza dovranno avere il municipio e la provincia 7).
Allora il regio provveditore agli studi della provincia di Venezia introduceva i lavori sottolineando “la necessità che lo Stato –il potere centrale bilanciato e corretto dai poteri regionali pe’ nostri antichi municipi- abbia a considerare qual’opera sua propria e qual massimo strumento di civiltà e di progresso la scuola popolare e nazionale indipendentemente da ogni chiesastica ingerenza” 8).
Già in quegli anni si andava proponendo il mito, che ancor oggi appare ad alcuni attraente, delle scuole artigiane sostenute da Gasparre Gozzi: “Perché non s’aprono scuole costà di fucine e martella, colà di seghe e pialle, in un altro luogo di salamoia, tanto che ogni condizione di genti riprovi l’appartenenza sua, e non s’abbatta sempre ne’ primi anni a nomi, verbi, concordanze, tropi e altri cancheri che divorano la giovinezza senza frutto, tolgono l’utilità dell’età mezzana, e l’agio della vecchiezza?” 9).
In quell’epoca Pietro Siciliani sosteneva il ministro Francesco De Sanctis propugnatore delle conferenze pedagogiche perché questi incontri hanno “un proposito essenzialmente liberale e democratico, in quanto che il ministro in esse invita tutti, vuole ascoltar tutti –maestri e maestre, direttori e direttrici di scuole, giovani e vecchi insegnanti e padri di famiglia. Ed è un’istituzione estremamente democratica anche perché coloro i quali sono chiamati a governare la grande opera dell’educazione e dell’istruzione nazionale, non siene abbandonati all’impero di idee personali e solitarie, perciocché i reggitori dello Stato sono talvolta –chi può ignorarlo?- in disaccordo co’ più vivi bisogni della società. E allora qual voce più autorevole di quella degli insegnanti invitati a discutere con amore e serenità di spirito intorno alle gravi questioni dell’educazione pubblica e privata?” 10).
8. Francesco De Sanctis: un eroe, un letterato, un ministro
Era il 16 agosto 1881! E quel ministro era il letterato e l’eroe del Risorgimento e l’autore di un’orazione –nel 1872-, per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Bologna, al tempo stesso ironica e dotta:
http://www.liberliber.it/biblioteca/d/de_sanctis/la_scienza_e_la_vita/html/la_scien.asp
“l'Italia in questi giorni è inondata di discorsi inaugurali, e che non ci è così umile scuola di villaggio che non avrà il suo. Se poi la scuola renda buoni frutti, che importa? questo è un altro affare. Ci è stato il discorso inaugurale, ci sono state le battute di mano, il pubblico va via contento, e non ci pensa più: se la vedano loro i maestri e gli scolari”. /.../
“Se avessi avuto gli elementi di fatto, quest'oggi vi avrei letta una relazione sul valore degl'insegnamenti, sulla frequenza dei giovani, sul risultato degli esami, sui miglioramenti fatti, sulle lacune rimaste, sul programma insegnativo del nuovo anno, e son certo che voi avreste gradito più queste interessanti notizie, che un discorso accademico. Ma poichè l'accademia non se ne vuole ire ancora, io che non voglio fare il ribelle, mi sottometto di buon grado al calendario, ed eccovi qua il mio discorso, confidando ch'esso sia l'ultimo discorso inaugurale, e che nell'avvenire penseranno gl'italiani meno a bene inaugurare e più a ben terminare”.
Scienza e Vita
E dunque Francesco De Sanctis cominciò ad analizzare il sistema di relazioni che intercorre tra progresso scientifico e istituzioni e sul valore della scienza giacché:
“È lei che rigenera i popoli e che li fa grandi, sento dire. Io che mi sento poco disposto a' panegirici, voglio dire a lei la verità, come si dee fare co' Potenti, voglio misurare la sua forza, interrogarla: cosa puoi fare? Conoscere è veramente potere? La scienza è dessa la vita, tutta la vita? Può arrestare il corso della corruzione e della dissoluzione, rinnovare il sangue, rifare la tempra? Sento dire: le nazioni risorgono per la scienza. Può la scienza fare questo miracolo?
Già, se guardiamo nelle antiche istorie, non pare. La scienza greca non potè indugiare la dissoluzione del popolo greco, nè sanare la corruttela del mondo latino. il rinascimento intellettuale in Italia fu in il principio della sua decadenza. Maggiore era la coltura, e più vergognosa era la caduta”. /.../
E noi che abbiamo tanta fede; nell'istruzione, dobbiamo domandarci, se siamo davvero tornati giovani, e se quella decadenza non ci ha lasciato niente nelle ossa e nel cuore, se noi serbiamo intatte le nostre forze fisiche e morali. Ma se il nostro male è l'anemia, se ci è bisogno una cura ricostituente e corroborante, l'istruzione può illuminare il nostro intelletto, non può sanare la nostra volontà. E poi, quando dentro è difetto di calore, già non produrremo noi nè scienza, nè istruzione. Avremo una scienza di riflesso, non figlia nostra, non forma del nostro cervello, ma venutaci, secondo la moda, di Francia e di Alemagna, e prima di fare noi, ci domanderemo: cosa fanno gl'inglesi, e cosa fanno gli americani. Non che sentire il pungolo della vergogna, ma ci consoleremo e ci applaudiremo, proclamando che la scienza non ha patria, e bisogna pigliarla dov'è, e quando altrove è bella e fatta, è inutile stillarci noi il cervello. E non è vero. La scienza non può germogliare senza una patria, che le dà la sua fisionomia e la sua originalità. E là dove cresce bastarda e presa ad imprestito, non ha fisionomia, e rimane fuori di noi, non opera in noi, non riscalda il cervello. Non produrremo la scienza e non produrremo l'istruzione. Accetteremo dal di fuori metodi e libri, costituzioni, ordinamenti e leggi, e spesso piglieremo un abito, quando là dov'è nato è già logoro e messo fra' cenci. Così tutto è mezzanità, mezza istruzione, mezze idee. /.../
Diciamo la verità. Al paese si dee la verità, e si dee a noi stessi. La scienza è un pezzo che si è ritirata da noi, e non opera più ne' nostri cervelli, non produce più.
Noi ripetiamo una canzone divenuta malinconica per vecchiaia, che non fa più effetto, neppure sopra di noi. E perché dentro di noi non ci è una idea che ci tormenta, non un sentimento che ci stimola, gridiamo pomposamente: lasciamo fare e lasciamo passare; la scienza fa da sè, e la scienza fa miracoli, quasi che i miracoli li facesse la scienza e non l'uomo”.
9. Cesare Battisti: la necessità dell’educazione
Negli stessi anni, in una lettera alla moglie, Ernesta Bittanti, del 20 settembre 1898, Cesare Battisti scriveva: "(...) Mi chiedevi quale danno può derivare dai conflitti nazionali? Semplicemente quello di irritare per cose vane le masse operaie che credono d'essere vittime non degli interessi della borghesia, ma degli odi nazionali. Quel che vale per noi non è il diritto storico, è il diritto naturale. E questo si basa sui bisogni, sulle necessità. Per un popolo la necessità prima è quella di viver bene, di educarsi, di elevarsi. Viver bene ed elevarsi intellettualmente sono due cose che si completano a vicenda; giacchè un popolo tanto più cresce in civiltà, quanto più economicamente sta bene e viceversa. Ora non v'è progresso, non v'è civiltà pei popoli che vivono sotto tutela.
10. La Lega per i Diritti dell’Uomo e la Scuola
Non diverse erano le prospettive di Emile Zola quando -nel 1901- alla Lega per i Diritti dell’Uomo parlava sull’idea di giustizia nell’insegnamento; in quell’occasione lo scrittore aveva voluto precisare: “Certamente si alla giustizia nell’insegnamento, ma prima di tutto occorre verità nell’insegnamento. Tutta la vittoria del domani è qui. E’ necessario che ci sia un popolo istruito abituato alle verità sperimentali della scienza perché sia capace di giustizia. ...” 11).
Queste posizioni erano il frutto di un percorso che
aveva visto la Ligue Française de l'Enseignement organizzare, nel 1889, un
congresso ove si proclamò che:
“l’interesse
dell’istruzione popolare comporta un legame geloso poiché è una causa che
richiede completa dedizione. L’istruzione popolare non ammette che si possa far
prevalere altri obiettivi che contrastino i suoi interessi. Chi lavora per
l’istruzione popolare dovrà dimenticare il resto... si tratta di un dovere
universale che coincide con l’interesse universale e con il principio superiore
della solidarietà tra i popoli” 12).
A questi lavori partecipò anche Augusto Franchetti (1840-1905) in rappresentanza delle scuole popolari fiorentine. Era l’azione di un filologo, di uno studioso e di un uomo di legge che combattté affinché fossero riconosciuti i diritti delle donne: alla proprietà e alle professioni.
E l’ impegno dei Franchetti era legato all’azione di Adele Levi Della Vida, madre di Amelia Levi moglie di Luigi Luzzatti nominato presidente del Consiglio dei Ministri dal 1910 al 1911 e nonna di Guido Castelnuovo, che istituì, prima a Venezia nel 1869 e poi a Verona e Padova nel 1874, quei ‘giardini di infanzia’ dove si apprendeva giocando e da cui, in parte, prese le mosse l’opera di Maria Montessori 13) osteggiata dalla “Civiltà Cattolica”.
Fu un’opera che incontrò fortissime resistenze.
A Venezia –il 15 giugno 1874- Vito d’Ondes Reggio, in occasione del I Congresso Cattolico Italiano, pronunciò il Discorso sull’istruzione obbligatoria ove si opponeva a questo progetto con intransigenza:
“La legge naturale e la la legge divina positiva
hanno conceduto ai genitori il diritto d’istruire ed educare i figliuoli. La
legge divina positiva ha conceduto alla Chiesa sola insegnare a tutti. Né la
legge naturale né la positiva divina hanno dato ai governi degli stati dritto
di insegnare. Quei governi sono sotto la potestà suprema insegnatrice della
Chiesa. /.../ Il governo dello Stato può cooperare cola Chiesa all’istruzione
ed educazione dei cittadini, ma sotto i di lei dettati” 14).
“insino al giorno non lontano in
cui anche l’Italia si sia messa in accordo ed in pace col progresso civile,
statuendo una legge che regoli le ore e i modi del lavoro pei giovinetti e per
le donne, secondo l’esempio degli altri Stati. Visitando le nostre fabbriche,
interrogando i fanciulli pallidi e macilenti intorno al tempo, alla qualità ed
alla durezza dei loro lavori, (chi scrive) ha promesso ad essi e a sé stesso
che difenderebbe la loro causa” 15).
In questa azione educativa di fine ‘800 v’era il senso di un impegno civile che colmava l’impossibilità per le donne di partecipare alla vita istituzionale del paese 16). Per questi motivi molte figure femminili del mondo ebraico si impegnarono nel programma di estensione delle attività scolastiche. In questo contesto si impegnarono sia Aurelia Josz 17) (poi arrestata a Alassio) e uccisa all’arrivo ad Auschwitz sia Emma Modena fondatrice della prima scuola agraria femminile italiana 18).
E proprio l’ebreo Leopoldo Franchetti (1847-1917) aveva appoggiato finanziariamente l’istituzione delle scuole Montessori in Italia quelle 'case dei bambini' che saranno poi osteggiate e chiuse dalle dittature di Mussolini e Hitler 19).
Esperimento che aveva entusiasmato prima della violenza pedagogica fascista: a Città di Castello, Lucia Latter, Alice e Leopoldo Franchetti fondarono una scuola sperimentale improntata al principio della ‘serenità’ dell’apprendimento e aperta alla cultura popolare, alle espressioni dialettali, alla ‘grammatica viva’ 20).
Questo accadeva quando l’Italia stava tentando faticosamente di trasformare il sistema scolastico, ma il fascismo interruppe drasticamente un’opera di diffusione della cultura che aveva avuto il sostegno partecipe di famiglie ebraiche come quelle dei Franchetti, degli Orvieto, di Pellegrino Rosselli e di Domenico Comparetti (il nonno di don Lorenzo Milani) nonché delle organizzazioni israelitiche. Quegli obiettivi educativi si tradussero -a Firenze- nell’attivo sostegno delle Scuole del Popolo volute -nel 1867- da Pietro Dazzi.
Il programma d’esame delle scuole professionali fiorentine “Pietro Dazzi” era del tutto innovativo giacché prevedeva “Una prova scritta ed orale per l’italiano pel francese, per l’inglese, pel tedesco, per l’aritmetica e per la geometria; mentre per la storia, geografia, la computisteria, la fisica, la chimica, la storia naturale, si fa la prova orale soltanto, e per la calligrafia il solamente il saggio grafico”.
Inoltre nelle classi di disegno era previsto un apposito saggio che era valutato tenendo conto delle opere svolte nell’anno scolastico e così pure nelle classi professionali si giudicava l’acquisizione delle competenze professionali.
L’esito dell’esame era comunicato all’istante -circostanza su cui oggi si esita- e prevedeva diverse possibilità: una licenza con la media di 9/10, un certificato d’onore con 8/10, un attestato con 6/10 21). A questi programmi collaborò l’ Istituto Israelita d’Arti e Mestieri di Firenze, senza chiedere una qualsiasi impronta confessionale 22), con quella stessa generosità di intenti che aveva portato l’ Alliance Israélite Universelle ad assicurare ai bimbi ebrei una scolarità regolare sviluppando -tra il 1862 e il 1910- una vasta rete di scuole in tutti i paesi che si affacciavano sul Mediterraneo.
Dal suo canto Ernesto Nathan e la sua famiglia -in contatto con i Rosselli- fondava, nel quartiere popolare di Trastevere a Roma, la Scuola Mazzini “scuola a-religiosa dove l’insegnamento religioso era sostituito dalla lettura e commento dei Doveri dell’Uomo. La Scuola era frequentata dalle ragazze del popolo e oltre allo studio le iniziava a diversi mestieri” 23). Per comprendere il senso di tutto questo impegno è importante sottolineare come uomini diversi –anche per scelte ideologiche- collaborarono in un progetto di estensione dell’istruzione che costituiva garanzia della solidità dello Stato.
11. Ernesto Nathan e l’insegnamento dell’ etica professionale
Per Nathan era vitale la la battaglia della formazione "educativa dei giovani per preparare il cittadino cosciente della vita amministrativa e politica del paese: il soldato valoroso nella difesa della patria: l’uomo probo nella lotta contro il malcostume, l’alcolismo, il delitto: il contadino intelligente per il progresso agrario della nazione: l’operaio abile nella concorrenza internazionale della produzione e del lavoro".
Nathan, pur lottando contro la massima delle vergogne nazionali, l’analfabetismo, sposta l’ottica in una concezione dello Stato che, cosciente della sua missione civile, avoca a sè stesso il dovere di impartire l’istruzione e l’educazione elementare al fine di sviluppare e formare le facoltà individuali, colmando la sperequazione fra istruzione ed educazione, tra mente e cuore.
In quest’ottica Nathan propone che, tra le altre materie, si aggiungesse l’insegnamento dell’etica professionale. Nell’illustrarla–sostiene Giuliana Limiti 24)- la definisce anche etica pubblica, tecnica, civile, affinché si chiarisca la discriminazione tra il lecito e l’illecito, nell’esercizio professionale di ogni mestiere, da quello artigianale, commerciale, industriale, alle professioni libere o dotte, nelle scienze naturali, nella letteratura, nella politica. Un insegnamento di etica che non coincida con la morale che si insegna nelle scuole e nelle chiese, ma che si fondi sui principi della rettitudine, della verità, dell’onestà, della precisione, dell’ordine, dell’assiduità, della solidarietà.
Precisò Nathan: "non la morale cristiana, nè l’ebraica né la maomettana, né la buddista, - non la rivelazione cristallizzata in un libro sacro, sia di Rama, di Krishner, di Hermes, di Mosè, di Pitagora, di Platone, di Cristo o di Maometto; la morale, invece, che, filtrando attraverso i vari strati della civiltà, diffusa dalle varie rivelazioni religiose, sta a sé, patrimonio laboriosamente acquistato attraverso infinite lotte e sacrifici dalla umanità, e, come tale, dall’opera incessante degli uomini e dei secoli consolidata, diffusa, ingrandita, - la morale che al pensiero giusto associa l’azione giusta e cielo alla terra unisce, entrambi collegando in virtù della legge che governa l’essere e connette il finito coll’infinito, - la morale che nell’aspirazione al progresso e nell’opera individuale per conseguirlo ravvisa il premio e la pena, ora e poi, - la morale a tutte le fedi aperta, la lenta, quasi inavvertita crescita ed il risveglio graduale della coscienza umana attraverso i secoli, che dall’istinto gregario dei bruti, sublimato ed affinato nell’uomo in guisa da ispirare ad amore ed a fraternità i comuni rapporti, accetta consapevolmente a norma di vita il dovere, ispiratore del diritto, della sua legittimità arbitro e giudice” 25).
Divenuto Sindaco di Roma, negli anni tra il 1907 e il
1913, Nathan mirò all’applicazione della legge sull’istruzione obbligatoria. Si
aprirono circa centocinquanta asili d’infanzia "per sottrarre i piccoli
fanciulli dagli inconvenienti morali ed igienici derivanti dalla casa mal
curata e dalla strada mal frequentata", ai quali si somministrava
anche la refezione scolastica.
Il problema della scuola civile e laica si imponeva come una necessità primaria. Una scuola "laica per il profondo sentito rispetto alla religione, alle varie fedi religiose, alla libertà di coscienza, che impone la sottrazione di ogni insegnamento rituale dal potere pubblico affinché rimanga nel dominio assoluto dell’individuo e della famiglia a cui appartiene; civile perché la morale, il dovere personale, la virtù civica, sostrato comune a tutte le religioni, per quanto diversa si voglia l’origine, siano materie d’insegnamento educativo, e, nel campo del bene, uniscano insieme i seguaci di tutte le fedi, da quelle sorgenti in oriente, a quelle tramontanti in occidente".
E la stessa passione guidò Amelia Rosselli, a Venezia e a Firenze come a New York; la madre di un eroe caduto nella Grande Guerra organizzò -esattamente come Salomone Morpurgo fece a Penia di Canazei in memoria del figlio Giacomo anch’egli morto al fronte- colonie e case per bambini a Grassina 26). L’impegno educativo di Amelia Rosselli, che l’aveva già portata a scrivere una serie di libri per l’infanzia, proseguì anche dopo il barbaro assassinio dei figlioli Nello e Carlo; infatti la Rosselli dal 1945 collaborò alla rivista La Settimana dei Ragazzi diretta da Laura Orvieto 27).
12. Il primo dopoguerra: ‘un parossismo di esasperata negazione di valor di patria’
Così annota Amelia Rosselli: “1919: ritorno a casa di Carlo e Nello. Fu un ritorno triste, funestato dai disordini popolari che scoppiavano qua e là fra le masse deluse di quel dopoguerra. Dopo tante promesse, i soldati di ritorno dalle trincee si trovarono dinanzi soltanto lo spettro della fame, per loro e le loro famiglie. Furibondi insorsero qua e là in quel triste 1919, saccheggiando i negozi, costruendo barricate, con l’esperienza acquisita nel costruire le trincee contro il nemico. /.../ Per la strada, ufficiali venivano derisi. Si sputava loro addosso. Il governo non trovò altramisura che consigliargli di uscire in abiti civili. Si era vinta la guerra, ma il popolo, fuorviato dagli eccessi di un nazionalismo sbagliato, non aiutato neanche moralmente da un governo pusillanime, agiva come un popolo sconfitto. /.../ E allora dal cuore di ogni madre dolorante sorse, terribile e quasi mostruosa la domanda perché?
Perché tanto sangue, tanto dolore, e una generazione intera sacrificata?
Fra il dolore delle madri, e quei morti lassù, nelle montagne, laggiù nei piani desolati, s’incuneava ora la generazione dei giovanissimi che non avevano fatto la guerra, non avevano imparato a odiare, ma avevano però sofferto indirettamente sia della guerra, sia di quell’odio. Generazione nuova che voleva riformare il mondo secondo la propria visione, abolendo le barriere, frontiere, valori di patria da essa considerati ormai superati e si era buttata alla denigrazione totale di tutto il passato” 28).
Il dramma è compreso, si cerca la soluzione. E’ ricerca ansiosa di chi ha inseguito l’unità della Patria e ha perso i figlioli. Il dolore dei genitori dei caduti è immenso e tuttavia si cerca di fronteggiare l’umana animosità di chi si sente abbandonato. Arrivano lettere amare che manifestano dolore e isolamento.
Di queste lettere Laura Morpurgo Franchetti 29) parla nitidamente con la Rosselli, in nome di quel “vincolo speciale per cui qualunque avvenimento lieto o triste risuona dentro di noi con qualche nota comune”. L’esacerbazione degli animi preoccupa Laura Morpurgo anche se ella non esita a manifestare indignazione contro quella “gente austriacante o mezza matta”.
La tensione è resa ben evidente dall’ amara lettera di chi ha perso tutto, l’unico figlio, di chi scrive con disperazione come la signora Olga: “Questa lotta che insanguina tutta Italia, questa guerra civile: che aizza i fratelli contro i fratelli. Perché per quanto consideriamo la canaglia comunista anarchica socialista la peggiore piaga d’Italia, pure desideriamo invochiamo ardentemente una pacificazione-, anche se i meravigliosi giovani fascisti dovranno forse sentirsi sacrificati /.../ <perché le donne d’Italia> si facessero iniziatrici di un grande movimento benefico e nobile di protesta conducendo il paese /.../ verso un’era di pace e di amore”.
La lettera è drammatica e Laura Morpurgo, nel presentarla alla Rosselli, invita alla comprensione di chi travolto dal dolore per la perdita del figlio è stato abbandonato anche dalla società, ed esorta all’amicizia verso chi soffre; è la la Laura Morpurgo che distribuiva libri sulla linea del Piave e a Cortina d’Ampezzo (per diffondere l’istruzione tra i soldati come teorizzava Pietro Jahier), è la Laura Morpurgo che, con Amelia Rosselli, avverte il disastro degli esasperati nazionalismi e che cerca di ripartire dalle scuole popolari, dalle biblioteche del ragazzo operaio dedicate a Giacomo Morpurgo anch’egli morto in guerra come il suo amico Aldo Rosselli.
Comunità di intenti di madri unite dal destino e dall’amicizia talora sinceramente distanti nelle scelte politiche; pur sempre unite per costruire un’ Italia fondata sulla scolarizzazione.
13. Costruire le scuole nel nuovo Stato unitario: una difficile impresa rovinata dal fascismo*** 30)
In verità il progetto c’era. Contorto e controverso. I volenterosi erano ostacolati da cavilli e dubbiosi. La organizzazione dello Stato unitario vide una politica scolastica spesso non linerare irta di difficoltà burocratiche e politiche; tuttavia la passione di chi operò in questa impresa fu notevole. I registri della Scuola Media Giuriolo di Vicenza testimoniano l’evolversi di una scuola che è chiamata ad affrontare non solo mutamenti istituzionali, ma anche rivoluzioni scientifiche prospettate dalla fisica, dall’elettricità, dalla geografia. Sempre carenti le strutture: nell’anno scolastico 1858/59 nella classe prima della Scuola reale Inferiore di Vicenza vi sono ben 58 allievi: hanno un’età che va dai 12 ai 20 anni, diverse le provenienze sociali dichiarate (domestico 2, sensale 2, industriante, impiegato 8, 2 come il padre, capomuratore, artiere, possidente 16, maestro elementare e il figlio vuol fare il maestro, pittore 3, commerciante, ingegnere, ?, fabbricante di carte da giuoco, villico, fabbricante d’organi, oste, caffettiere 3, dentista meccanico, imprenditore di lavori 2, ingegnere 2, impiegato postale, orefice 2, muratore, carzolaio, fittanziere, cappellaio, cursore comunale); alcuni sono poverissimi giacché i figli del muratore, del cursore comunale e del maestro sono esentati dal pagamento per miserabilità.
Scarsissima la presenza delle ragazze: nell’a.s. 1893/94 il registro della II A evidenzia l’inserimento di tre alunne: le due sorelle –classe 1881- Rosa promossa con 63/80 e Bianca promossa con 62.5/80 con menzioni onorevoli; mentre Emma -classe 1869- che frequentò fino al 14 aprile come uditrice per il francese ottenendo attestato di frequenza. Nell’anno scolastico successivo in una classe di 39 alunni risulteranno in I A: Maddalena classe 1880 media 9,17, Teresa classe 1882, media 6,87, Rosa di genitori ignoti classe 1879, media 6,5, Maria classe 1882 rimandata con 5,64, Domenica classe 1878 promossa con 8,67, Luigia classe 1882 promossa con 7,40. In quell’anno un noto poeta vicentino affrontava la III A non senza difficoltà: Adolfo Giuriato rimandato con 4 in italiano e 2 in matematica nonostante il 9,29 in Storia nazionale, Giuriato anche nel 92/93 era stato rimandato alla sessione autunnale con 5 in francese 5 in italiano e 3 in matematica, 7 in storia, benché in prima avesse la media dell’otto in italiano, del 6,5 in matematica, e 6 in storia 31).
Le condizioni di vita erano difficilissime e lo testimoniano i registri che annotano le malattie e –in apposito riquadro- gli alunni morti durante l’anno; così si legge che –nell’a.s. 1896/97- Angelo fu assente quasi tutto il 2 bimestre per “malattia grave”; Rosa, figlia di ignoti “dopo pochi giorni si ritira per gravissima malattia”, Enrico “ammalato si presentò agli esami in ottobre”e l’11 novembre fu deliberata la bocciatura perché “strappò il compito essendogli riuscito male”; Pilade si ritirò per malattia, l’anno successivo riprese a frequentare la III A, ma l’infermità lo portò alla morte. E’ una dimensione drammatica della vita scolastica che oggi siamo portati ad occultare in ragione del nostro benessere.
Malattie, freddo e fame connotavano la scuola italiana. E l’indisciplina non mancava, anche se il rigore si alternava al perdono. Così Alberto, classe 1878, fu promosso nonostante 35 giorni di sospensione per le gravi mancanze commesse in iscuola e “a motivo del pessimo contegno nel recarsi e nel ritornare da scuola” Alberto fu poi iscritto in III B. Quindi. rimandato in sette materie, non si presentò e venne bocciato; fu dunque iscritto nel 97/98 in terza e venne licenziato nonostante le insufficienze in computisteria, francese e italiano. Eppure l’11 febbraio ebbe una nota di biasimo “per negligenza specialmente in computisteria e francese”, il 1 luglio 1898 fu ammesso all’esame assieme all’allievo Brunetti in virtù della disposizione ministeriale che richiama immediatamente in vigore l’articolo 79 del Regio Decreto sull’istruzione classica del 20 ottobre 1894 e l’art 3 del Regio Decreto 3 maggio 1894 (Telegramma 1 luglio 1898). Testimonianza di una scuola italiana che interviene, punisce, ma sa anche dimenticare.
I materiali dell’Archivio della Scuola Media Giuriolosi presentano lacunosi per gli anni della Grande Guerra poiché i locali della segreteria furono bombardati. Integri quasi del tutto sono gli anni che conservano i materiali del fascismo, anche se è sospetto il fatto che in tutte le sezioni d’archivio (registri, stipendi, etc.) manchi costantemente l’anno 1938, l’anno delle leggi razziali.
La scuola di Mussolini è improntata alla coercizione delle menti. Dal 1925 arriva a Vicenza l’ordine di mettere in tutte le aule il ritratto del duce, dal 1926 il Ministero invia a tutte le scuole volumi riguardanti la propaganda del fascismo. Nel 1927 viene istituito l’obbligo dell’emblema del littorio su tutti gli edifici scolastici, l’obbligo della camicia nera per i piccoli allievi, l’obbligo di illustrare la necessità dell’espansione coloniale. Nel 1928 scattano le sanzioni disciplinari per gli allievi che non si recano ai raduni degli avanguardisti. E questo introdurrà ai corsi obbligatori di cultura militare.
In un fascicolo, datato 3 novembre 1942, della Scuola annessa al Regio Liceo Ginnasio Pigafetta, indirizzato al Ministro dell’ Educazione Nazionale, alla c. 3, si legge che “I libri che esaltano il coraggio, la pronta decisione, l’eroismo, hanno avuto la preferenza quasi totalitaria degli alunni, mentre le storie di sacrifici oscuri, dove vibra il sentimento materno e familiare ebbero la preferenza delle donne”. La nota ricorre in altre relazioni e può anche avere il sapore di una formula burocratica, ma è egualmente inquietante. Nell’anno scolastico successivo, in un analogo documento si legge l’uso delle biblioteche scolastiche fu orientato per “un’ammirazione sempre più fervida delle imprese della Patria e ad una volontà più pronta al sacrificio. Infatti furono preferite quelle letture che esaltano il coraggio, la pronta decisione, l’eroismo, il sentimento della famiglia”. Non mancava l’orientamento per organizzare il sostegno ai soldati al fronte; infatti allora furono “confezionati dalle allieve della scuola del lavoro: 500 coprinaso passamontagna, 50 panciotti, 10 sciarpe, 8 paia calzettoni, 10 guanti e manopole e alcuni copripetto di stoffa impermeabile”. Una scuola di guerra e in guerra.
Nell’anno scolastico 1943-1944 si scriveva al Provveditore: “non nascondo che qualche insegnante, scosso e depresso da tanti e così gravi avvenimenti, appariva trepido e incerto e tornava alla scuola e compiva tuttavia il suo dovere pur senza l’abituale entusiasmo. Anche gli alunni erano disorientati. Lo sforzo per ritrovare e mantenere sulla giusta via fu certo duro, ma quella via si ritrovò e si giunse alla fine dell’a.s. in condizioni abbastanza buone”.
Molto interessanti sono gli “Argomenti delle lezioni” trattati di giorno in giorno in classe.
Il 28 ottobre è ricordato sempre dall’insegnante di Italiano, che riporta generalmente di aver svolto un “Discorso commemorativo sulla marcia di Roma”.
Le “Cronache”, lette e corrette in classe, ogni settimana avevano come oggetto una “Relazione dei principali avvenimenti militari e politici”
La 'militarizzazione dell'educazione' risulta bene in un registro di II media del 1941/42, sezione A,ove un appunto scritto a mano riporta quanto segue:
“Gli scolari alle ore 9,30 dovranno trovarsi alla GIL (Balilla, Avanguardisti, Prealpini e Moschettieri). I marinaretti all’imbarcadero ( ? ) Pigafetta.
Le scolare rimarranno a scuola (ore 16)
Nel pomeriggio i maschi si troveranno tutti nell’Istituto del Centro. Sarà fatto l’appello.
Le ragazze alla Casa della Giovane Italiana (ore 16)”
Tutti in divisa.
Nello stesso registro, l’insegnante di Italiano viene preso dalla retorica della guerra, con argomenti e letture di Polli, I muratori; Zoppi, I falciatori; Panzini, Il ponte crollato; Giuliotti, L’inabolibile povero; Carossa, Il pianto del prigioniero; Angioletti, Batteria al galoppo; Grande, Tornate vittoriosi; Pastorino, Alzati, c’è pericolo; Volta, L’autoblinda insabbiata; Lilli, Santa borraccia.........
Continuano ogni lunedì i “Riassunti degli avvenimenti militari e politici della decorsa settimana”; il tutto mentre infuria la guerra e gli Alleati bombardano Vicenza
Esercitazione scritta in classe:
“Se penso ai soldati, ai loro sacrifici ed eroismi, il mio cuore palpita d’amore e d’orgoglio; e più forte s’accende in me la volontà di cooperare, come posso, al bene loro e al conseguimento della vittoria”
Una valutazione sommaria dei registri di classe porta ad alcune considerazioni significative: esisteva un gruppo consistente di insegnanti che utilizzava la scuola per fare opera di proselitismo al regime 32) (o far finta di far propaganda); tuttavia in molti casi i registri un ordinato svolgersi delle lezioni incentrate sulla poesia del Pascoli e sulla analisi della storia medioevale come sulle osservazioni dei gabinetti di storia naturale.
Davvero preoccupanti erano i criteri di valutazione.
I registri, dall’anno scolastico 1940/41 al 1944/45 riportano all’ultima pagina la Circolare n. 32 del 27 Novembre 1940, XVIII, firmata dal Ministro Bottai, nella quale si precisa che il “Registro del Professore” è stato sostituito dal “Registro dei professori”, perchè questi “devono avere continuamente sotto occhio tutta la figura dell’alunno, e non soltanto quella ritagliata entro i confini della propria disciplina”.
Si precisa che il nuovo sistema di valutazione, in vigore nella “Repubblica di Salò”, deve rispettare alcuni criteri di registrazione e si ricorda che “Il giudizio concreto è altra cosa dal voto, dagli aggettivi classificatori stereotipati. Se è abolito, pertanto, il sistema aritmetico di valutazione, è abolito, per le stesse ragioni, l’equivalente sistema aggettivante”.
Si ricorda, inoltre, che “Uno spazio speciale sarà destinato alla indicazione di quanto possa interessare i rapporti tra scuola e famiglia, scuola e G.I.L....”
La circolare termina spiegando che “Il registro così congegnato...non indurrà gli insegnanti a schematizzare, ridurre, meccanizzare apprezzamenti e conclusioni le quali invece si auspicano intelligenti, affettuose, diffuse quanto occorre, perchè siano espressive e convincenti, capaci di preparare seriamente il giudizio finale, la classificazione successiva e il profilo dell’alunno”.
Gli intenti appaiono buoni, ma sono ispirati al principio della 'selezione' come sancito dalla Carta della Scuola. E tutto ciò risulta bene dai registri dell' anno scolastico 1940/41 ove si incontrano frequentemente queste annotazioni:
“La classe in generale mostra immaturità di preparazione..... per cui, in generale, seguono con fatica, non possono prestare a lungo attenzione. Grande difficoltà a farli ripiegare su loro stessi a ragionare, ad esprimersi, a manifestarsi. Ciò si rileva soprattutto dalle cronache. Nel complesso più pronte e diligenti le femmine dei dodici maschi”.
“A distanza di tre mesi noto un confortante svegliarsi della mente e più ancora delle anime. Più pronti, più attenti, più agili. Nel complesso accessibili a tutti i sentimenti generosi, pronti a rispondere con entusiasmo a ogni iniziativa: acquisto libri, offerte di denaro per i soldati; aderenza alle loro organizzazioni. In generale spiriti candidi fervidi: non eccessivamente diligenti –specie i maschi – ma in continuo miglioramento.....”.
I giudizi individuali appaiono improntati a una rigidità davvero eccessiva:
Per Gino si dice:
Italiano:
“Manca di punti di appoggio, di potere di coordinamento, di assimilazione. Poverissimo di idee, senza fantasia, piatto. .............................. Immaturo. Scorretto. .... Non riflette. Si esprime male, parla malissimo”.
Latino
“Non capisce niente”. (ottobre)
(gennaio) C’è un qualche movimento
Disegno
“Svogliatissimo. Privo di attitudine. Nullità”
Per Giovanni si giudica così:
Italiano
“Spirito debole. Nessuna fantasia, nessuno spirito di osservazione, di introspezione. Immaturo. Tira giù in forma infelicissima le poche idee che ha, assolutamente infantile. Slegato, frammentario. Scorretto. Banale, non si manifesta mai. Capisce lentamente, dimentica immediatamente.”
Su tutto incombe il regime e la disposizione del Regolamento interno in base al quale "l'alunno deve essere militarmente disciplinato".
Il regime controllava ogni comportamento di studenti e impiegati.
Tristissima fu la vicenda di una ragazza impiegata di segreteria che -nel 1939- si rifiutò di compilare il modulo di appartenenza alla razza ariana e per questo suo atto di coraggio civile fu licenziata 33).
Altrettanto coraggio mostrò un docente come mostra questo documento:
Negli “Argomenti delle lezioni” di Italiano della I C dell'anno scolastico 1944/45, tra i mesi di Novembre e di Febbraio, c’è un continuo riferire degli allarmi che hanno interrotto le lezioni. Poi basta.. Non un accenno a tutto ciò che avviene fuori della scuola. Anche la sospensione delle lezioni tra il 25 aprile e il 15 maggio passa inosservata.
4 novembre: allarme
18 novembre: allarme
4 dicembre: allarme
9 gennaio: allarme
6 febbraio: allarme
13 febbraio: allarme
19 febbraio:allarme
23 febbraio: allarme continuo
24 febbraio: allarme continuo
Dopo questa data terminano le annotazioni sugli allarmi, anche se i bombardamenti continuano: come se anche la paura fosse stata esorcizzata, insieme con il mondo esterno. Sul registro si leggono solo annotazioni neutrali sulle lezioni assegnate e sui compiti svolti.
I diversi insegnanti di classe non solo riportano la voce: “Allarme” e le sospensioni delle lezioni per la scuola sinistrata: “dall’1 al 4 marzo”, ma annotano la difficoltà di fare lezione per le assenze degli alunni, che da febbraio ad aprile restano quasi tutti a casa o nei rifugi.
1/4 marzo: nessun alunno presente
5 marzo: nessun alunno presente
6 marzo: nessun alunno presente
7 marzo: un solo alunno presente
A scuola gli insegnanti continuano a fare il loro lavoro anche se ormai si enuclea una divisione di atteggiamenti: il 13 aprile in una classe gli studenti debbono svolgere un tema dal titolo "Primavera di guerra"; altri il 24 aprile vengono invitati a scrivere su "Il problema di Trieste e le rivendicazioni iugoslave". Si lavora in classe persino il 25 aprile -città bombardata e scuola in teoria chiusa- quando gli studenti vengo invitati a mettere per iscritto " Che cosa penso in questo momento".
La scuola venne poi chiusa per essere riaperta alla metà di maggio, ma le condizioni erano tali che una mamma scrive questa lettera -in una bellissima corsiva- per giustificarsi in quanto il figlio Luigi non può frequentare le lezioni poiché non solo l'appartamento è stato bombardato, ma -per di più- l'unica bicicletta è stata requisita.
La Liberazione e la riunificazione comportò, sin dal 26 aprile l'abrogazione delle leggi razziali contro gli studenti in virtù di una circolare già emanata nel novembre del 1944:
Tuttavia il cammino per la Pace fu faticoso giacché l'Italia risultava sconfitta e questo suscitò le proteste dei docenti:
14. La dittatura e la Scuola
L’azione della dittatura fascista recise tutte le esperienze che si erano andate costruendo nell'Italia del Risorgimento: nel novembre del 1933 il periodico “La Scuola Fascista” commentò con entusiasmo la chiusura di tutte quelle scuole autonome che passavano d’autorità sotto il controllo del regime; la “Difesa della Razza” del settembre del 1938 in un articolo dal titolo Scuole israelitiche forniva l’elenco di tutte le scuole ebraiche affermando che erano troppe; inoltre si prendeva a dileggio un libro usato in quelle scuole dove si esaltavano il disarmo (Isaia 2,4) e il sogno di una pace mondiale (Isaia 11,6) 34).
Ancor più esplicito fu l’articolo intitolato “Bonifica libraria” :
Ecco l’ammonticchiarsi davanti ai nostri occhi di libri di letteratura amena, la quale talvolta ama specializzarsi in letteratura per l’infanzia.
Affondiamo le mani in questi mucchi. Ci accorgiamo che i nostri fanciulli cantano sulla lira di Lina Schwarz, ebrea, e le nostre giovinette sospirano con Cordelia, ebrea, sognano con Emma Boghen Conigliani, ebrea, o s’immalinconiscono con Haydée, ebrea, o si erudiscono con Orvieto ed Errera, ebree. E l’elenco potrebbe continuare. Che cos’è mai questo monopolio della letteratura infantile ed amena?...
Ogni personaggio uscito da penna ebraica talmudeggia, il che è quanto dire erra interpretando, e interpreta errando, stati d’animo impulsi, desideri, passioni. Non ci si creda, quindi, inesorabili se proponiamo che in questo campo della letteratura amena e infantile sia bandita ogni indulgenza.
La polemica colpiva Laura Orvieto, ma già da tempo
aveva investito quelle scuole popolari italiane sostenute dalle famiglie
ebraiche dei Franchetti e dei Morpurgo e degli Orvieto: ‘scolette’ le definì il
Brasca in un suo saggio che non condivideva tanta ansia nella lotta contro
l’analfabetismo perché -a suo avviso- era necessario un maggiore impegno a
contenere le ‘devianze’.
In quella occasione il Brasca criticò anche la Mostra Storica della Scuola Italiana organizzata a Firenze nel 1925 da Salomone Morpurgo perchè in quella esposizione vi sarebbe stato un eccesso di ‘teoria’ osservazione questa mossa da uno studioso attento ai problemi di statistica 35).
15. Maestri coraggiosi
Alla critica, verosimilmente, non piacquero le parti che riportavano gli inni studenteschi di libertà dei moti che si svilupparono dal 1831 al 1848; tantomeno si confaceva al regime fascista il ricordo di Giuseppe Mazzini che insegnava agli operai emigrati a Londra nonchè le testimonianze degli studi di Guglielmo Oberdan e di Cesare Battisti.
L’organizzazione della mostra sulla storia della scuola italiana capitò in un periodo che vedeva sulle colonne del Corriere della Sera sia l’illustrazione della riforma scolastica di Gentile con il giornale che inveiva contro i professori che si facevano prendere dalla ‘scarlattina della politica’ (CdS del 3-02-1925) sia l’aspra polemica che investì l’Associazione Nazionale Combattenti che -il 7 febbraio 1925- dichiarava di essere irriducibile dinanzi all’obbligo di difesa sia dello Statuto Albertino sia dei principi di libertà e di eguaglianza dinanzi alla legge.
Allora Il Piccolo di Trieste che aveva sostenuto la Mostra Storica era stato più volte censurato per essersi schierato dalla parte dei combattenti e la tensione si aggravò quando in occasione del cinquantesimo della nascita di Cesare Battisti furono esposti a Trento manifesti inneggianti alle libertà repubblicane prontamente sequestrati dalla polizia (CdS del 7-02-1925).
Negli stessi giorni Nello Rosselli, ebreo, e Pietro Jahier 36) , valdese, ambedue profondamente legati a Salomone Morpurgo, organizzarono a Firenze una manifestazione per ricordare il cinquantesimo della nascita di Cesare Battisti (1875-1916) e in onore di Matteotti e dell’ Italia Libera 37); si ripeteva così l’iniziativa che era già stata presa nel luglio del 1924 per commemorare la morte del coraggioso patriota trentino che era stato studente a Firenze.
E proprio nel febbraio del 1925 l’ebreo Vittorio Polacco interveniva -tra gli applausi- al Senato del Regno d’Italia contro l’insegnamento obbligatorio della religione cattolica e affinché “per non essere meno liberali dell’Austria” le minoranze religiose fossero tutelate all’interno delle aule scolastiche sia perché ebrei e valdesi hanno dimostrato attaccamento alla Patria sia perché proprio nelle pubbliche scuole dovrebbe rinsaldarsi il vincolo tra i fratelli di qualsiasi fede e di qualsiasi classe sociale.
Allora si denunciava l’idea che la scuola fosse trasformata “in un centro di proselitismo religioso, quasi un vivaio di catecumeni”; allora si contestava la nuova legge sulla stampa “dove giustamente si comminano pene a chi offenda la religione cattolica, ma poi di tutte le altre si tace quasi potessero impunemente insultarsi” 38).
http://www.nautilus.tv/9903it/cultura/cultura/fronte.asp
16. Silvio Trentin si dimette come aveva già fatto Gaetano Salvemini
Era il 1925 e la dittatura incalzava e si cominciava a reagire: il 5 novembre – da Londra- Salvemini scriveva “La dittatura fascista ha soppresso, oramai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento universitario della storia –quale io lo intendo- perde ogni dignità”. Per questa lettera il ministro Fedele –storico e medievista come Salvemini- licenziò Salvemini togliendogli anche i diritti alla pensione accumulati in trenta anni di attività. Era quel Pietro Fedele che –nel 1938- come presidente dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo rifiutava di pubblicare i lavori di Anna Maria Enriques perchè era stata licenziata in quanto ebrea e la studiosa morirà fucilata dopo essere stata torturata 39).
Gli archivi scolastici ci dicono che, assieme a pochi professori universitari, molti insegnanti ebbero il coraggio di dire di no e di non piegarsi al giuramento imposto dalla dittatura. Chiarissima la lettera di Silvio Trentin:
E si prospettavano già le leggi razziali che avrebbero devastato scuole e università: nel 1921 Mussolini aveva parlato di proporzionale etnica che avrebbe ridotto la presenza degli ebrei nelle scuole; poi nel 1925 con la fondazione dell’ Onmi e con l’istituzione nel 1926 dell’ Istat si stabilirono criteri di eugenetica razziale; sempre nel 1926 fu fondata l’Accademia d’Italia che non avrebbe mai potuto accogliere ebrei e tanto meno figure femminili. Seguirono poi i provvedimenti che caratterizzarono lo stato autoritario: 1927 censura – 1929 testo unico– 1930 Codice Rocco– 1931 Testo di P.S. e schede per la razza – 1934 sequestro libri – 1937 divieto relazioni coniugali in Africa tutti provvedimenti volti con chiaro orientamento a ‘tutelare l’integrità della stirpe’.
E tutto ciò era stato lungamente preparato. Già nel febbraio del 1925 Luigi Luzzatti rivolgeva un Appello alla Società delle Nazioni preoccupato per le possibili persecuzioni contro gli ebrei polacchi, contro gli armeni, preoccupato perché ogni minoranza etnica vorrebbe costruire uno stato autonomo, preoccupato “di quanti mali politici possono essere origine le persecuzioni etniche, e segnatamente le religiose, preparatrici di sicure rivolte, che per la loro natura costituirebbero una nuova onta della nostra civiltà” 40).
17. Le scuole e le università clandestine
Nonostante la durezza dell’intervento razziale che escludeva giovani studenti e professori dalle aule Guido Castelnuovo fece in modo di attivare a Roma un’università clandestina per l’insegnamento delle scienze matematiche e fisiche che funzionò a Roma tra il ‘41 e il ‘43 mentre negli stessi anni, a Milano e Torino, Edoardo Volterra collaborava ad analoghe università clandestine che preparavano agli studi economico-giuridici 41); altrettanto impegno fu testimoniato a Ferrara da Giorgio Bassani per gli studenti esclusi dalla frequenza delle lezioni perché ebrei 42).
18. Nuove patrie e nuove scuole democratiche
Si resisteva e si preparavano le nuove istituzioni. Nel luglio del 1944 vengono diffusi clandestinamente i “Quaderni dell’Italia Libera”. Il primo opuscolo conteneva i Punti programmatici fondamentali del Partito d’Azione ove si dichiara “la riforma della scuola di interesse essenziale per l’avvenire del paese. Sta al centro di tale riforma il rinnovamento dei metodi educativi, che, attraverso una rivalutazione del lavoro nei suoi intrinsechi rapporti con l’insegnamento intellettuale ed una più moderna concezione della cultura umanistica, faccia meglio valere nella scuola le esigenze della vita e prepari nell’uomo non soltanto il professionista, ma anche il cittadino. Allo steso fine il Partito d’Azione propugna l’abolizione del privilegio economico dei ceti abbienti ancora in atto nella scuola media e superiori” 43).
19. La ricostruzione dello Stato esige una rifondazione di scuole capaci di esaltare lo spirito critico
Con gli stessi intenti
–nel 1943- Marc
Bloch scriveva pagine appassionanti Sur la réforme de l'enseignement : « Quand, après la
victoire prochaine, nous nous retrouverons entre Français, sur une terre rendue
à la liberté, le grand devoir sera de refaire une France neuve.
Or, de tant de reconstructions indispensables, celle de notre système
pédagogique ne sera pas la moins urgente. Qu'il s'agisse de stratégie, de
pratique administrative ou, simplement, de résistance morale, notre
effondrement a été avant tout, chez nos dirigeants et (pourquoi ne pas voir le
courage de l'avouer ?) dans toute une partie de notre peuple, une défaite à la
fois de l'intelligence et du caractère. C'est dire que, parmi ses causes
profondes, les insuffisances de la formation que notre société donnait à ses
jeunes ont figuré au premier rang » ...
« Il nous faudrait
donc des ressources nouvelles. Pour nos laboratoires. Pour nos bibliothèques
peut-être plus encore, car elles ont été, jusqu'ici, les grandes victimes
(bibliothèques savantes; bibliothèques dites populaires aussi, dont le
misérable état, comparé à ce que nous offrent l'Angleterre, l'Amérique,
l'Allemagne même, est une des pires hontes de notre pays »...
« Nous formons des
chefs d'entreprise qui, bons techniciens, je veux le croire, sont sans
connaissance réelle des problèmes humains; des politiques qui ignorent le
monde; des administrateurs qui ont l'horreur du neuf. À aucun nous n'apprenons
le sens critique, auquel seuls (car ici se rejoignent les deux conséquences à
l'instant signalées) le spectacle et l'usage de la libre recherche pourraient
dresser les cerveaux. Enfin, nous créons, volontairement, de petites sociétés
fermées où se développe l'esprit de corps, qui ne favorise ni la largeur
d'esprit ni l'esprit du citoyen » 44).
20. I lavori dell’Assemblea Costituente
Quella convinzione di Marc Bloch che asseriva essere la scuola uno dei punti centrali della ricostruzione dello Stato e delle coscienze travolte dai totalitarismi connotò anche i lavori dell’Assemblea Costituente dedicata alla cultura e alla scuola. Così nella seduta del 18 ottobre 1946 (p. 267) si legge:
http://www.camera.it/index.asp?content=%2Faltre%5Fsezionism%2F9065%2Fdocumentotesto%2Easp%3F
La seduta fu rinviata al 22 ottobre 1946 dove si discusse la proposta di Concetto Marchesi:
Segue l’intervento di Aldo Moro teso a garantire l’iniziativa privata:
E ancora Concetto Marchesi replica a Dossetti:
E Aldo Moro precisa che la scuola privata non è una rinuncia dello Stato alle sue prerogative:
E ancora Moro il 23 ottobre 1946
Il tema della scuola privata è connesso con quello dello Stato e Lombardi –nella seduta del 24 ottobre 1946 interviene ricordando che la Repubblica Italiana non può voler veder prevalere una parte sull’altra:
e Moro e Marchesi intervengono chiarendo che non si vuole dar spazio a scuole esclusivamente volte a fini commerciali ove prevalga esclusivamente l’interesse della parte economica su quello della formazione culturale del cittadino.
21. Diffondere le biblioteche e la lettura
Più avanti Marchesi –nella seduta del 29 ottobre 1946- sostiene la necessità di propagandare la lettura, necessità che deve essere sostenuta dal Governo:
e così Aldo Moro si impegna a difesa dell’istruzione popolare:
Calamandrei
Un libro di testo adottato ad Empoli –seduta del 30 ottobre 1946- nella denuncia di Togliatti appare evidenziare l’asprezza del problema; Togliatti, sempre moderato e conciliante almeno in questa commissione, non può sopportare che ‘il male’ e i ‘criminali’ siano rappresentati da persone che hanno al collo un fazzoletto rosso, e dunque Togliatti denuncia:
22. Le “autonomie”regionali e la Scuola
Il tema dell’organizzazione delle scuole è dibattuto il 4 luglio 1947 in Assemblea Plenaria della Costituente presieduta da Umberto Terracini. In quell’occasione Francesco Saverio Nitti si schiera contro la ‘moda’ delle autonomie (p.5427):
E Nitti prosegue (p. 5428):
L’ onorevole Miccolis dell’ ‘Uomo Qualunque’ sostiene la necessità che scuola profesionale rimanga sotto il controllo delo Stato (p. 5436)
E la parola passa, alla sinistra, a Concetto Marchesi (p. 5438):
Dunque Concetto Marchesi già nel 1947 mette in guardia i costituenti dal concedere con esigue minoranze il passaggio alle Regioni del sistema scolastico nazionale. Con chiarezza si affermava che il futuro dei giovani e delle scuole era il destino della Nazione.
23. 1897-1924: appelli perchè la gioventù costruisca la democrazia
Altrettanto nitido era stato l’appello con cui -nel 1897- Emile Zola invitò i giovani alla riflessione:
“Dove andate giovani, dove vi dirigete studenti che correte per le strade manifestando la vostra collera e il vostro entusiasmo.... Ah! quando ero ragazzo ho visto anch’io... il fremito delle fiere passioni della gioventù, l’amore per la libertà, l’odio della forza brutale che schiaccia i cervelli e comprime le anime. ...
Oggi... gli uomini politici, guastati da anni di intrighi; i giornalisti sbalestrati da tutti i compromessi del mestiere, possono accettare le menzogne più impudenti... Ma i giovani...? Esistono ancora giovani antisemiti? Esistono ancora cervelli e animi che sono stati devastati da questo veleno imbecille? Che tristezza e che inquietudine per il secolo che si sta schiudendo!...
Più di cento anni sono trascorsi dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, dall’atto supremo di tolleranza e di emancipazione e noi stiamo tornando al più odioso e stupido fanatismo! ...
Gioventù, gioventù, ricordati delle sofferenze dei padri, delle terribili battaglie per conquistare la libertà... tu ignori la tirannia, tu ignori cosa sia risvegliarsi ogni mattina colpiti dalla frusta...
Gioventù, gioventù! siate ogni giorno dalla parte della giustizia. Se l’idea di giustizia si oscurerà in voi, correrete immensi pericoli.
Dove andate giovani, dove andate studenti che percorrete le vie manifestando e ostentando, dinanzi alle nostre discordie, il coraggio e la speranza dei vostri vent’ anni?
-‘Noi marciamo per l’umanità, per la verità, per la giustizia!’ 45) .
Il brano di Emile Zola si integra con una preoccupata analisi della gioventù svolta da Carlo Rosselli 46); allora si avvertiva una profonda distanza dalle nuove generazioni giacché: “I nostri principi, la nostra educazione, le nostre aspirazioni sono antitetiche. La nostra visione della vita è radicalmente differente. I nostri ideali di bontà, di fratellanza, di giustizia, non vaghi ed astratti, ma concreti e dolorosamente contrastanti con la tristizia dei tempi e colle sofferenze millenarie delle masse, provocano in essi il riso, lo scherno. /.../ La libertà, o le libertà: un ritornello rettorico privo d’ogni realtà storica. L’amore, la fratellanza: un sogno francescano che urta contro questo basso mondo dove la forza, la violenza, l’odio trionfano. /.../ Perchè tutto questo? /.../ Il saper comprendere i propri avversari è già un elemento di grande superiorità e costituisce il nocciolo, il succo del liberalismo. Io qui non voglio accennare che ad un solo fattore: la guerra. /.../ ... i fratelli minori, conobbero solo il mito, la guerra ideale, la “bella guerra”. Il suo ricordo non resta associato ai dolori e agli strazi cui tanti combattenti assistettero o sopportarono sulle loro carni. Per essi rimase solo l’epopea. Qualche data, qualche fatto, e un oceano di rettorica, di frasi, di formule, necessarie forse, ma letali oggi. L’odio fu il loro alimento quotidiano. Allo studio, alla cultura che solo in quegli anni si forma veramente, fu sostituita la cerimonia. /.../ Il loro cervello, la loro anima, si vennero plasmando in un periodo terribile di crisi, quando tutti i vecchi ideali cadevano in frantumi ed inducevano allo scetticismo. Fratellanza, amore, internazionalismo, pace, ideali risibili, da pazzi”.
Questa prospettiva europea di pacificazione era insidiata dalle divisioni nazionalistiche, dai separatismi, dai razzismi e, di ciò, era consapevole Gaetano Salvemini.
La storia insegna a vivere da uomo civile in mezzo ad uomini civili
I nazionalismi, i localismi, i regionalismi esasperati danneggiano i diritti dell’uomo e del cittadino e questo pericolo era stato avvertito sia da Cesare Battisti sia da Gaetano Salvemini, come da quanti attesero alla scrittura della Costituzione della Repubblica Italiana.
Siamo al 1952 quando Gaetano Salvemini pubblicava un articolo su “L’insegnamento della storia”. Allora, alternando ironia e rigore storico, scriveva:
“Nel secolo XIX, coll’affermarsi delle nazionalità, l’insegnamento della storia acquistò una importanza politica non mai finora sospettata. Diventò un mezzo formidabile per la educazione del sentimento nazionale. Il quale sentimento nazionale degenerò dovunque ben presto da patriottismo legittimo in disprezzo delle altre nazioni, pretesa al predominio e alla conquista “civilizzatrice”, nazionalismo brutale.
Se le Nazioni Unite o l’Unesco possedessero quell’autorità. che non posseggono, per assicurare la pace, dovrebbero cominciare dal vietare l’insegnamento della storia in tutti i paesi, fare impiccare tutti i professori di storia, bruciare tutti i libri di testo, e, dopo dieci anni, fare punto e da capo.
Questo non vuol dire che, in attesa di siffatta impossibile apocalissi, l’insegnamento della storia non possa e non debba essere usato da uomini non volgari per fini educativi migliori che l’eccitamento alla boria delle nazioni.
In un paes, che non solo dica di essere, ma anche voglia essere democratico, l’insegnamento della storia dovrebbe abilitare i futuri cittadini a partecipare con intelligenza alla vita pubblica.
Intendiamoci bene. L’insegnamento di storia non deve fare degli alunni altrettanti seguaci del proprio partito e avversari degli altri partiti. Deve educarli ad un’attività politica intelligente, e niente altro. Toccherà poi agli alunni nella vita scegliere ciascuno la propria strada secondo le proprie predisposizioni individuali.
Educare ad un’attività politica intelligente è dare l’abitudine di osservare i fatti della vita collettiva e descriverli con esattezza, ordine, semplicità; dare la persuasione che esiste una continuità nel processo storico, e perciò è necessario /.../ sviluppare l’abito di giudicare l’opera dei partiti e degli uomini politici con quel tanto di obiettività, che la debolezza umana può consentire, cioè essere cattolici, protestanti, ebrei, agnostici, atei, nazionalisti, internazionalisti, conservatori, rivoluzionari, individualisti, socialisti, comunisti, tutto quello che si vuole, ma essere tale, per quanto possibile, con spirito critico, non travolto dalla passione e dal fanatismo, vivere insomma da uomo civile in mezzo ad uomini civili” 47).
Il messaggio era, è, chiarissimo, quasi profetico. Eppure ancor oggi si fa leva sull’irrazionalità e le pagine dei nostri quotidiani fanno a gara per allarmare i cittadini sull’invasione di bimbi stranieri nelle scuole dei nostri figli.
Grida che calpestano il dettato della nostra Costituzione, grida che invitano a nuovi razzismi, grida che debbono spronarci a difendere i valori della Costituzione della Repubblica Italiana e le Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo.
E ancor oggi fa riflettere discorso che Piero Calamandrei rivolse agli studenti nel 1955:
“La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove: perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. È un po’ una malattia dei giovani l’indifferentismo.
/.../
Quindi voi giovani alla
Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere,
sentirla come vostra; metterci dentro il vostro senso civico, la coscienza
civica; rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto
che nessuno di noi nel mondo non è solo, non è solo che siamo in più, che siamo
parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora io
ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra
storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le
nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere
intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane... .
Piero Morpurgo
1) Lezione svolta nella sala consiliare del comune di Stienta il 6 maggio 2005, organizzata dall’associazione “Il Fiume”, con il patrocinio del L A N D I S, dell’ INSMLI e introdotta da un messaggio augurale della Presidenza della Repubblica Italiana letto con commossa partecipazione dal Sindaco.
2) S. Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, Torino 2004, p. 37.
3) M.G. Amadasi Guzzo – F. Tessitore, edd., Giorgio Levi Della Vida – Fantasmi ritrovati, Napoli 2004.
4) H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Milano 2000; G. Boatti, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino 2001.
5) M. Calzolari, Costituente e Costituzione, in M. Calzolari – E. Grantaliano, et al. edd., Roma, Repubblica : Venite !. Percorsi attraverso la documentazione della Repubblica Romana del 18949, pp. 17-58, ivi p. 33.
6) E.
Zola, Vérité, C. Becker – V. Lavielle , edd., Paris 1995, p. 640.
7) C. Covato – A.M. Sorge, L’istruzione normale dalla legge Casati all’età giolittiana, Archivio Centrale dello Stato – Fonti XVII, Roma 1994, p. 199.
8) L’istruzione normale dalla legge Casati, p. 202.
9) L’istruzione normale dalla legge Casati, p. 201 ; il tema fu ripreso anche da Gaetano Salvemini che, per il voler differenziare gli ordini di studi pur concedendo percorsi trasversali, fu accusato di voler costruire una scuola elitaria, cfr. Fascismo e scuola, cit, p. 46 e n. 89, lo stesso Nathan intendeva realizzare una scuola fortemente orientata verso le qualifiche professionale, ma ben connotata per quel che concerneva l’educazione del cittadini. Gaetano Salvemini –nel 1907- diffidava dalla moltiplicazione degli insegnamenti affidati ad “insegnanti specialisti, ciascuno dei quali non è tenuto a conoscere le materie insegnate dagli altri –mentre gli alunni o giustizia del mondo ... scolastico!, debbono le materie conoscerle tutte- e il computista può non essere calligrafo, e il professore d’italiano può ignorare il francese, e il professore di franmcese può non conoscere affatto o conoscere assai male l’italiano, l’unità degli insegnamenti sarà sempre un’utopia: gli alunni si troveranno disputati e sballottati di ora in ora fra indirizzi ed esigenze diverse –e guai se gli insegnanti saranno tutti diligenti e zelanti! o usciranno dalla scuola con in testa un caos di nozioni incoerenti, se pure arriveranno alla fine, e se pure avranno acquistate altre cognizioni all’infuori di quelle che servono solo per gli esami e che dopo gli esami ogni persona ha il dovere di dimenticare con la massima sollecitudine”, in Scritti sulla scuola, cit., p. 309.
10) L’istruzione normale dalla legge Casati, p. 205.
11) Zola, Vérité, p.
92, n.1.
12) Congrès
international des oeuvres d’instruction populaire par l’initiative privée,
allocution de Jean Macé,
Paris 1889, pp. 6, ivi p. 3.
13) A.M. De Bernardinis, Il dibattito sui problemi dell’educazione dopo l’Unità, in G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, edd., Storia della Cultura Veneta, 6, Vicenza 1986, pp. 651-675, p. 673, n. 59.
14) G. Talamo, La scuola. Dalla Legge Casati alla inchiesta del 1864, Roma 1961, pp. 114-115.
15) L. Luzzatti, La libertà economica ed il lavoro dei fanciulli e delle donne nelle fabbriche, “Giornale degli economisti”, 1 agosto 1875, p. 367; cfr. R. Allio, Luigi Luzzatti e il dibattito sul lavoro minorile, in P.L. Ballini – P. Pecorari, edd., Luigi Luzzatti e il suo tempo,, Venezia 1994, pp. 391-408.
16) M. Sarfatti, Gli ebrei nell’ Italia fascista, Torino 2000, p. 12.
17) P. D’Annunzio, Aurelia Josz (1869-1944): un’opera di pionerato a favore dell’istruzione agraria femminile, in “Storia in Lombardia”, 19 (1999), pp. 61-96.
18) A.P. Jeraci, Emma Modena medico socialista. Vita privata e attività professionale (1875-1953), in “Storia in Lombardia”, 19 (1999), pp. 57-86.
19) Cfr. G. Lombardo Radice, Athena fanciulla - Scienza e poesia della scuola serena, Firenze 1928, pp. 7-61.
20) Charnitzky, Fascismo e scuola, cit., p. 146.
21) Statuto e Regolamento della Società delle Scuole del Popolo ‘Pietro Dazzi’ di Firenze, Firenze 1901, p. 29.
22) In proposito si veda la relazione presentata da Amos Luzzato, Centralità della scuola pubblica, in “Shalom”, 33/1 (1999), p. 9.
23) A. Rosselli, Memorie, M. Calloni, ed., Bologna 2001, p. 108.
24) http://www.morasha.it/zehut/glt01_eticaebraica.html
25) E. Nathan, La morale nell’insegnamento pubblico. In Nuova Antologia, 16 luglio 1907, pp. 270-283; cfr. anche G. Canti, Ernesto Nathan e la scuola: Parole pronunciate alla scuola professionale femminile Giuseppe Mazzini, opera Pia sarina Nathan, il 20 febbraio 1922, Roma 1922.
26) A. Rosselli, Memorie, p. 141; è singolare che questo gruppo (Nathan, Rosselli, Morpurgo) avesse scelto di vivere nei pressi di Grassina; su Nathan, cfr. U. Bardi, Ernesto Nathan e la sua villa dell'Antella, Antella, 1997.
27) Rosselli, Memorie, p. 119; A. Rosselli, Topinino. Storia di un bambino, Torino 1905; Ead., Topinino garzone di bottega, Firenze 1905.
28) Rosselli, Memorie, pp. 162-164.
29) Archivio Fondazione Rosselli: Lettera di Laura Morpurgo ad Amelia Rosselli a Santa Caterina Valfurva, Firenze 29 luglio 1921; Allegato: lettera di Olga P. ad Amelia Rosselli, Trieste luglio 1921 (M 1524); Cartolina di S. Morpurgo ad Amelia Rosselli a Genzano, Timau 31 agosto 1921 (M 1374); Lettera di Laura Morpurgo ad Amelia Rosselli a Santa Caterina Valfurva, Firenze 29 luglio 1921.
30) Questa parte risulta dal lavoro congiunto svolto da Piero Morpurgo e Enrico Delle Femmine.
31) Una notevole documentazione sul poeta è conservata presso la Biblioteca Civica Bertoliana.
32) Nella classe 1 B dell’anno scolastico 1940-1941 della Regia Scuola Media annessa al Regio Liceo classico Pigafetta il programma aveva previsto (I trim) Letture: Il padre del Duce di Francesco Bonavita; La leggenda di Enea;Luigi Moresco Spagna cattedra di fede ed eroismo; ; 20 novembre relazione “L’aviazione italiana” / 23 nov. relazione “L’eroica impresa del Toti” / 26 nov.lettura de L’Italia guerriera di Culeagi; 3 dicembre letture varie sulle guerre d’Africa e di Spagna / 17 dic. letture dall’ “Italia guerriera”, Diario di guerra di Mussolini / 21 dic. Commemorazione di Arnaldo Mussolini.
33) Protocollo riservato Regia Scuola Avviamento: 13 giugno 1935 al Segretario Federale Città : Informazioni riservate sull’attività politica degli insegnanti della scuola; 29 aprile 1938 da R. Provveditore Vicenza: visita del Fürher;
6 febbraio 1939 a R. Podestà di Vicenza in replica a lettera del 26 gennaio 1939 relativa alla segretaria B. e dei tre bidelli sulla loro appartenenza razziale inviati tre questionari riguardanti la razza ariana dei predetti. Manca il questionario di B.; successivamente il preside invia lettera lagnanze su B. per contegno nei miei riguardi e Commissario del Governo. 11-11-41 chiedono informazioni su lagnanze riguardanti B., in data 5/12 ne viene chiesta la sostituzione al Podestà, in data 9 dicembre 1941 B. viene sospesa da uffici segreteria e insegnamento con atto Podestà e Provveditore (atti sino al 27/1/42), 26/2/1942 B. chiede compensi per l’attività svolta e non retribuita, 9/8/42 si chiede al Podestà di intervenire su B. perché dia spiegazioni.
34) Le Judaisme par l’image, Paris 1933.
35) L. Brasca - G. Castelli, Le istituzioni scolastiche italiane, Torino 1926. Nessun riferimento a questa attività appare nel saggio di A. Stussi, Salomone Morpurgo, in Tra filologia e storia. Studi e testimonianze, Firenze 1999, pp. 145-228 e nella bella tesi di laurea di Rosanna Paoletti redatta a Firenze nell’anno accademico 1965-1966 con relatore Raffaello Ramat.
36) Pietro Jahier era stato un combattente della Grande Guerra e aveva denunciato in alcune delle sue poesie (cfr. Dichiarazione) le gravi carenze culturali del popolo italiano; nel 1920 aveva donato le sue prime opere per costituire la Biblioteca della Casa del Ragazzo Operaio in onore di Giacomo Morpurgo caduto nel 1916.
37) G. Fiori, Casa Rosselli, Torino 1999, p. 44.
38) V. Polacco, Per la libertà di coscienza e la tutela delle minoranze religiose. Discorso pronunciato nella tornata del 7 febbraio 1925 nella discussione del bilancio della istruzione pubblica per l’esercizio 1924-25, Roma 1925, p. 5; cfr. M. Falco, Sulla condizione giuridica delle minoranze religiose in Italia, Firenze 1934.
39) A. Maria Enriques, ed., Le carte del monastero di S. Maria in Firenze, in Regesta Chartarum Italiae 42, introduzione di I. Lori Sanfilippo, Roma 1990, pp. vii-xiv. Isa Lori Sanfilippo assieme a Raoul Manselli ritrovarono le carte dell’archivista che furono pubblicate -nel 1990- cinquantanni dopo la loro stesura. Questo lasso di tempo indica le dimensioni della ferita inferta a tutta la cultura italiana. Anna Maria Enriques era nipote di Federigo Enriques e cugina dei Castelnuovo, dei Franchetti, dei Morpurgo; si trattava di un gruppo familiare che era molto legato ai fratelli Rosselli e ai Volterra.
40) L. Luzzatti, Opere – Dio nella Libertà, Bologna, pp. 423-424,
41) R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Milano 1977, p. 507, E. Castelnuovo, L’università clandestina a Roma:anni 1941-42 e 1942-43, “La matematica nella Società e nella cultura”, Bollettino dell’UMI, aprile 2001, pp. 63-77.
42) E. Golino, L’insegnante, in “La Repubblica”, 14-04-2000, p. 53.
43) punto
13, p.6.
44) Les
Cahiers politiques, n° 3, n°3, juillet 1943, p. 17. L'étrange défaite,
éd. Folio, p. 254-268.
45) E. Zola, J’Accuse...!
La Vérité en marche, a cura di H. Guillemin, Bruxelles 1988, pp. 67-77.
46) C. Rosselli, Inchiesta sui giovani (Guerra e fascismo), “Libertà”, 1, 15 maggio 1924, in S. Mastellone, Carlo Rosselli e la “Rivoluzione liberale del socialismo”, Firenze 1991, pp. 151-153.
47) G. Salvemini, Opere, Scritti sulla scuola,vol. 4, Bari 1966, pp. 740-742.